Mezzo secolo di abusivismo: Viarolo, ex discarica ancora senza bonifica

FOLLI: SI PROCEDE A PICCOLI PASSI, E' NECESSARIO IL SUPPORTO DI ALTRI ENTI

viarolo2(1)Aggirare il problema non vuol dire risolverlo. Come nel caso della discarica di Viarolo, nata dall’accumulo di rifiuti depositati sulle rive del Taro a partire da mezzo secolo fa e tornati alla luce solo grazie alla costruzione di autostrade e all’erosione da parte delle acque del fiume stesso.

UNA STORIA INIZIATA (SOLO) 50 ANNI FA – Finita la seconda guerra mondiale il boom della ricostruzione delle città ha creato delle cave adiacenti le golene dei fiumi, che una volta inutilizzati sono state riempite di rifiuti. Questo è stato il destino di quell’area adiacente al Taro denominata ‘Eia/Viarolo’. L’interramento incontrollato di rifiuti è diventato nel tempo di uso comune, considerando inoltre che tra gli anni ’60 e ’80 non esisteva ancora una letteratura giuridica nei confronti della tutela ambientale. Nel 1976 l’Anmu, Azienda Municipalizzata Nettezza Urbana, ha reso comunale l’area di scarico trasformandola da ‘ufficiosa’ a ‘ufficiale’ e lasciando immutato il sotterramento selvaggio di materiale Rsu, rifiuti solidi urbani, proveniente non solo da Parma e provincia, ma anche dai comuni lombardi a ridosso di Casalmaggiore. La ‘letteratura scientifica’ di quegli anni incitava la creazione di discariche presso le sponde dei fiumi: si credeva che la ghiaia possedesse proprietà filtranti in grado di purificare l’acqua dalle scorie e che il microclima della zona fosse in grado di velocizzare la mineralizzazione dei rifiuti organici.

Unico responsabile? Secondo una prima accusa della Provincia, il Comune di Parma, costretto di conseguenza ad attuare un’accurata bonifica delle aree interessate. Ma l’ente del capoluogo non ci sta: la discarica si estende per 6,7 kmq, occupando territori riguardanti anche i comuni di Fontanellato, Fontevivo, Trecasali e San Secondo Parmense. Pertanto, chiede ricorso al Tar nel 2010, ottenendo comunque un obbligo di bonifica ma limitatamente alle zone di sua competenza, ovvero quei 20 ettari di terreno occupati precedentemente dalla discarica Amnu. E le zone restanti? Un problema dei proprietari e degli altri Comuni, sempre secondo il Tar.

Dal canto suo l’azienda Anmu, che nel frattempo è diventata prima Enia e poi Iren e che in quegli anni si occupava dello stoccaggio di rifiuti in quell’area, addossa interamente le responsabilità al Comune di Parma affermando che prima della creazione della suddetta azienda, nel 1969, ci sia stato un ventennale abuso da parte di privati nel depositare materiale plastico e difficilmente mineralizzabile. Inoltre, sempre l’Anmu, come da prassi in quel periodo, eseguiva la gestione dei rifiuti in maniera incontrollata e senza una effettiva verifica di impermeabilizzazione.

LE ACCUSE, I RISVOLTI – Ma cos’è stato fatto dal momento della sentenza ad oggi? Le ultime notizie risalgono a dicembre 2013, quando si è parlato di un finanziamento di 304.239,16 euro da parte della Regione verso il Comune di Parma affinché si assicurasse la sicurezza nella zona Viarolo/Eia, e a settembre Viarolo2014, quando sempre in località Eia sono state realizzate due barriere in massi trasversali in modo da evitare un’ulteriore erosione da parte del fiume della zona occupata dalla discarica e una conseguente asportazione di rifiuti residui, con la promessa di una successiva bonifica.

Di quest’ultima però neanche l’ombra e, nonostante la decisione del Tar, pare che i costi e i provvedimenti debbano comunque essere effettuati solo e soltanto dal Comune di Parma tramite intervento della Provincia: “Il nostro Comune risente delle conseguenze dell’inquinamento provocato dalla presenza di rifiuti – spiega l’ingegnere Gabriele Bertozzi, responsabile del settore Pianificazione territoriale di Sissa Trecasali – che per fortuna non danneggiano i residenti, dato che non si trovano in aree cittadine. Più di controllare lo stato della qualità delle acque dei pozzi non possiamo fare e ritengo che neanche il Comune di Parma abbia le possibilità economiche per poter intervenire. L’unica a poter fare qualcosa è sicuramente la Provincia”.

“Ci si accorge di una parte di terreno contaminato quando cresce poca erba o addirittura non ne cresce affatto – dichiara Gabriele Alifraco, dirigente alla Provincia di Parma in materia di ambiente -. Noi siamo tenuti a stabilire di chi sia la responsabilità di questo disastro, ma la digitalizzazione errata dei dati o addirittura la perdita di questi non facilita di certo il compito di stabilire chi abbia dato il via a questo vortice di inquinamento”. Altro compito della Provincia è quello di mettere al sicuro le sponde del Taro, considerando che le piene potrebbero (come è già successo) provocare slittamenti di rifiuti ed ulteriori inquinamenti: “Basti ricordare la piena del dicembre 2009, quando un tratto di terreno golenale, dopo essersi staccato, ha minacciato la stabilità di quella parte di scarpata che sorreggeva la discarica – continua Alifranco -. Per questo motivo sono stati effettuati dei lavori di difesa ‘al piede’, termine tecnico per definire la sponda del fiume”.

La Regione Emilia Romagna ha incaricato l’Arpa della sezione di Ravenna di analizzare il territorio e le falde acquifere. Il referto ha dimostrato che la superficie composta da rifiuto frammisto a terreno è di 950mila metri quadrati, ovvero 5 milioni e mezzo di metri cubi, raggiungendo livelli di contaminazione superiori ai valori di concentrazione soglia sia per la matrice suolo che per la matrice acque sotterranee. Nonostante ciò, questi studi non ritengono sia necessario un intervento tempestivo dal punto di vista idrogeologico.

Ad oggi, per gli studi eseguiti da Arpa e Università di Modena e Reggio Emilia la spesa della Provincia di Parma ammonta a 185.450,27 euro, oltre ai 90.000 investiti per studi e ricerche in corso d’appalto in armonia con quanto stabilito da Arpa su incarico della regione Emilia Romagna.

PIÙ OTTIMISMO, MA NESSUNA SOLUZIONE – “Il suolo della discarica abusiva a cui fanno capo i cinque comuni di Parma, Fontevivo, Fontanellato, San viaroloSecondo, Trecasali è il più grande in Emilia”. Questa tra le prime sconcertanti e agghiaccianti dichiarazioni dell’assessore all’Ambiente del Comune di Parma Gabriele Folli. “Gli interventi che sono stati apportati sono stati vari: sondaggi sul territorio specialmente tra il 2013-2014, opere di difesa idraulica e di bonifica del territorio. Tutte operazioni che ci permettono di stabilire come procedere per il meglio”.

Folli prosegue: “Per il momento il piano di intervento è rivolto da un lato a stabilire che cosa si trovi ancora nel terreno e dall’altro a difendere l’argine da eventuali esondazioni causate dalle erosioni del suolo”. Il 2009 è stato proprio l’anno in cui l’esondazione ha portato a galla sacchi di spazzatura e di rifiuti sul territorio parmense ed è stato l’episodio cardine che ha fatto nascere la lunga diatriba tra i due poli ostili: da una parte la Provincia, dall’altra il Comune di Parma.

Alla domanda di come si presenta oggi la situazione e di come si intende procedere l’assessore risponde: “L’intenzione ovviamente è quella di bonificare la zona. Il problema che rimane riguarda i fondi e, poiché non si tratta di pochi milioni di euro, è necessario il supporto anche di altri enti. Il Comune di Parma non si può sobbarcare un cifra simile”. La bonifica non può essere immediata dato che, come sottolinea Folli, quella discarica abusiva non è l’unica presente sul territorio parmense.

Ma la domanda fondamentale a questo punto è: dove verranno smaltiti i rifiuti? “L’idea migliore, che però la Provincia ha sempre osteggiato, sarebbe quella di caratterizzare il materiale e di riutilizzarlo una volta mineralizzato per impiegarlo come riempimento dei fondi stradali, facendo accurate controlli affinché vi siano livelli minimi di inquinamento”. Purtroppo però si tratta si supposizioni, idee e progetti dalla realizzazione incerta e imprevedibile.

La conclusione di questa lunga storia, avanti da troppi anni, è che non ha soluzione: non è ancora previsto un happy ending, né un’intervento concreto, anche se tuttavia si è più ottimisti rispetto agli anni passati, come afferma infine Folli: “Ci siamo trovati a dover gestire una situazione difficile dal momento che la precedente amministrazione aveva lasciato un debito di 800 milioni di euro. Rispetto al periodo di immobilismo che l’ha caratterizzata, adesso siamo riusciti ad attivare un percorso propedeutico alla bonifica del territorio grazie alle risorse disponibili”.

di Giulia Berni, Stefano Frungillo, Marica Musumarra

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