Alan Scaffardi: “Giovani, non restate in Italia: la musica è finita”

DAI VIAGGI CON MARIO BIONDI IN CERCA DI FORTUNA AI PROGETTI FUTURI, PASSANDO PER X-FACTOR: IL CANTATE SI RACCONTA

alan.scaffardiSi definisce un “parmigiano del sasso”, come tutti coloro che da generazioni vivono a Parma: è Alan Scaffardi, classe 1977, conosciuto ai più come concorrente della 7^ edizione di X Factor, cantante eclettico del panorama emiliano e non solo. Ha capito che la musica non sarebbe stata solo una passione ma tutta la sua vita quando era piccolissimo. Poi, tra viaggi in auto in compagnia di Mario Biondi con “in tasca quattro spiccioli e tanta voglia di cantare” e collaborazioni con alcuni grandi nomi della musica italiana e sulla scena internazionale, è arrivato a far sentire la sua voce prima in Giappone, poi sul piccolo schermo della televisione italiana, non senza difficoltà.

Com’è nata la tua passione per la musica?

“Da molto piccolo, avevo tre anni, i miei mi hanno regalato una tastiera della Casio, hanno notato la mia predisposizione per la musica – riproducevo ad orecchio le musiche delle pubblicità – e a 7 anni mi sono iscritto al Conservatorio di Parma. Poi da lì non ho più lasciato la musica, mi sono avvicinato a vari strumenti, dalla chitarra al pianoforte e al basso, per poi cominciare a cantare.”

Quando hai capito che fare il cantante era la tua vocazione?

“Beh, ho cominciato a cantare all’età di 16 anni, prima non pensavo neanche di esserne capace. Ho smesso di suonare il basso nel gruppo di cui facevo parte e in preda ai turbolenti stati emotivi adolescenziali ho iniziato a scrivere canzoni; le componevo alla chitarra e poi le suonavo con un gruppo. Abbiamo sperimentato molti generi finché non sono arrivato al jazz e al soul.”

Quanto hai dovuto studiare e che studi hai fatto per arrivare fin qui?

“Ho studiato in Conservatorio, 5 anni di pianoforte, poi ho continuato privatamente. Ho imparato a suonare molti strumenti da autodidatta, per poi prendere lezioni di canto con Stefania Rava, una delle più note ed affermate cantanti jazz del panorama parmigiano e nazionale. Dietro suo consiglio ho partecipato all’Umbria Jazz Clinics a Perugia, che è in gemellaggio col famoso Berklee College di Boston, un’esperienza arricchente ed unica.”

A quando risale la prima esibizione davanti ad un pubblico vero e proprio?

“I primi concerti risalgono a quando avevo 16 anni, con il gruppo di cui facevo parte all’epoca. Il primo vero concerto come cantante l’ho fatto in occasione di una festa del quartiere Montanara, dove sono cresciuto. Suonavamo per lo più pezzi dei Timoria, come cover band. Poco dopo ho fondato con alcuni amici un nuovo gruppo, ci chiamavamo i Quinto parallelo, facevamo funky italiano, ma poi la band si è sciolta ed ho proseguito da solo per la mia strada.”

A proposito dei Quinto parallelo, una curiosità, come mai questo nome?

“Principalmente perché eravamo in cinque: al bassista è venuto in mente questo nome e l’abbiamo tutti apprezzato. L’intento era un po’ quello di individuare un nostro spazio nel mondo, un microcosmo di musica. Noi stessi eravamo autori dei nostri pezzi e li registravamo.”

Dopo hai anche aperto dei concerti importanti, dai Tiromancino ai Negrita: suonare davanti ad un pubblico così grande che emozioni dà?

“Sì, con i Quinto parallelo facevamo da band di apertura di alcuni grandi della musica italiana. Cantare davanti ad un pubblico è sempre una grande emozione, che ci sia poca o così tanta gente. Trovo che la tensione sia fondamentale per la riuscita del concerto, in un certo senso, anzi a volte la pressione, paradossalmente, è più grande se il pubblico è ridotto.”

Nel tuo curriculum spiccano collaborazioni con diversi artisti, tra cui Mario Biondi. Qual è quella che ricordi più volentieri?

“L’esperienza con Tony Esposito e Carl Potter è stata molto interessante ed arricchente, è tra quelle che porto più nel cuore sicuramente. Mario Biondi l’ho conosciuto quando ancora non era famoso, condividevamo l’auto e spesso giravamo l’Italia cercando un posto in cui esibirci con pochi spiccioli nelle tasche. È stato senza dubbio un periodo divertente, con lui ho passato moltissimo tempo. Un’altra collaborazione interessante è stata quella con Red Canzian. Avevo scritto un disco che lui doveva produrmi ma, nonostante io mi trovassi molto bene con lui come persona, la cosa non è andata a buon fine purtroppo.”

Raccontaci della tua esperienza ad X Factor, da dove è nata l’idea di partecipare al famoso talent?

“Dopo la delusione del disco di cui parlavo, ed aver girato un po’ il mondo esibendomi anche in Giappone, ho deciso di provare il talent come trampolino di lancio, ed è andata bene in fondo. Vivere il programma da concorrente  è stata un’esperienza nuova. Dietro le quinte avviene tutto in modo molto rapido e preciso. Eravamo chiusi in camerino dalle 14.30 fino ad un minuto prima della diretta, l’ultima prova veniva fatta il giorno prima della serata in diretta, anche se avendo tempi molti stretti non sempre ci si riusciva. Aspettavamo il nostro turno di esibirci nel così detto ‘pollaio’, circondati dalle telecamere e vivendo appieno la pressione della diretta.”

Scaffardi.X.Factor

E per quanto riguarda il rapporto con gli altri concorrenti?

“Tendenzialmente sono rimasto in ottimi rapporti con tutti, soprattutto gli ‘emiliani’ (Fabio, Alba, Valentina, Violetta… ) molti li sento con regolarità, come gli Street Clerks, con altri ho perso i contratti purtroppo. Vivendo tutti insieme lì nel loft, avevamo un ottimo rapporto per quanto la convivenza portasse qualche volta a discutere, com’è normale fare tra coinquilini insomma. Appena entrati nella casa in cui alloggiavamo, venivamo privati del telefono e di internet, non potevamo quindi avere contatti con le nostre famiglie e per me è stato insostenibile non sentire né vedere mia moglie e i miei figli per un mese. L’unica cosa che potevamo fare era scrivere loro delle lettere, ma le risposte le abbiamo ricevute tutte una volta ‘eliminati’ dallo show. Riusciamo a vedere i loro volti solo nella buia X Factor Arena, durante l’esibizione in diretta.”

Com’è cantare in televisione? Cosa cambia rispetto ai live?

“Cambia molto, sai di metterti in discussione davanti a milioni di persone e che i tuoi due minuti di esibizione possono segnarti la carriera, in un modo o nell’altro, soprattutto ora che con i social tutti possono commentare la tua performance e rivederla all’infinito. Poi se contiamo che venivano a dirci dietro le quinte ‘ragazzi, abbiamo raggiunto i due milioni di spettatori!’…”

Invece con i giudici (edizione 2013: Mika, Morgan, Simona Ventura, Elio) il rapporto com’era?

Mika non si vedeva mai, perché contemporaneamente era impegnato in altri progetti. Morgan ogni tanto si metteva perfino a suonare il piano ed era molto bello starlo a sentire. La Ventura, a differenza di quanto sembra vedendola in tivù, era quella più simpatica. Quando le telecamere erano spente si intratteneva volentieri, ci portava i dolci e pranzava con noi. Elio stava sempre un po’ sulle sue, simpatico ma tende a mantenere le distanze. Comunque li vedevamo pochissimo durante la settimana, giusto all’assegnazione dei brani il venerdì, all’ascolto dei brani assegnati il lunedì e poi alla serata in diretta.”

Tornando a Parma, hai anche partecipato all’evento di beneficenza per il quartiere Montanara organizzato dopo l’alluvione?

“Sì, il Montanara è il mio quartiere, anche se non ci abito più ci sono cresciuto, tutti mi conoscono e io conosco tutti. Ho partecipato alla manifestazione con un paio di pezzi chitarra e voce e ho cantato anche durante il pranzo di ringraziamento per gli ‘Angeli del fango’.”

Che consigli ti senti di dare a un giovane che volesse intraprendere una carriera musicale?

“Prima cosa: studiare tantissimo perché è fondamentale. Non fermarsi mai davanti agli ostacoli, perché ce ne saranno e non pochi. Non sentirsi mai arrivato, perché c’è sempre qualcosa da imparare da chiunque, anche dal coglione di turno. Poi muoversi molto, ascoltare tanta musica e andare a vedere molti concerti. E soprattutto andare via dall’Italia.

Perché?

“Perché la musica in Italia è finita. Una major, la Sony, controlla tutto il mercato ed è quasi impossibile riuscire a farsi conoscere senza entrare a farne parte. Un altro grave problema sono i big della musica italiana. Forse perché siamo conservatori, forse perché siamo vecchi, intendo come Paese. I nomi che hanno più successo sono sempre quelli, ormai da decenni. Dico: lasciate spazio anche ad altri. Girando per l’Italia ho conosciuto gente con due coglioni così, bravissimi, che però possono solo andarsene per avere successo. Il Giappone, per dire un paese che conosco bene, è avanti secoli rispetto a noi. Ci sono andato col progetto Papik di Nerio Poggi, abbiamo fatto due sold out a Tokyo e ci hanno intervistati nella radio principale del Giappone, la ‘loro’ Radio Deejay, all’ora di punta. Per dire come ci sia spazio per tutti e anche piccoli gruppi come il nostro hanno una grande esposizione. Poi a noi ha aiutato che i giapponesi vanno pazzi per gli italiani, credo sia il contrasto fra la loro precisione e organizzazione maniacale e la nostra fantasia e improvvisazione.”

E la partecipazione a un talent come la vedi?

Un talent ti può consacrare o seppellire. Sono armi a doppio taglio, credo ci sia bisogno di avere grande esperienza per poterli gestire, anche se sicuramente possono essere un’opportunità importante. Per un giovane poi non è certo un problema non sentire i genitori per un paio di mesi, al contrario di me che se non sento i miei figli per tre giorni impazzisco, figurati com’è stato non sentirli per mesi…”


Quali sono i suoi progetti attuali?

Papik - Staying for good“Per ora lavoro con Papik e col gruppo dei Monaci. Il primo è un progetto jazz creato da Nerio Poggi di cui io sono il cantante principale. Ci siamo conosciuti nel 2005 quando ho fatto la traccia vocale per un pezzo che doveva cantare Mario Biondi ma quando lui l’ha sentito ha detto che andava bene così e abbiamo iniziato a lavorare insieme. Abbiamo pubblicato svariati dischi, sempre come Papik, ma spero che a breve mi possano aiutare a pubblicare il mio disco, quello che tengo nel cassetto dai tempi di Red Canzian. ‘I Monaci’ invece è un gruppo nato da pochissimo e fondato da me e alcuni miei amici per divertimento. Oltre a me come voce ci sono Corrado Caruana alla chitarra, Leonardo Caligiuri come tastiera, Francesco Sgorbani alla batteria, Alessandro Mori al sax, clarinetto e altro, Max Turone al basso e Luca Ludergnani come ‘monaco non musicante’. Abbiamo fatto due serate che sono state un successo oltre le nostre aspettative e ne abbiamo un’altra in calendario l’8 gennaio al Circolo Arci Colombofili qui a Parma. Stiamo pensando quindi di trasformare il progetto, ancora in via di sviluppo, in qualcosa di più.”

 

di Andrea Prandini e Fiorella Di Cillo

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