Omaggio a Magnani, dalla Capitale nel 900 a Renoir, Monet, Cezanne

DUE GRANDI MOSTRE NELLA CASA DELL'ANCOR PIU' GRANDE MECENATE

11117757_10205094978226492_1100286454_nCome ormai di consuetudine, anche quest’anno la Fondazione Magnani Rocca ha omaggiato la figura di Magnani, esaltando il suo eclettico gusto per l’arte e allestendo due mostre, ‘Roma 900’ e ‘Vedute di Francia’,  a partire dalle opere della collezione permanente.

ROMA 900 –  Realizzata grazie alla collaborazione con la Sovrintendenza capitolina e la Galleria di arte moderna di Roma Capitale, la mostra vuole  ricostruire i movimenti artistici e far conoscere le personalità che hanno delineato la vita culturale della Città Eterna durante i primi cinquantanni del secolo scorso. Un percorso  messo in relazione con la vita del fondatore, che ha vissuto per oltre quarant’anni nella Capitale. La mostra, iniziata il 21 marzo, proseguirà fino al 5 luglio riscontrando subito un grande successo, anche da parte dei più giovani: nel lunedì di Pasqua, infatti, i visitatori sono stati circa 1.400. L’allestimento della mostra si è svolto senza difficoltà ma con un grande dispendio di tempo: dall’ideazione fino all’esposizione vera e propria è trascorso circa un anno; l’unico problema è stato forse l’imbarazzo della scelta nel dover selezionare tra le migliaia di opere conservate al Museo Roma Capitale ma non esposte. “E’ una mostra di felice collaborazione istituzionale fra privato e pubblico – spiega Stefano Roffi, curatore artistico – perché la Fondazione Magnani Rocca è privata, anche se nel consiglio d’amministrazione ci sono tante istituzioni, dal Ministero dei beni culturali alla Prefettura, all’Università di Parma e al Vescovato”.
Molte delle opere che si possono apprezzare appartengono alla collezione permanente della Fondazione; spesso a firma di artisti amici di Magnani. “Guttuso si fermava spesso qui e lasciava un messaggio sul libro degli ospiti: un saluto e il disegnino di un pavone che anche allora, come oggi, erano presenti nel giardino della villa”.

SIMBOLI, SECESSIONI, FUTURISMI, TRADIZIONE ROMANA – La mostra è divisa in sezioni, ognuna caratterizzata da un diverso movimento artistico, accompagnate da brani musicali dell’epoca che riescono a creare un’atmosfera suggestiva.
Nella prima sezione dominano le vedute paesaggistiche. Non ci si ferma, però, alla semplice rappresentazione, ma si cerca di andare oltre il reale connotando di simboli il paesaggio rurale. L’opera che rappresenta meglio questa sezione è senza dubbio ‘Foro Romano’ di Onorato Carlandi, dove uno dei simboli della città si connota a sua volta di una simbologia decadente, caratteristica della cultura del nuovo secolo dominata da D’Annunzio.

La seconda sezione raccoglie le opere degli artisti che non si riconoscevano nella cultura ufficiale e che avevano deciso di distaccarsi, dando così vita a una secessione che ricorda quella iniziata da Klimt. Molte opere, infatti, risentono dell’influenza dell’artista viennese. La tecnica principale è il divisionismo, la stessa che caratterizza l’opera scelta per rappresentare l’intera mostra, ‘Violette’ di Enrico Lionne.

Antonio Donghi, Donna alla toletta, 1930. Galleria d’Arte Moderna © Roma Capitale

‘Donna alla tolletta’ Antonio Donghi 1930

Una delle sezioni più belle e rappresentative della mostra raccoglie le opere degli artisti futuristi, discostandosi per stile e tecnica dalle due precedenti. “I futuristi erano molto arditi, salivano sugli aerei, che non è proprio come salire su un aereo oggi. Avevano una visione del mondo nuova e un sentimento del mondo diverso, un sentimento cosmico, che loro rappresentavano”. Senza dubbio ‘Vite Orizzontali’ di Tullio Crali, rappresenta tutto lo spirito e tutti i valori di questa corrente che tanto voleva discostarsi dall’arte del passato, prendendo come linee guida per costruire la città i movimenti dell’aereo, creando così un effetto rapido e dinamico.

Dopo questa fase di movimento e rivoluzione, si ritornano ai valori della tradizione, perdendo quel vitalismo tipico del futurismo. Vitalismo, movimento e fantasia non fanno più parte dell’arte romana, le cui forme si raggelano e si irrigidiscono. Quello che rende questa sezione particolarmente interessante è il dialogo che viene a crearsi tra scultura e pittura, dato che le statue in bronzo richiamano alle figure femminili dei dipinti, riproducendo le forme e atteggiamenti plastici. Ma è anche un periodo in cui l’arte italiana si esprime con molta vivacità anche con attenzione agli eventi correnti, come dimostra l’opera di Carlo Carrà, ‘Partita di calcio’, realizzata nel 1934, anno in cui l’Italia ha vinto per la prima volta i mondiali di calcio. “E’ un’opera quasi propagandistica di questo grande evento sportivo. Nello stesso tempo c’era De chirico rappresentava i gladiatori, con grande vivacità per un’opera che tutto sommato ha un contenuto futurista”.

Un classicismo più rigoroso a cui segue una ripresa del barocco che rappresenta una Roma misteriosa. Qui è presente uno dei quadri simboli della mostra: ‘Il Cardinal Decano’ dell’artista Scipione. “Scipione è un pittore estremamente promettente; purtroppo muore neanche trentenne, dopo aver realizzato questo dipinto. Rappresenta il Cardinal Decano, quindi il cardinale più anziano del sacro collegio che aveva 94 anni, praticamente muoiono nello stesso anno. Viene rappresentata una Roma drammatica, sembra veramente l’ultimo giorno prima della fine del mondo. Si vede moltissimo l’influenza di El Greco. Il cardinale viene rappresentato in modo inusuale, con queste mani adunche. Il quadro all’epoca non era stato accettato e capito. E’ un’opera di grandissima forza espressiva. Tutte vedute di una Roma barocca nella quale sembra come se si dovessero spalancare le porte dell’inferno”.

La mostra si chiude con una sala che rappresenta uno dei temi più controversi nell’immediato dopoguerra italiano: il rapporto tra arte e politica. “Togliatti, capo del partito comunista, aveva preso posizione contro l’astrazione a favore della figurazione perché riteneva che l’astrazione non fosse un veicolo idoneo per trasmettere le idee politiche al popolo. Prediligendo la raffigurazione, Guttuso divenne sia l’alfiere dell’arte del periodo, sia del partito“. Indubbiamente l’opera simbolo di questo dibattito è ‘Comizio’ di Giulio Turcato, dove abbiamo un comizio del partito comunist, reso attraverso la tecnica dell’astrazione.

Claude.Monet.Falaises...Pourville.soleil.levant.1897.olio.su.tela.cm.66.x.101.1

‘Soleil Levant (Falaises à Pourville)’ Claude Monet 1897

VEDUTE DI FRANCIA –  Grazie alla collaborazione con il Musée d’Orsay, la Fondazione ha allestito una mostra, visitabile fino al 13 settembre, dedicata alla pittura di paesaggio, uno dei tanti interessi di Luigi Magnani che, tra le decine della sua collezione, possedeva diverse opere dei maggiori artisti francesi impressionisti. Dal museo parigino proviene infatti il dipinto di Renoir  ‘La Séine a Champrosay’, realizzato nel 1876. “Quest’opera – continua nella spiegazione il Dott. Roffi – ‘dialoga’ con le altre opere dell’artista già presenti, ‘Paysage de Cagnes’ e ‘Le Poissons’. Ponendole a confronto si può constatare l’evoluzione della sua tecnica pittorica, prima leggera e filamentosa, poi più pesante, difficoltosa, con qualche inesattezza in più a calibrare la quantità di materia pittorica, a causa dell’artrite reumatoide che lo aveva colpito in quegli anni”. Della collezione privata fa parte anche un quadro di Matisse, ‘Odalisque sur la terrasse’da poco restaurato, “in cui il soggetto è raffigurato sullo sfondo, familiare a tutti gli artisti francesi di quel periodo, della Costa Azzurra”. Voltandosi si viene irrimediabilmente rapiti dalla bellezza del ‘Soleil Levant (Falaises à Pourville)’ di Monet, in cui viene catturata “un’alba vista da una scogliera della Normandia, ritratta in vari momenti della giornata, con una sinfonia di colori pastello”. Segue nello sguardo un paesaggio della Senna, ‘Vue de quais de Paris di Nicholas’ de Staël, “un’artista russo naturalizzato francese, uno dei grandi maestri del Novecento. “A lui si sono ispirati molti importanti pittori italiani e per questo è stato a lungo il padre nascosto di molti italiani che preferivano lasciarlo nell’ombra. A cinquant’anni dalla morte abbiamo quindi voluto omaggiarlo”.
Il percorso si conclude in una seconda sala, “unica nel suo genere in Italia”, dove sono raccolte sei opere di Cezanne. “Considerato un pittore impressionista, in realtà anticipa il cubismo, segnando un passaggio epocale agli inizi del Novecento: ciò si vede nei suoi acquerelli, dove il paesaggio è rappresentato attraverso una scomposizione volumetrica che avrà molto successo nei decenni a venire”.


di Giuseppe Mugnano e Marco Rossi

Scrivi un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*