Ricercatori alla prova: come si affronta un colloquio?

SIMULAZIONE IN ATENEO PRIMA DI VOLARE A BRUXELLES

20151005_152612_640x360Un progetto di ricerca, seppur validissimo, può essere penalizzato dal fatto che il ricercatore non è preparato ad affrontare la discussione delle sue tesi. Specialmente in ambito internazionale. Ma un’iniziativa importante per ovviare a questa mancanza tra le aule dell’Università di Parma, è finalmente arrivata E si tratta di un colloquio simulato che il professor Stefano Sforza, docente delegato dal rettore, nonché uno dei promotori di questa proposta, definisce chiaramente con “l’obiettivo di preparare e testare i ricercatori calandoli in situazioni difficili mentre argomentano e presentano i loro ‘panel’, in modo da farsi trovare pronti nel caso ciò accada di fronte ad una vera commissione“.

L’INIZIATIVA E IL COLLOQUIO – Il colloquio simulato in questione rientra nell’ottica dell’European Research Council (Erc), l’ente comunitario che ogni anno, tramite dei bandi, mette a disposizione dei fondi per finanziare dei programmi di ricerca, denominati, appunto, ‘panel’. Questa proposta dell’università parmigiana nasce principalmente per soddisfare due esigenze: da una parte quella di adottare “una linea d’azione che punta ad incentivare l’indagine scientifica ed attrezzarsi per competere ai livelli più elevati”, come spiega ancora il professor Sforza. Dall’altro, quella dei giovani studiosi di non farsi cogliere impreparati di fronte ad un’occasione del genere. La procedura di valutazione vede infatti una presentazione orale di durata variabile tra i 5 e i 10 minuti. Successivamente ci sono circa 20 minuti di interventi e domande da parte dei membri di una commissione composta da circa una dozzina di docenti e professionisti di diversa estrazione. E il tutto rigorosamente in lingua inglese. “Lo scopo è quello di preparare i ragazzi a svolgere una presentazione che non sia nè troppo tecnica né troppo alla ‘Topolino’ -esemplifica Sforza-, in modo da avere una visione più ampia della situazione e quindi di espressione dei contenuti”.

I PARERI DEGLI INTERESSATI – “Considero davvero utile questo tipo di esperienza -spiega Daniele Del Rio, uno dei due ricercatori che hanno sperimentato questa simulazione-, poiché mi consentirà di implementare i suggerimenti che mi verranno forniti al termine della prova e quindi di migliorare sicuramente la mia prestazione”. Non a caso queste prove d’intervista sono sperimentate e consolidate già da tempo all’estero, “sopratutto all’interno del mondo anglosassone”, aggiunge Sforza. “Questa idea è già stata sviluppata all’estero, dunque nel contesto internazionale non è affatto nuova. In Italia -prosegue il professore- è invece una pratica ancora poco diffusa, anche se alcune università, tra cui Milano e Bologna, hanno iniziato a testarla”.Durante il colloquio simulato che si è tenuto nei giorni scorsi nella Sala del Consiglio, in via Università, sono emerse domande relative all’originalità dei progetti, entrando man mano nelle questioni ‘tecniche’, con l’obiettivo di mettere in difficoltà il candidato, sostenendo argomentazioni che rendessero la tesi confutabile. “Questo è quello che in genere accade anche di fronte alle commissioni europee” ha poi spiegato uno dei docenti della commissione, composta anche da alcuni professori che già in precedenza avevano fatto parte di quelle relative alla valutazione dell’Erc, che si riuniscono a Bruxelles.

IL FUNZIONAMENTO DEL BANDO ERC – Per giungere davanti alla citata commissione esaminatrice, l’iter prevede che vi siano due fasi di selezione. Nel primo ‘filtro’ vengono giudicati sia la bontà del progetto che la presentazione del candidato. Nella seconda si lascia ampio spazio sopratutto al colloquio, che poi determinerà i candidati che potranno accedere ai finanziamenti per la loro ricerca. Ad accedere ai fondi sono solo il 9-11% degli stessi. Come ha precisato inoltre Daniele Del Rio, “il budget previsto all’interno di ciascuna proposta non influisce sulla valutazione della stessa”, nonostante “il numero dei prospetti possa variare a seconda del budget complessivo che viene messo a disposizione dall’Unione Europea”. Il rischio maggiore in cui si può incorrere è dunque quello di vedersi approvato il piano di lavoro, ma non avere sufficienti fondi economici per realizzarlo. Ad esempio, le ricerche di Daniele Del Rio e Michele Miragoli, l’altro candidato che si è sottoposto alla simulazione d’intervista, prevedono un budget di circa 2 milioni a testa. Come se non bastasse, esiste inoltre una distinzione messa in campo dallo stesso Erc. L’ente infatti, raggruppa i candidati in tre diversi ordini in base al grado di esperienza acquisita nello svolgimento delle attività di ricerca. La prima fascia viene chiamata ‘starting‘ e vi sono collocati coloro che presentano un’idea per la prima volta. Dopo essersi fatti conoscere attraverso pubblicazioni e ‘panel’ si accede al secondo piano, detto ‘consolidator‘: si tratta di un grado intermedio che riguarda da vicino coloro che aspirano a diventare conosciuti nel proprio ambito di studio e che vantano un sufficiente bagaglio di esperienze. Infine si arriva all’ultimo gradino, denominato ‘advanced‘, in cui rientrano coloro la cui fama è riconosciuta in ambito internazionale.

I ‘PANEL’ – La tematica che accomuna le due differenti proposte di Daniele e Michele è quella relativa alla salute delle persone. Il primo, spiegano, si è focalizzato “sullo studio dell’effetto di particolari composti chimici che si trovano all’interno dei vegetali e che possono portare a malattie croniche, con l’obiettivo di ricavare meccanismi e risultati che conducano ad un possibile intervento per valutare i rischi sul sistema cardiovascolare”. Il secondo ha illustrato che la sua tesi “tratta il possibile sviluppo di un materiale nanotecnologico che consenta di ripristinare le condizioni del cuore in seguito ad un infarto miocardico, tramite l’ausilio di una piccolissima ‘lente’ funzionale alla ripresa del battito cardiaco”.

UN’INIZIATIVA CHE POTREBBE CRESCERE – Tutti, a cominciare dai promotori, tra cui il professor Sforza, si augurano infine che questo sia solo l’inizio di qualcosa che possa espandersi a macchia d’olio, arrivando magari a coinvolgere una fetta ancora più grande dell’Ateneo di Parma. In un Paese che si trova agli ultimi posti nella classifica europea per gli investimenti nella ricerca, iniziative del genere fanno solo ben sperare.

 

di Luca Mautone e Jacopo Orlo

Scrivi un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*