Neuroscienze e Scienze Umane: un dialogo non solo possibile, ma auspicabile

A PARMA ALL'AVANGUARDIA SI APRE A STUDI MULTIDISCIPLINARI DI RICERCA VERSO L'ARTE E L'ESTETICA

Cervellodi Vittorio Gallese, docente del Dipartimento di Neuroscienze |

Da alcuni anni le neuroscienze cognitive s’interessano di argomenti che fino a non molto tempo fa costituivano il dominio di riflessione ed indagine pressoché esclusivo delle scienze umane. Temi come intersoggettività, empatia, etica, estetica e arte sono divenuti oggetto di ricerche empiriche condotte in numerosi laboratori di neuroscienze in tutto il mondo, Parma inclusa. Il nostro laboratorio di neuroscienze cognitive negli ultimi dieci anni ha iniziato ad affrontare temi di natura estetica e artistica, come l’esperienza percettiva di opere d’arte astratta o le modalità di impatto sugli spettatori di aspetti stilistici del film come i movimenti di macchina e il montaggio.
Molti studiosi delle scienze umane hanno valutato il crescente interesse manifestato dalla ricerca neuroscientifica nei confronti dell’arte e dell’estetica come un’indebita invasione di campo o, nella migliore delle ipotesi, come un approccio dallo scarso o nullo valore euristico. Credo che si sbaglino profondamente. Il punto non è usare l’arte per studiare il funzionamento del cervello, ma studiare il sistema cervello-corpo per comprendere cosa ci rende umani e in che modo. Date queste finalità, l’approccio neuroscientifico all’arte e all’estetica non è solo legittimato, ma direi che è un atto dovuto. Le neuroscienze cognitive, nella misura in cui indagano aspetti cruciali per definire la condizione umana, divengono esse stesse ‘scienze umane’.
Ciò detto, va però sottolineato come ci siano vari modi di utilizzare le neuroscienze per affrontare il tema di che cosa significa essere umani. Guardare al cervello non basta. L’immagine ancora oggi dominante della natura cognitiva dell’essere umano e delle sue funzioni mentali opera una scissione netta e apparentemente insanabile tra processi linguistico-cognitivi e processi sensori-motori. Poco importa che tutti ammettano che entrambi sono in qualche modo riconducibili alla corporeità e fisicità biologica del cervello. Il cervello, secondo l’ancora imperante concezione del cognitivismo classico, è concepito come una scatola delle meraviglie computazionali e algoritmiche.
Un passaggio fondamentale consiste nel concepire il cervello non come una scatola magica, ma come una delle parti che definiscono il nostro essere incarnati. Quando interroghiamo il cervello con gli strumenti della ricerca empirica neuroscientifica dobbiamo essere consapevoli che il cervello umano si è evoluto nel modo in cui è arrivato fino a noi unicamente perché legato a un corpo che a sua volta si è evoluto obbedendo a criteri di adattamento a un mondo caratterizzato da certe leggi fisiche e non da altre. Se non si capisce questo intrinseco, ineludibile e vincolante legame tra cervello-corpo-mondo, si rischia di finire in un vicolo cieco. Possiamo, infatti, utilizzare il metodo neuroscientifico per avvalorare e asseverare un’immagine dell’uomo che lo vede unicamente espresso dalle sue facoltà intellettive simboliche e astratte, in cui il corpo non è che una mera appendice di scarso o nullo interesse per comprendere la nostra intelligenza e in ultima analisi la nostra natura. Dobbiamo, invece, partendo dal corpo, cercare prima di tutto di comprendere da dove originino i concetti che normalmente impieghiamo per spiegare le facoltà più tipicamente umane come l’espressione simbolico-artistica e la sua ricezione. Le neuroscienze cognitive ci mostrano, infatti, che l’intelligenza umana anche al livello sub-personale di descrizione, cioè al livello di descrizione che attiene ai neuroni e alle aree cerebrali, è strettamente legata alla corporeità situata degli individui. Tale corporeità non è esclusivamente riducibile ad un oggetto fisico dotato di estensione, ma si realizza pienamente nella sfera dell’esperienza. Il corpo è sempre un corpo vivo cha agisce e fa esperienza di un mondo che gli resiste.
Inoltre, non dobbiamo considerare la scienza in generale e le neuroscienze in particolare come strumenti totalizzanti. Così facendo approderemmo ad uno scientismo di cui, sinceramente, non sentiamo alcun bisogno. La scienza garantisce la produzione di un livello di descrizione complementare, ma al tempo stesso necessario, per fare luce sugli elementi di cui si sostanzia la condizione umana. A questo proposito, un tema ineludibile è quello della creatività e dell’espressione simbolica, di cui un aspetto decisivo è la produzione artistica. Un tratto distintivo della condizione umana é la capacità di piegare oggetti materiali conferendogli un significato che non avrebbero di per sé in natura; questo significato è il frutto dell’azione con cui noi umani plasmiamo e trasformiamo quegli stessi oggetti, ad esempio su una tela o il trasformare un blocco di marmo in un David o nel Ratto di Proserpina.
Su questo versante, io e il mio gruppo di ricerca al Dipartimento di Neuroscienze ci stiamo da anni muovendo in due direzioni complementari. La prima riguarda lo studio del ruolo dell’empatia, connotato essenziale dell’esperienza estetica che facciamo quando ci poniamo di fronte ad un’opera d’arte, come un quadro o un film; l’altra direzione è quella che connette il prodotto artistico con il gesto dell’artista che l’ha prodotto e la domanda riguarda come questo gesto possa evocare una risonanza sensori-motoria e affettiva nel cervello del fruitore. Non ci sogneremmo mai di studiare da un punto di vista neuroscientifico l’arte prescindendo dalle conoscenze che su questi temi ci offrono discipline come la filosofia, l’estetica, la teoria del film o la storia dell’arte. Questo è il motivo per cui le nostre ricerche empiriche su tematiche “di confine” nascono da un lungo studio preparatorio multidisciplinare che si avvale della collaborazione con studiosi delle scienze umane. Non dobbiamo temere questo approccio, ma valutarlo criticamente dopo averlo approfondito. Forse dovremmo tutti imparare da grandi figure del passato come Aby Warburg che, pur essendo un grande storico dell’arte, già più di cento anni fa trasse grandi ispirazioni dal confronto con biologi come Darwin e Semon o fisiologi come Hering.
La nostra Università, da questo punto di vista, è all’avanguardia nel nostro paese e non solo, nel concepire e realizzare un approccio multidisciplinare di riflessione e ricerca su aspetti fondamentali della natura umana, come l’arte o il cinema. Questo stesso approccio multidisciplinare penso si possa rivelare vincente anche per la formazione di nuove figure professionali, capaci di affrontare queste affascinanti tematiche con un bagaglio integrato di conoscenze e competenze di natura sia umanistica che scientifica.

1 Commento su Neuroscienze e Scienze Umane: un dialogo non solo possibile, ma auspicabile

  1. Un articolo interessante. Una foto magnifica… Aspettiamo il professor Gallese per dialogare fare interagire queste discipline… Dall’arte medica alla DanzaMovimentoTerapia. http://www.apid.it/conference_2016-programma/
    Milano 9-11 settembre 2016 presso università Bicocca.

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