Gino Campagna: “In Tv Usa insegno a nutrirsi, ma Parma è la mia America”

DALL'OLTRETORRENTE A LOS ANGELES: LO CHEF PARMIGIANO STAR AMERICANA DEI PROGRAMMI SULLA BUONA CUCINA

Parma città Unesco. Un riconoscimento in cui ha avuto un piccolo ruolo anche lo chef Gino Campagna, nato nell’Oltretorrente  e ora impegnato in California, che ha contribuito alla causa della sua città natale con un breve video. Quando l’intervista ha inizio le prime parole non possono che andare al trionfo di Parma.

Proprio questa mattina Gino, hai visto? Parma città Unesco!

“Guarda, non mi stupisce, io parlo sempre dell’authority di Parma, c’è una ragione. Purtroppo o per fortuna Parma è tutta sul cibo, non riesco a pensare a nessuna città che abbia più prodotti tipici, addirittura due che portano il suo nome e conosciuti in tutto il mondo. Se lo merita.”

Tornando all’intervista vera e propria: come sei arrivato a Los Angeles?Gino3

“Prima di arrivare negli Stati Uniti ho lavorato in Italia per più di dieci anni come animatore pedagogico, ed ero, senza falsa modestia, bravo; ho sempre avuto l’abilità di trasmettere entusiasmo ai bambini. Vengo dall’istituto magistrale San Vitale di Parma, tra l’altro colgo l’occasione per salutare la quarta E! Quando sono venuto in America l’unico periodo in cui non ho lavorato con i bambini ho aiutato mio fratello, Flavio Campa, a mettere in piedi una casa di produzione, occupandoci di video production e vincendo tutti i premi che potevamo vincere. Quando ho deciso che volevo tornare a fare qualcosa di più vicino al mio lavoro ho ricominciato a guardarmi attorno.”

Ma come sei arrivato a diventare uno chef?

Ho notato che il Food Iq dei bambini americani era orribilmente basso, già il Food Iq delle persone americane è molto più basso rispetto a quello italiano o parmigiano, ad esempio, ma per i bambini la situazione è veramente disastrosa. La nazione più ricca del mondo quando si tratta dei bambini li considera cittadini di serie B. Se vai al ristorante c’è il menu per i bambini con toast, pizza o mac and cheese (pasta ai formaggi) o chicken nuggets, questo è il cibo che danno ai bambini. La presunzione che poi questi bambini, una volta diventati adulti, facciano delle scelte migliori in ambito alimentare, senza che tu gli abbia spiegato mai niente, è evidentemente campata in aria. Ho cominciato a quel punto a fare un paio di classi di cucina, in posti molto hollywoodiani, pieni di celebrities, per i più piccoli, in occasione di feste di compleanno per esempio. Mentre facevo queste lezioni ho deciso di riprendermi per creare un programma di cucina per bambini e dopo poco la la Disney si è interessata.”

Gino2E a quel punto?

“Sono tornato un po’ in Italia, ho lavorato per Rai Sat ragazzi, un po’ in Rai tradizionale, ma soprattutto ho cominciato a lavorare in scuole, classi, eventi; ho collaborato con grosse aziende e anche qualche internet show cercando sempre di tornare un po’ in televisione.”

Com’è stata la tua esperienza con gli show coocking per ragazzi?

“Una trasmissione di cucina per bambini negli Stati Uniti è difficile da fare, soprattutto se il tuo scopo è insegnare a cucinare, perché sono terrorizzati che ci si possa far male tra i fornelli. La cultura americana è una cultura litigiosa, fanno tutti causa a tutti, e se un ragazzo si fa male mentre chef Gino gli dice di fare qualcosa in cucina è la fine! Quindi mi sono concentrato sul comparire in televisione come ospite, per esempio sul canale nazionale AEI, dove sarò in una trasmissione con ragazzi affetti dalla sindrome di Down, insegnando loro a fare la pasta fresca.”

Come ti trovi da italiano con la filosofia alimentare statunitense?

“Qui in America hanno tutti l’idea che cibo healthy (salutare, ndr), termine che io non uso mai, equivalga al petto di pollo alla griglia, due broccolini bolliti e il riso lesso. Io faccio spesso la pasta fresca, anche in scuole di quartiere, e quando do ai ragazzi farina, uova e acqua e glieli lascio mischiare, e mezz’ora dopo stanno mangiando la pasta fatta da loro stessi, ecco, lì loro quasi non ci credono, tornano a casa felicissimi. Insomma, sono l’unico che abbia lavorato per così tanto tempo con i bambini nell’ambito della cultura culinaria.”

Prima hai parlato di Food IQ, ci spieghi un po’ meglio cosa intendi?

“Per me è molto importante: quando si parla di cibo ai bambini tutti pensano alle ricette mentre invece per me è una cosa culturale, un rapporto col cibo che deve essere intrapreso diversamente. Ho sempre un po’ paura quando vedo il cibo trattato come medicina: è vero, quello che mangi aiuta la salute, ma non è una medicina. Quando parlo di Food IQ non parlo solo di una ricetta, ma di ingredienti, da dove vengono, la storia, ma anche la scienza. La scoperta dell’universo del cibo, quel cultural switch che deve scattare agli americani per evitare di rimanere vittima delle corporation che gli propinano cose tremende. Gli statunitensi mangiano solo cibo processato, pieno di additivi, senza essere abituati a cucinare ciò che mangiano.”

Questo vale per tutti gli statunitensi?

“Il problema è reperire gli ingredienti, soprattutto nelle zone povere. I ricchi si possono permettere gli ingredienti freschi e buoni, i poveri non hanno proprio i supermercati con i prodotti freschi, ma negozi con prodotti già pronti, quelli stereotipati nei film. In Italia il cibo migliore è nei paesi più piccoli, ma nella piccola America, quella lontana dalle grande città, si consumano troppo spesso hamburger e altri junk food.”

In Italia per fortuna questo ancora non succede…

“Infatti, quando vengo a Parma sono sempre in fuso orario; quando mi sveglio alle quattro, cinque del mattino mi piace uscire per strada e vedere la città che si sveglia. Un giorno arrivo, verso le sei del mattino, in una pasticceria bellissima in via Garibaldi, e prendo un caffè e una brioche, buonissime, freschissime. Sono al bancone a finire il caffè, quando mi accorgo di un netturbino al mio fianco che beve anche lui dalla sua tazzina. Ovviamente non voglio dare un giudizio alla sua professione, ma per generalizzare sulle fasce sociali, diciamo che negli Stati Uniti questo non succede assolutamente. Il povero qui va da Dunkin Donats a mangiare delle ciambelle che gli bucano lo stomaco. Insomma, in Italia si può vivere bene anche in maniera più frugale.”

 

di Matteo Buonanno Seves

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