Jader Bignamini: I miei tre Festival Verdi, senza paura

"IL MIO ESORDIO ALLA DIREZIONE? ERANO IN BUCA A SUONARE IL CLARINETTO E MI E' STATO CHIESTO DI SALIRE SUL PODIO: SONO BALZATO FUORI"

BignèIl 31 ottobre è calato il sipario sull’edizione 2015 del Festival Verdi, a conclusione di una girandola di artisti, e di emozioni, di caratura internazionale. Tra questi anche Jader Bignamini, al terzo Festival Verdi consecutivo, che ha diretto la Filarmonica Toscanini e il Coro del del Teatro Regio in un concerto verdiano che si è concluso con ‘L’Inno alle Nazioni’. Una serata di grande prestigio che conferma il valore di un maestro giovane e talentuoso che ha fatto di Giuseppe Verdi il suo fiore all’occhiello.

Martedì di nuovo sul palco del Regio: c’è ancora un pizzico di timore a salire su quel palco e a entrare in quella buca?

“No, direi di n0. Ho diretto per due anni l’opera, quindi avevo già un certo credito e un feeling consolidato con l’orchestra. Non mi sento di parlare di tensione durante la performance, in quei momenti si pensa solo alla musica; bensì parlerei di tensione nell’attesa, di quella che io definisco ‘adrenalina buona’ che serve per far bene. Quella sì, c’è stata”.

Quale è il ricordo più bello di questi tre anni di collaborazione al Festival Verdi?

“Di ricordi belli ne ho davvero tanti. Sicuramente mi sento di menzionare il primo debutto con ‘Simon Boccanegra’, un’opera molto difficile ma a me molto cara: si tratta di un Verdi maturo che a me piace molto. Per il resto è difficile focalizzare dei momenti particolari, ne potrei enunciare tanti dal momento che ho sempre avuto un buon rapporto con i cantanti, mi sono sempre trovato benissimo. Quello del Teatro Regio è un ambiente familiare ma allo stesso tempo estremamente professionale, motivo per cui torno sempre volentieri. Far parte di questo Festival è bello, si lavora bene in questo contesto”.

Martedì ha diretto l’Inno delle Nazioni che Verdi scrisse nel 1862 e Toscanini ‘attualizzò’ nel 1943: oggi quel messaggio è ancor attuale?

“Si, è un messaggio molto attuale: il testo inneggia alla vita e alla bellezza del nostro mondo. Purtroppo tratta anche del tema della guerra che, ahimè, è ancora valido ai giorni nostri. La musica di questo inno va presa in maniera tuttavia diversa, si tratta di una musica festosa che vuole inneggiare alla pace tra i popoli, alla risoluzione dei conflitti”.

Guardando la sua carriera sembra ci sia una vera e propria predilezione per Giuseppe Verdi: esigenze professionali o passione personale?

“Assolutamente passione personale. Ho imparato a suonare il clarinetto da bambino e il mio insegnante, grande appassionato di opera e di Verdi, mi faceva ascoltare i suoi capolavori prima e dopo ogni lezione. Ho ascoltato ‘Simon Boccanegra’ per la prima volta a undici anni, si può dire che sono praticamente cresciuto con quest’opera in testa. Non potevo non continuare questo percorso”.

L’anno scorso il ministro Fanceschini non inserì il Festival Verdi nel Decreto cultura considerandolo una manifestazione di interesse locale: cosa ne pensa?

“Questo è un discorso complesso. Per quanto riguarda i Festival importanti, e più in generale i teatri e l’opera, bisogna garantire alta qualità per  avere i giusti riconoscimenti. Tuttavia senza finanziamenti non si può offrire il giusto livello di qualità, da qui nasce il problema: è un cane che si morde la coda! Il Festival Verdi è un’eccellenza che andrebbe finanziata, ampliata, pubblicizzata: se il Ministero non sovvenziona la cultura gli artisti fuggono. E iniziative come il Festival Verdi ne risentono”.

A un certo punto della sua vita ha messo da parte il clarinetto per la direzione: a cosa è dovuta questa scelta? E come immagina la sua vita se non avesse seguito la via della direzione?

“Devo dire che è successo tutto in maniera molto naturale. A nove anni ho iniziato a suonare il clarinetto, a ventuno già ero entrato in orchestra a Milano e nel frattempo a diciannove ho iniziato a dirigere la banda dove suonavo. Ho sempre avuto una predilezione personale per la direzione, già da bambino dirigevo lo stereo in camera con le bacchette del ristorante cinese. Strada facendo ho poi iniziato a dedicare meno tempo al clarinetto e più alla direzione, studiare entrambi per restare su un livello professionale era diventato impossibile. L’occasione è arrivata dall’Orchestra Verdi di Milano che mi ha chiesto di diventare primo direttore assistente e poi direttore associato, incarichi che ho accettato molto volentieri. Poi va da sé che uno strumento non si abbandona mai del tutto, motivo per cui, in casa, continuo a coltivare la passione per il clarinetto”.

Ci descriva il momento in cui è stato nominato direttore d’orchestra e la sua prima volta sul podio: le sue emozioni di quei primi istanti.

“Avevo già esperienza in merito dal momento che avevo diretto orchestre e concerti per ragazzi. L’appuntamento che poi ha dato la svolta alla mia vita c’è stato nel 2011 quando il nostro direttore musicale Zhang Xian ha avuto un problema al polso e mi è stato chiesto di dirigere la seconda parte di un concerto. Io ero nell’orchestra e sono letteralmente balzato fuori dalla buca per andare sul podio: si può parlare di una vera e propria entrata in corsa. Questo è una cosa importante ed eclatante che mi è rimasta impressa. Nel giro di una settimana, poi, ho diretto un concerto per la visita dell’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, in diretta sulla Rai. Questi due eventi hanno segnato un grosso passo avanti per la mia vita e per la mia carriera”.

A chi si ispira nella direzione? C’è un direttore che l’ha influenzata più di altri?

“Direi che non mi ispiro a nessuno in particolare. Ci sono, e ci sono stati, tanti bravissimi direttori d’orchestra, io credo che bisogna ispirarsi più alle esecuzioni che al gesto, bisogna prendere un po’ da tutti e poi interiorizzare. La cosa importante è creare uno stile proprio. A parer mio il miglior direttore d’orchestra in assoluto è Carlos Kleiber ma ce ne sono davvero tanti, tantissimi: sarebbe un torto nominarne uno a discapito di un altro”.

 

di Federica Fasoli e Giuseppe Mugnano

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