Una stanza senza libri è come un corpo senz’anima

RICORDI, SENSAZIONI, EMOZIONI

arQuand’ero piccola, e andavo a casa dei miei nonni materni, la ‘stanzetta’ era il mio luogo preferito. Entravo lì dentro e, in automatico, mi proiettavo in un mondo parallelo, isolato, fuori dal tempo. Intorno a me, solo tavolozze, colori, pennelli… e libri. Tanti libri. Anzi, un’infinità di libri, di ogni genere. Ho imparato presto a leggere, quindi passavo il mio tempo a toccarli e a riconoscerne i titoli e gli autori: Il fu Mattia Pascal, I Malavoglia, La coscienza di Zeno; Luigi Pirandello, Giovanni Verga, Italo Svevo. Non mi dicevano niente, conoscevo a stento i Fratelli Grimm, Gianni Rodari e Topolino, ma sentivo dentro di me che, in fondo, quell’ammasso di carta avrebbe avuto molto da dirmi. E mentre ci pensavo su, dipingevo. Anzi, prima disegnavo, a matita (perché, come diceva il nonno, “un segno scritto a matita può essere cancellato”), e poi, sicura del risultato, mi divertivo a colorarlo, consumando tutti i colori del nonno. Era lui che mi preparava le tele, con le sue mani, e me le faceva trovare pronte, sapendo che a momenti sarei andata a trovarlo.

Succedeva spesso: io e il nonno, nella ‘stanzetta’, a dipingere insieme. Ho imparato a tenere la mano ferma, a sbagliare sempre meno, ad accostare bene i colori. E tutto questo, col sottofondo della sua voce, che mi deliziava con qualche novella o qualche notizia su Giuseppe Pitrè. Dipingevo, ma i miei occhi non si staccavano dalle teche di vetro contenenti i libri. Mio nonno era vetraio, di mestiere, e aveva costruito le teche apposta per custodire gelosamente quel patrimonio accumulato negli anni. Lui, che forse avrà avuto la licenza elementare, amava leggere. Ogni occasione si mostrava utile per regalargli un libro, che lui divorava e terminava di leggere in pochi giorni. Lo stesso ha cominciato a fare con me, esattamente come lo zio. Ad ogni compleanno, ad ogni Natale, il mio regalo era sempre un libro. All’inizio, un libro per bambini. Poi, capendo entrambi che sarebbe stato letto in poche ore, un libro ‘da grandi’. E da lì ho iniziato anche io ad avere le mie mensole con i miei libri, ho cominciato ad accumularli e a trattarli come vedevo fare al nonno: accarezzandoli, odorandoli, sfogliandoli e curandoli, affinché non si formassero le ‘orecchiette’ (ovvero le pieghe in alto/basso nelle pagine).

Nonostante avessi la mia, di libreria, a me faceva sempre invidia quella del nonno. Forse erano le teche ad attirare la mia attenzione, o forse il semplice fatto che quei libri erano, appunto, del nonno. Allora un giorno mi presi di coraggio e gli chiesi se, quando non ci sarebbe stato più, avessi potuto ereditarlo io quel regalo prezioso. Mi sorrise, come fanno i nonni di fronte alle domande strane dei nipoti, e mi disse che non avrebbe scelto nessun altro, se non me. Tornai a casa mia con un sorriso, quel giorno. Non lo dimenticherò mai. Sapere che, prima o poi, tutti quegli scrittori, con i loro testi, sarebbero entrati in casa mia e sarebbero stati tutti miei, mi rendeva la bambina più felice del mondo.

Quando il nonno se n’è andato ho smesso di dipingere. Non avevo più le mie tele, quelle fatte da lui. Non avevo più i miei pennelli, regalati da lui. E non avevo più neanche i suoi colori. Credo di aver avuto una repulsione per la pittura, da quel momento in poi, e anche l’idea di scegliere una scuola d’arte andò pian piano scomparendo dai miei presupposti di bambina. Ma leggere no, di leggere non ho mai smesso. Anzi.

Dopo la morte del nonno, sono andata a prendere la mia eredità. Ho svuotato le teche, che ho lasciato alla nonna, e ho portato con me quel piccolo tesoro che adocchiavo da tanti anni. Ho sistemato i libri, uno per uno, nella nuova libreria che papà aveva dovuto comprare apposta. Una libreria grande, gigante, lunga quanto tutto il muro del corridoio e alta fino al tetto. Dopo averli sistemati, li ho guardati. E ho pensato a quanto era stato buono il nonno, a quanto sapere mi avesse lasciato e a quanto mi volesse bene e a quanta fiducia avesse riposto su di me. Perché me lo diceva sempre, che avrei fatto grandi cose in vita mia, e che gli avrei dato grandi soddisfazioni.

Ogni volta che torno a casa, passo un bel po’ di minuti a fissare i libri della mia libreria. Sono aumentati, nel corso degli anni: ci sono quelli di mamma, quelli di mia sorella, quelli di papà; ci sono quelli della scuola, quelli dell’università, e quelli comprati per il semplice gusto di leggerli. Sono tutti lì, ordinati secondo una logica (ormai, quella della mamma), accanto a quelli del nonno. E quando decido di prenderne uno e sfogliarlo, ritorno là, nella ‘stanzetta’, con un pennello e una tela disegnata, con il nonno che mi racconta Storia di una capinera.

Quando oggi sento parlare di e-book, un brivido mi sale lungo la schiena. Non ho niente contro questa nuova forma di lettura, soprattutto perché va incontro anche delle esigenze pratiche: i testi costano meno, puoi averne quanti ne vuoi e li raccogli tutti in un unico posto, senza che tuo padre sia costretto a comprare una libreria gigante come la mia (e, a volte, a sfogarsi dicendo che, prima o poi, i libri gli toglieranno anche il suo amato divano, dato che non avremo più posto dove metterli). Ma non ce la faccio, non ce la posso fare. Entrare in libreria, girare per gli scaffali, leggere i titoli, guardare le copertine, scoprire nuovi autori, scegliere un testo, portarlo a casa, scartarlo, leggerlo e poi riporlo nella libreria gigante mi fa sentire viva. E felice. Il piacere della lettura di un libro, vero, fatto di carta, di inchiostro, di profumo di nuovo, non ha prezzo.

Una volta ho anche provato a leggerlo, un e-book. Dopo dieci minuti, avevo già il mal di testa (e i sensi di colpa). Ho immaginato mio nonno guardandomi serio e severo, in segno di rimprovero. “Cosa stai facendo, Marica? Vuoi un libro, per caso? Te lo compro io!”, mi avrebbe detto. E l’avrebbe fatto, come quando mi prendeva per mano e, portandomi in libreria, mi faceva scegliere tutto quello che volevo. O come quando, a dieci anni, gli chiesi di regalarmi Siddharta di Hermann Hesse e lui, tutto perplesso, guardandosi con mio zio, non riuscì a capacitarsi della mia richiesta (in realtà, avevo studiato il buddhismo a scuola, mi era piaciuto e volevo saperne di più, destando anche le paure di papà). O come quando, ancora, mi diceva di leggere Pirandello perché ‘portatore di verità’. Se ho tutti i suoi testi, questo è il motivo.

La citazione utilizzata come titolo è di Cicerone. L’ho scelta perché, a quanto pare, già nell’antica Roma qualcuno la pensava esattamente come me. Una stanza, una casa, non può esistere senza libri. E secondo me, i libri non vanno rinchiusi in un supporto digitale: hanno vita propria. Esattamente, appunto, come ogni corpo ha una propria anima che ha bisogno di un luogo in cui stare. I libri vanno comprati, letti ma, soprattutto, custoditi. E gelosamente aggiungo.

Personalmente, mi sento fortunata. Ho ereditato dal nonno il bene più prezioso che ogni essere umano, a mio parere, possa desiderare: la cultura. E, per questo, concludo con un’altra citazione, che sembra calzare proprio a pennello:

Certi libri costituiscono un tesoro, un fondamento; letti una volta, vi serviranno per il resto della vita” – Ezra Pound

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