Quando la terra trema…

NOVEMBRE 1983: QUEL TERREMOTO CHE DEVASTO' LA CITTA'

Quella del terremoto è una paura che non se ne va.

Mi ritrovavo a pensare, in questi giorni, se queste temperature primaverili in autunno le pagheremo in qualche modo. Non sto cambiando argomento, ma solo riportando una riflessione dei nostri ‘vecchi’ che, da sempre, sostengono che il caldo fuori stagione prima o poi porti al terremoto. Qualcuno mi ha ricordato che i giorni di San Martino (prima settimana di novembre) sono di norma i più caldi di tutto l’autunno, un po’ come avviene all’inverso per i giorni della merla che sono i più freddi dell’inverno. Passi l’estate di San Martino, ma queste temperature… Bah!

img115Il 9 novembre del 1983 Parma viene devastata da un terribile terremoto, che ancora ricorre nella memoria degli adulti: il tempo non è poi remoto, quindi mentre io sicuramente non lo ricordo non è difficile trovare, anche tra i più giovani, chi ha vissuto quei momenti. Erano le 17.30 del pomeriggio e  parmigiani si ritrovarono a correre in strada. Già, perché una volta, quando c’era il terremoto la prima cosa che si faceva era quella di correre in strada. Ora le cose sono un po’ cambiate, e dell’ultima scossa di terremoto del 2012 ricordo principalmente che le strade erano vuote, che ognuno rimaneva chiuso nella sua paura e nella sua abitazione e che era andato perso quel briciolo di solidarietà e di condivisione – certamente non allegra – di un fenomeno che sta interessando la città e i cittadini. Nel 1983 furono molte le case lesionate, gravi danni furono constatati alla chiesa metodista di Borgo Riccio e a quella degli stimmatini in Piazzale San Giacomo. L’Oltretorrente, ricco di case vecchie, fu quello che subì i danni maggiori, ma per fortuna solo un ragazzo venne ferito e non gravemente. Piazza Garibaldi, come si vede dalle foto d’epoca, era gremita di gente e i suoni delle sirene di ambulanze, polizia e pompieri risuonano in tutta la città. Un grande boato, prima della scossa, da molti ricordati come la più grande che la città avesse subito fino ad allora. Il Teatro Regio ne uscì danneggiato, tanto che ne venne dichiarata l’impraticabilità e la stagione lirica – prossima all’inizio – venne trasferita al Teatro Ducale, che sorgeva all’angolo tra via Bixio e via Costituente, dove ora c’è un condominio ed una banca: questo lo ricordo pure io, è stato demolito non tanti anni fa. Come nel 1971, alcune strade sono invase da detriti e calcinacci che provengono dai comignoli delle case o dai cornicioni. La gente rimane lì, nel silenzio del dopo scossa, in attesa di quella successiva che – si sa – prima o poi arriva. In molti hanno scelto di dormire per strada e aspettare l’alba avvolti in un plaid, in un’epoca dove ancora la paura del terremoto era più forte di quella degli sciacalli e dei ladri.

Gli altri terremoti li ricordo bene. Nel 1996 ero a scuola e la mattinata stava per finire: la nostra maestra ci ha fatto uscire dall’aula e siamo andati fuori nel cortile, anche se l’immagine che ancora oggi ricordo di quella scossa è lei che tiene ferma img117la piccola televisione che avevamo in classe e che – appoggiata su una scaffalatura di metallo – dondolava impetuosa dirigendosi verso il pavimento. Del 2008 ricordo che dovevo scendere le scale di casa e che la paura mi ha fermato e paralizzato sul pianerottolo, l’impressione della terra che si muoveva mi impediva anche di mettere a fuoco dove dovevo mettere i piedi e il rumore metallico della ringhiera che si muoveva non aiutava a fare il primo passo. Il gennaio 2012 ero, sola, nella casa dei nonni a Berceto per preparare un’esame: mi ha svegliato la scossa, infinita. Sentivo il letto muoversi, ho realizzato che era il terremoto e ricordo di aver guardato l’armadio di fianco al letto che si muoveva avanti e indietro, come se da un momento all’altro avesse potuto piombarmi addosso. Proprio breve, per aver visto e sentito tutto ciò ed essermi appena svegliata, non è stata. Ho fatto solo due cose: mi sono alzata, finita la scossa, messa la tuta, preparato lo zaino e uscita di casa. Non ci sono rientrata per tutto il giorno, per fortuna, non c’era la neve e il sole – seppur invernale – ha collaborato al mio girovagare. Di quelle fortissime dello sciame sismico di maggio dello stesso anno, invece, ricordo che stavo preparando l’esame di Storia Contemporanea e che dopo le prime scosse, ho riempito la borsa con i miei risparmi, quei pochi braccialetti e regali cari che ho, e ho passato il giorno a girare per la città: nel terrore, avevo con me le poche cose che se crollava la casa, mi avrebbero permesso di sopravvivere. Credo che sia proprio questo il ricordo più brutto che ho del terremoto: forte come quella volta non mi era mai capitato e abitare all’ultimo piano di un condominio di vecchia data non mi tranquillizzava. Le foto e i video di quello che era accaduto di brutto, nelle immediate vicinanze della città e nelle città vicine, mi faceva al tempo stesso sentire in uno stato di ansia e di impotenza.

Penso, in generale, una cosa: il fuoco lo si ferma, in un qualche modo, ma l’acqua e la terra non le ferma nessuno. Aver paura non è da codardi, ma è lecito. In ogni caso, gli estremismi sono sempre negativi: non si può vivere ossessionati dal terremoto 365 giorni all’anno per tutta la vita, ma in quei momenti è inevitabile farsi prendere la mano.

di Chiara Corradi

 

 

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