Docenti in rivolta per blocco classi e stipendi: in Unipr raccolte 180 firme

ADERISCONO 17 DIPARTIMENTI SU 18: "CI ASTENIAMO DALLA VQR FINCHE' NON RIAVREMO LA NOSTRA DIGNITA'"

la-buona-scuola-siamo-noiL’università pubblica è in declino? Lo si è sentito dire tante volte nei corridoi delle statali di tutta Italia, ma alla fine di ogni manifestazione si è scelto di tornare dietro la cattedra, nella speranza che più avanti qualcosa sarebbe cambiato. 
La tendenza negativa dell’università pubblica italiana, però, rimane, e a livello internazionale è confermata dall’ultimo rapporto ‘Education at a glance’, in cui l’Italia si è aggiudicata il gradino finale nella classifica dei 34 Paesi Ocse per numero di laureati, tra i 25 e i 34 anni, con una media del 62% contro l’82% dei restanti, oltre ad aver registrato una delle percentuali più basse (0,9%) dei fondi pubblici investiti nell’università in rapporto al Pil, la metà del Regno Unito (1,8%) e molto distante anche da Germania e Francia (1,2% e 1,4%).
Questi dati da soli sarebbero sufficienti a scaldare gli animi di studenti e docenti universitari, ma questa volta a spingere oltre 20.000 docenti di 82 università italiane alla ‘rivolta’ è stata una questione ancora più spinosa: il blocco delle classi e degli scatti stipendiali.

IL TASTO DOLENTE – Nonostante nella tanto discussa Legge di Stabilità del governo Renzi non sia più reiterato per il 2016 il blocco delle classi e degli scatti stipendiali dei docenti universitari, rimasto in vigore dal 2011 al 2015, non verranno riconosciuti gli effetti giuridici dello stesso quinquennio, com’è avvenuto invece per tutti gli altri dipendenti pubblici, che hanno visto la fine del blocco il 1° gennaio 2015. Cosa significa concretamente? Con il blocco della maturazione delle classi stipendiali ciascun docente, sia questo un professore ordinario, associato o ricercatore, a partire dal 2016 resterà sempre a una classe stipendiale inferiore rispetto a quella che gli sarebbe spettata se non fosse stato attuato il blocco, quindi continuerà a registrare un prelievo di stipendio crescente nel tempo. Per coloro che sono entrati di ruolo poco tempo prima del blocco, ma in giovane età, e avranno quindi la possibilità di percorrere l’intera carriera universitaria, si calcola una perdita complessiva di circa 83.000 euro per i ricercatori, 100.000 per i professori associati e 140.000 euro per i professori ordinari. Se ci si riferisce, invece, all’età media di ingresso in ruolo dei docenti, soltanto il ricercatore avrà il tempo di percorrere l’intera carriera universitaria mentre gli associati e gli ordinari non riusciranno a raggiungere la classe finale prima della pensione.

LA PROTESTA: DAL POLITECNICO DI TORINO ALL’UNIVERSITA’ DI PARMA – Tutto è iniziato con la lettera di Carlo Ferraro, professore ordinario al Politecnico di Torino, sottoscritta da oltre 23 mila docenti universitari e inviata sia al Governo sia al presidente della Repubblica, in cui si chiede lo sblocco degli scatti di stipendio della docenza universitaria. A seguire, 129 mozioni ‘Stop Vqr’, di cui 21 deliberate dai senati accademici, per un totale di 46 atenei italiani.
Non fa eccezione l’Ateneo di Parma, che ha consegnato al rettore una lettera firmata da più di 180 docenti universitari (oltre il 20% del totale), registrando l’adesione di 17 Dipartimenti su 18 (con la sola eccezione di Giurisprudenza). Inoltre sono state approvate delibere a favore da 5 Dipartimenti (Economia, Fisica e Scienze della terra, Matematica, DICATeA, S.Bi.Bi.T.). 

foto2Siamo soddisfatti – spiega la professoressa Annamaria Cavalli (tra i promotori dell’iniziativa) -: questa è la dimostrazione che non tutti sono disposti a chinare sempre la testa, soprattutto dopo che gli ultimi governi hanno considerato l’università pubblica un salvadanaio, a cui sottrarre continuamente risorse senza mai aggiungerne di nuove, a non troppo velato vantaggio degli atenei privati“.
Ma cosa chiedono i docenti dell’Università di Parma al proprio rettore? “Il movimento di protesta – spiega la Cavalli – non chiede di non essere valutato né aumenti di stipendio, chiede di essere trattato come altre categorie non contrattualizzate di analogo livello, alcune delle quali, come i magistrati, dopo lo sciopero di un solo giorno, non hanno visto più intaccato nessun loro diritto o come altre, ad esempio i ricercatori del Cnr, a cui sono stati sbloccati gli scatti stipendiali a partire dal 1° gennaio 2015, ottenendo anche il riconoscimento giuridico delle classi del quadriennio 2011-2014“. Una battaglia, questa, che non riguarda esclusivamente ‘le tasche’ dei docenti, ma soprattutto la dignità della categoria. E per ‘combatterla’ l’Ateneo di Parma, come tutti gli altri, sta attuando  l‘astensione temporanea dalla Vqr (Valutazione della Qualità della Ricerca). “Questo- continua la docente – è un modo per premere sul Miur (Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca) e sull’Anvur (Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca), che non potranno considerare valido un procedimento che vedrà la mancata partecipazione di una notevole percentuale dei diretti interessati. In questa maniera ci auguriamo che non sia necessario ricorrere ad altre iniziative, che inevitabilmente danneggerebbero gli studenti e le loro famiglie, quali il blocco degli esami, delle lezioni e delle discussioni delle tesi”. Poi si rivolge a coloro che hanno scelto di non mettere la firma: Lo stare alla finestra, aspettando che siano sempre gli altri a esporsi, con rivendicazioni che, se accolte, avranno poi ricadute a beneficio di tutti, è uno stile di comportamento tipico di molti e particolarmente diffuso nel mondo accademico.

I FIRMATARI – “I firmatari della lettera al rettore – tiene a precisare la professoressa Cavalli – non hanno certo timore di essere valutati, come qualcuno vorrebbe insinuare, basti dire che tra di loro figura il matematico più citato a livello
Mappa_mozioni_02122015rev2internazionale; numerose adesioni provengono da Dipartimenti quali Matematica e Informatica o Neuroscienze che hanno raggiunto nella Vqr precedente risultati di eccellenza; c’è il presidente del Nucleo di Valutazione dell’Ateneo, la pro rettrice alla Didattica, alcuni presidenti di Comitati d’Area e diversi presidenti di corsi di studio. Insomma, un ottimo risultato, se si considera che la lunga pazienza portata dal corpo docente, inizialmente giustificata con la situazione economica del Paese, ormai correva il rischio di tramutarsi in assuefazione e apatia”.

“Ho deciso di aderire – sostiene  a sua volta Emilio Acerbi, docente del Dipartimento di Matematica e Informatica – perché da anni sono in atto campagne mediatiche volte a stabilizzare l’idea del professore universitario come un fannullone. Ci sono sessantamila professori universitari in Italia con degli stipendi che sono un terzo di quelli europei, con una consistenza numerica che è metà di quella europea, con supplenze pagate zero euro, senza le quali l’università andrebbe in crisi, tagli ai fondi di ricerca e a quelli per nuove assunzioni”. Parla per esperienza Acerbi: “Quando appena laureato ho scelto di tentare la carriera universitaria al posto della ben più remunerativa carriera nel privato, c’era una legge che mi assicurava una certa progressione economica. Quella legge è stata del tutto disattesa. Non chiedo che mi restituiscano gli arretrati, però neppure tollero di essere preso a pesci in faccia”.

Dello stesso avviso Andrea Fabbri, docente al Dipartimento di Scienze degli alimenti: Il trattamento a noi riservato è il segno di una sorta di disprezzo per la categoria, ritenuta dal Governo poco degna di rispetto, poco degna di essere retribuita in modo adeguato, indicando quindi una condizione parassitaria e improduttiva, evitando di ricordare che la gran parte dei docenti lavora ben oltre il normale orario dei dipendenti pubblici e privati, porta denari all’Ateneo e allo Stato, e svolge una funzione essenziale per il futuro del Paese“. 

Ma all’Università di Parma c’è anche chi, come la pro rettrice all’Area Didattica e docente al Dipartimento di Scienze Medico-Veterinarie, Maria Cristina Ossiprandi, pur sostenendo fortemente la mobilitazione, preferisce non astenersi dalla Vqr: “Ritengo che questo vada a ledere e penalizzare fortemente il mio Ateneo compromettendone la sostenibilità in termini di Ffo (Fondo di finanziamento ordinario) e in modo indiretto lo studente. Mi auguro pertanto che la protesta ‘sacrosanta’, così come l’ha definita nei giorni scorsi in un’intervista il rettore Borghi, possa contribuire a sensibilizzare non soltanto l’opinione pubblica ma direttamente la classe politica che amministra questa nostra Italia”. La pro rettrice potrebbe sembrare una ‘voce fuori dal coro’ e, forse, un segno di debolezza della stessa mobilitazione, se non fosse che anche lei ha messo la sua firma nella lettera-simbolo della protesta: “La scelta non scaturisce da un’esigenza di carattere pecuniario – spiega l’Ossiprandi -, tutt’altro, ho aderito alla protesta perché ispirata, in primis, da un senso di giustizia e di equità ma soprattutto da un senso di responsabilità sociale. Se crediamo, come a più riprese ribadito anche a livello europeo, che l’evoluzione socio-culturale di un popolo sia direttamente connessa al livello di studio, l’Accademia costituisce un valore aggiunto per una nazione e deve, assolutamente, essere tutelata e con essa tutti coloro che la governano e ne promuovono la mission”.

 

di Francesca Matta

Scrivi un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*