L’Università dei rifugiati

ACCOGLIENZA: QUALE RUOLO PER L'ATENEO IN QUESTA SFIDA?

Editorialedi Marco Deriu, docente di Sociologia della comunicazione politica e ambientale |

«Il radicamento è forse il bisogno più importante e più misconosciuto dell’anima umana »

(Simone Weil)

«Lo straniero è testimone della fragilità di ogni radicamento; radicato egli stesso nel terreno ingrato del suo divenire arbitrario»

(Edmond Jabès)

Non v’è dubbio che quella delle migrazioni forzate stia divenendo oggi una delle sfide più impegnative e importanti della società contemporanea. È certamente così per tutti coloro – uomini, donne, bambini – che sono costretti ad abbandonare tutto e a cercare la possibilità di una nuova esistenza in terre lontane dopo aver attraversato terre, deserti, montagne o mari o tutte queste cose messe assieme. Ma anche per quei paesi e quelle comunità cui è richiesto uno sforzo di generosità nell’accoglienza e nella presa in carico di queste umanità, nonché uno sforzo di ripensamento dell’idea stessa di cittadinanza anche in un momento in cui la crisi, la difficoltà e le sofferenze sono sempre più diffuse nel tessuto sociale indebolendo il senso di integrazione di tutti.

Ma in questa sfida diventa importante riconoscere che i rifugiati, non portano con sé solo fatiche, sofferenze, disperazione. Portano anche storie, conoscenze, saperi, visioni del mondo, relazioni, passioni e aspirazioni. Stupirà molti sapere che diversi di coloro che affollano le barche o che affrontano lunghe marce con bambini in braccio sono giovani che hanno studiato, si sono formati, che sono quasi sempre poliglotti. Talvolta si sono laureati e hanno perso il loro impiego professionale, talvolta la necessità di fuggire ha invece interrotto i loro sogni di studio e formazione.

Nella nostra città sono nati progetti importanti di accoglienza che hanno visto il coinvolgimento di associazioni, istituzioni e famiglie. Ma promuovere una cultura dell’accoglienza significa prendere in considerazione queste persone costrette a migrare nella loro integrità e ricchezza e non soltanto per i loro bisogni di prima necessità. In questo senso ritengo importante che dentro la comunità accademica si sviluppi una riflessione sul contributo che l’Istituzione universitaria può offrire nel sostenere i percorsi di vita e di proiezione professionale di queste persone e nel generare una conoscenza e un sapere che possa arricchire la stessa comunità cittadina.

Che cosa dunque l’Università di Parma potrebbe fare in questa direzione? I terreni su cui ci si potrebbe attivare sono diversi.

Il primo riguarda i rifugiati che sono già in possesso di un titolo di laurea. In questi casi il problema del riconoscimento dei titoli accademici riguarda non solo la valutazione dei titoli, ma anche la difficoltà di contare sull’appoggio o la collaborazione delle istituzioni accademiche nel paese di origine dal quale la persona è fuggita. In questi casi si può prendere in considerazione la definizione di percorsi facilitati per il riconoscimento dei documenti e dei titoli di studio e la predisposizione dei relativi uffici o strumenti di assistenza.

Il secondo riguarda la promozione del diritto allo studio, tenendo conto fra l’altro che si sta abbassando l’età dei richiedenti asilo e che occorre saper guardare le cose in prospettiva, oltre la logica dell’emergenza. Anche per costruire un legame più profondo e più ricco tra queste persone e il nostro territorio. Questo significa che l’Università di Parma potrebbe per esempio mettere a disposizione – collegandosi con il Servizio Centrale del Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati (Sprar) – borse di studio o risorse dedicate per facilitare i percorsi accademici di un certo numero di rifugiati ogni anno. In connessione a questo si potrebbe ragionare con l’Azienda per il diritto allo studio universitario affinché nelle condizioni e nei criteri di assegnazione dei posti alloggio si tenga conto anche del titolo e della condizione di rifugiato.

Il terzo infine riguarda le attività didattiche e di ricerca, nonché i tirocini e le attività extracurriculari. Su questo so che alcuni colleghi hanno già cominciato ad attivarsi e ad avanzare proposte. Certamente l’Università potrebbe offrire contributi importanti in termini di sviluppo di conoscenze non solo nella ricerca tradizionale ma anche creando occasione di incontri, scambi, informazioni e approfondimento nel rapporto con la città e le altre istituzioni e associazioni attive sul territorio.

Si tratta solo di alcune suggestioni che possono essere ampliate, integrate o approfondite, mettendo a frutto le diverse competenze che nell’Ateneo sono presenti per affrontare inevitabili problemi e difficoltà. Ma se è vero, come diceva Simone Weil che il radicamento è forse il bisogno più importante e più misconosciuto dell’anima umana, l’Università può e deve offrire un contributo fondamentale nella generazione di nuovi saperi capaci di mettere radici, di opporsi all’arbitrarietà e di rifondare su altre basi l’idea di comunità.

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