La pirolisi: il futuro sostenibile dell’industria agroalimentare

SIGLATA CONVENZIONE TRA UNIPR, UPI E CAMERA DI COMMERCIO

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E’ possibile ridurre gli scarti dell’industria agroalimentare abbassando contemporaneamente costi economici e ambientali?
E’ da questa domanda che nasce il progetto siglato lunedì 21 settembre a Palazzo Soragna dall‘Università di Parma, dall’Unione parmense degli industriali e dalla Camera di Commercio volta a valutare l’efficienza, la sicurezza ambientale e la sostenibilità economica nell’uso di impianti di pirolisi.
Si tratta di un processo termodinamico alternativo alla combustione e al compostaggio, le principali modalità di smaltimento degli scarti dell’industria agroalimentare italiana. Tuttavia entrambe le modalità comportano non solo un costo economico per le aziende ma rappresentano anche un peso gravoso per l’ambiente poiché producono un’alta quantità di Co2. La pirolisi, invece, è una tecnologia in cui il residuo viene trattato ad alta temperatura, con una quantità limitatissime di ossigeno e senza produzione di Co2.

 

COME NASCE IL PROGETTO – L’idea inizia a prendere forma un anno fa da scambi informali tra l’Upi, l’Unipr e la Camera di Commercio di Parma. “Sul tavolo c’erano le esigenze di un sistema agroalimentare complesso come quello del nostro territorio che lavora materie prime ricavandone prodotti pregiati  – afferma il Professor Marmiroli, coordinatore del progetto –  ma che comporta anche scarti o residui”. Residui che, tuttavia, non trovano posto nella filiera agroalimentare. “Nel momento in cui le filiere voglio caratterizzarsi – continua il Professor Marmiroli –  la qualità non basta in quanto deve certificarsi di sostenibilità economica e ambientale” e l’impianto di pirolisi potrebbe rappresentare una soluzione per entrambi i problemi. Questo processo, che comporta la decomposizione termochimica di materiali organici, sarà utile per produrre energia termoelettrica e nel contempo  anche ‘biochar’, meglio conosciuto come carbone agricolo, adoperabile sia per la bonifica di siti inquinati che per il miglioramento della qualità del suolo in campo agronomico. Per una città come Parma, al centro della Food Valley, la valorizzazione dei residui organici come bucce di pomodoro o residui della filiera di prosciutto può raffigurare un elemento di competitività determinante.

GLI ENTI COINVOLTI – Questo prospetto coinvolgerà l’Upi, la Camera di  Commercio di Parma, l’Università degli Studi di Parma, in particolare i docenti e i ricercatori dei Dipartimenti di Bioscienze, di Ingegneria Meccanica e di Economia insieme all’impresa Smc di Collecchio che fornirà l’impianto, le attrezzature e le competenze specializzate per la messa in atto della ricerca. “La presenza dell’Unipr e dei tre dipartimenti – dichiara il coordinatore del progetto – si colloca all’interno della ricerca come garanzia di terzietà e neutralità verso i cittadini”, garantendo la qualità scientifico-tecnica della ricerca ma anche il controllo  delle normative ambientali e sanitarie attualmente in vigore sulla movimentazione e trasformazione delle biomasse utilizzate. Il progetto nasce per tutelare l’interesse della collettività ed è reso possibile dagli enti finanziatori, l’Upi e la Camera di Commercio e dai due cofinanziatori, l’Università e la ditta Smc di Collecchio.

‘POTENZIARE LA PROPRIETA’ INTELLETTUALE’ – L’obiettivo di questo progetto, però, non è solo quello di consentire alle aziende di ottimizzare i costi del lavoro e migliorare la sostenibilità ambientale ma coinvolgere giovani ricercatori, collocandoli all’interno di questo sistema produttivo. A tutela di ciò sono presenti delle clausole di riservatezza che riguardano lo sfruttamento di eventuali brevetti e licenze. In questo progetto il ruolo dell’Università è quello di creare un ponte tra formazione e mondo del lavoro e il compito affidato alle aziende è dar vita a una nuova occupazione specializzata e qualificata. Un esempio di dialogo e cooperazione tra ricerca, innovazione e mondo del lavoro nell’interesse del territorio e della collettività.

 

 

Marta Costantini e Simone Zurlo

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