La crisi del welfare vista al femminile da Balbo, Pellegrino, Caronna

TRA CAMBIAMENTI, INTERESSI PERSONALI E MANCATO RIEQUILIBRIO DELLA TASSAZIONE

welfaredonneDonne sull’orlo di una crisi di welfare‘. La conferenza di Uniforcity dello scorso venerdì inizia dalla citazione del famoso film di Almodòvar. Nervi contro welfare. Forse le due cose non sono nemmeno così sconnesse. A sottolinearlo è Vincenza Pellegrino, sociologa e docente dell’Università di Parma che, proprio a partire dal titolo, pone un interrogativo: “C’è forse una fatica, una stanchezza dovuta al welfare?” Attorno a questa domanda, e tenendo conto della crisi socio-economica degli ultimi anni, si incentra il dibattito che vede come protagoniste tre donne diverse ma legate tra loro da interessi comuni e obiettivi condivisi.

Per Laura Balbo, sociologa con un passato da ministro delle Pari Opportunità negli anni ’98-2000, sotto il governo D’Alema, per parlare di welfare “bisogna considerare la prospettiva dei cambiamenti. Il nostro vivere deve tener conto della velocità con cui avvengono i cambiamenti”.
Eppure questo discorso inizia da lontano: “I temi legati al welfare – afferma la Balbo – sono emersi nell’ambito internazionale negli anni ’80, a partire dalla Svezia. Tutto è cominciato da un documento intitolato ‘La Svezia con la cura’, e dalla pubblicazione, sempre del governo svedese, nel 1984, di un fascicolo chiamato ‘I tempi della cura’. Quello svedese fu un passo importante. La Svezia aveva un ottimo welfare ma riguardava solo aspetti della vita pubblica e c’era la volontà dello Stato di aprirsi alla vita quotidiana, alla sfera privata”.
Oggi come ieri “bisogna interrogarsi – prosegue – sulla strategia per costruire un welfare sui diritti, non solo quelli giuridici ma in un ottica più globale. Bisogna smuovere i confini rigidi legati al cattolicesimo e anche a determinate scelte politiche.”
Segnali di apertura che nella sua attività di ministro aveva già tentato di avviare: “Quando ero alle pari opportunità ho provato ad innescare un discorso su migranti, coppie omosessuali, e donne. Mi sono confrontata con un ministro della Democrazia Cristiana ma poi, un bel giorno, mi sono ritrovata fuori dal governo”. Non tutto il male, però, sembra venire per nuocere: “Malgrado tutto – sottolinea la sociologa – il contesto italiano è andato avanti. Ho visto che ci sono state modifiche rispetto a cosa voglia dire essere una donna adulta e essere laici oggi”. L’importanza di questo passaggio avviene, secondo la Balbo, all’inizio degli anni 2000: “Quando il welfare è diminuito – afferma – è successa una cosa strana. Si è avuto un periodo in cui un numero altissimo di donne migranti son arrivate in Italia per fare le badanti. Allora è stato come se avessero inventato un modello di transizione“.
Secondo l’ex-ministro per cogliere la prospettiva dei cambiamenti è necessario focalizzarsi su due punti fondamentali. Il primo è che: “nelle nostre società europee, in Italia particolarmente, stanno crescendo le diseguaglianze. Non è facile avere una prospettiva positiva per il futuro”. Il secondo è l’importanza di tener conto delle nuove tecnologie: “Le piccole cose quotidiane stanno cambiando molto anche per questi aspetti, dal campo medico fino alla comunicazione. La crisi comprende tutti i risvolti della vita di tutti noi“.

Riparte proprio da quest’ultima osservazione il discorso di Emilia Caronna, delegata del rettore per la disabilità, che nota come “la crisi, per chi volesse occuparsi di welfare, c’è sempre stata”. E propone una soluzione ai problemi attuali: “Il welfare deve essere sinonimo di ascolto. Il problema della crisi è che oggi la maggior parte delle associazioni di Parma pensa solo al proprio orticello. Il welfare non funziona se si dà spazio solo agli interessi personali. Ascoltare è importante, ed è una qualità tipicamente femminile”.
Altra caratteristica femminile è la concretezza: “Il welfare non va osservato da un punto di vista troppo sociologico, ma bisogna guardare alle situazioni concrete”.

Diverso invece il parere della Pellegrino, che fa notare come “il welfare non vada visto come un fatto tecnico legato principalmente alla sanità, ma bisogna valutarne gli aspetti sociali. Il mercato si è emancipato dalle politiche statali, non c’è più bisogno dei lavoratori e delle tasse, e questo fa sì che il welfare basato sul riequilibrio della tassazione non funzioni“. La motivazione secondo la Pellegrino è dovuta a “dinamiche sovra-statali” e per questo la sociologa sottolinea come la Regione Emilia-Romagna stia proponendo un progetto di ‘welfare partecipato‘ dove “l’idea portante è quella di un’istituzione forte che coordini i privati, lavorando e interagendo con le diverse realtà”.

 

di Luca Mautone

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