Carlo Cantini (Libera): “Parma città silente e narcotizzata, siamo delusi”

INTERVISTA A 360 GRADI, TRA INIZIATIVE SOCIALI, CITTADINANZA ATTIVA E IMMOBILISMO POLITICO

10428716_10153228857397090_3347543748838089992_nLibera è da più di vent’anni sinonimo di legalità, di attivismo, di cultura. In un Paese dove il vento dell’ingiustizia e del malaffare spira un po’ troppo spesso, l’associazione antimafia fondata da don Luigi Ciotti è sempre in prima linea, proponendo iniziative che hanno saputo coinvolgere negli anni molti volti noti, ma sempre per dar voce a chi ha vissuto sulla propria pelle ingiustizie e lutti per mano della mafia.
Anche a Parma, dal 2009, Libera ha la sua voce e da qualche tempo corrisponde a quella di Carlo Cantini, coordinatore provinciale dall’agosto 2014.

Il prossimo 21 marzo Libera compie 21 anni. Come si è evoluta durante il suo percorso? E a Parma, dal 2009 ad oggi, quali sono stati gli obiettivi raggiunti?

“Non è un caso la scelta di questa data: il 21 marzo è il primo giorno di primavera, giorno di rinascita. L’obiettivo principale della giornata è quello di commemorare le vittime di mafia, dando spazio ai loro familiari e alla loro memoria. E per farlo non c’è giorno migliore di questo. Quest’anno, inoltre, ricorre il ventesimo anniversario dell’approvazione della legge 109 sulla confisca dei beni alle associazioni mafiose, per cui Libera raccolse un milione di firme. In questi anni Libera ha ampliato sempre di più il proprio raggio d’azione, arrivando alle orecchie e agli occhi di un numero sempre maggiore di persone e sapendo allo stesso tempo ampliare il ventaglio delle sue iniziative: mi riferisco a ‘Libera international’, che apre una vetrina sul mondo riguardo le nostre tematiche, ‘Libera sport’, per coltivare la passione dello sport tenendo conto di determinati valori morali, ma soprattutto a ‘Libera memoria’, motivo per cui è nata la nostra associazione, cioè sostenere i familiari delle vittime di mafia. Un motivo di vanto è sicuramente la nascita dello sportello ‘SOS giustizia‘, per aiutare chi è vittima di racket ed estorsioni. Per quanto riguarda invece il nostro coordinamento i passi avanti sono stati tanti: abbiamo infatti instaurato negli anni relazioni importanti come quella con l’Anpi e la Cgil e con diverse associazioni del territorio come i Centri di Aggregazione Giovanile, la Fuci e diverse amministrazioni della Provincia, che partecipano attivamente ai nostri progetti. Un nostro grande obiettivo raggiunto è certamente la creazione, nel 2011, del Campo di volontariato e studio di Salsomaggiore Terme, che si tiene su un terreno confiscato alla mafia e dato in gestione al Parco dello Stirone e del Piacenziano”.

Si moltiplicano le iniziative in città e provincia, come il ‘Festival della legalità’  e il ciclo d’incontri ‘Espansioni di memoria’. Quali i riscontri? 

“Quando investi tempo e idee in progetti così complessi non ci si aspetta mai abbastanza. Soprattutto per ‘Espansioni di memoria’, progetto ideato insieme all’Istituto Alcide Cervi, il riscontro è stato ottimo. La sala dell’Istituto Cervi, che può ospitare circa 80 persone e in cui si sono tenuti i primi due incontri era sempre piena, anche grazie ad ospiti di un certo livello. E’ stata un ciclo di appuntamenti sul ruolo della testimonianza e della responsabilità di fronte a legalità e cittadinanza (l’ultimo si è tenuto il 28 febbraio, ndr) che hanno unito, non solo idealmente, la cultura antimafia e quella antifascista. Infatti noi di Libera chiamiamo molto spesso familiari o testimoni di giustizia, ovvero coloro che si oppongono al pagamento del pizzo, alle estorsioni, all’usura e alle intimidazioni delle organizzazioni di stampo mafioso: noi li definiamo i ‘nuovi resistenti’, perché sono dei nuovi partigiani, un presidio di legalità. Queste persone e i valori della resistenza insieme possono generare un valore aggiunto di riflessione, il cui punto di incontro più alto è il ruolo della memoria nella formazione civile. La memoria non va dimenticata ma amplificata perché in essa si possono ritrovare i germi del futuro. Via Libera’, invece, nome che abbiamo scelto per questo ‘Festival della legalità’, è stata una tre giorni di incontri, spettacoli, reading per diffondere i valori di giustizia, con particolare attenzione alle nuove generazioni. Un festival itinerante che ha avuto come ospite speciale Tiberio Bentivoglio, (vittima di mafia che dal 1992 ha deciso di ribellarsi alla ‘ndrangheta e dire no al pizzo, pagando pesanti conseguenze anche in termini economici, ndr) e ha toccato varie tappe, nei comuni di Traversetolo, Roccabianca e Monticelli. Non sono però i soli comuni nei quali stiamo lavorando, perché, per esempio, con quello di Parma abbiamo dato vita ad un progetto che si chiama ‘ConCittadini’, finanziato dalla regione Emilia Romagna che ci permette di incontrare le scuole con i familiari delle vittime di mafia. Quest’anno impegneremo i ragazzi di 10 classi che incontreremo anche con dei laboratori organizzati dal gruppo ‘Abele’ e poi andremo a visitare anche il bene confiscato di Salsomaggiore Terme. Infine, i ‘Giovedì Liberi”, 5 appuntamenti tenuti da giovani impegnati in Libera e rivolti ai giovani per trattare diverse tematiche che riassumono la nostra filosofia”.

E’ quindi soprattutto verso le scuole che si orientano le attività: come si educa alla legalità?

“Secondo Libera si educa alla legalità attraverso la formazione e l’informazione. Bisogna entrare direttamente a contatto soprattutto con le giovani generazioni, quindi con le scuole e le università e parlare loro di quello che succede sul territorio e di come educarsi alla cittadinanza carloattiva, come essere cittadini che non fanno il gioco della politica ma partecipano che alle decisioni sulla politica del proprio territorio e della propria comunità. Quindi è importante crescere dei giovani consapevoli, partecipi, che abbiano voglia di mettersi in gioco per abbattere l’indifferenza ed evitare di girarsi dall’altra parte. Non badare semplicemente al proprio orticello ma renderli consapevoli che fanno parte di una comunità di persone in stretta relazione tra loro: solo così si riesce a crescere e a far crescere”.

Poco più di un anno l’esplosione del caso Aemila. Quanto se ne sapeva prima e quanto se ne sa adesso di criminalità organizzata al nord? Paradossalmente, l’Emilia deve ringraziare Aemilia se l’attenzione si è spostata anche su queste terre?

“Dopo il 28 gennaio 2015 si è alzato molto l’interesse. E’ stato per noi un fatto unico e importante: ovvero che siano stati indagati dalla DDA di Bologna circa 200 persone con un sequestro di beni che arriva fino a 500 milioni di euro. Un interesse maggiore tra i cittadini, ma anche tra gli insegnanti e tra le persone che paradossalmente non hanno quei grandi mezzi per poter agire contro questo radicamento. Prima di Amelia se ne sapeva molto poco ma c’erano tutti i sintomi perché potesse scoppiare un caso del genere. E c’erano state tutta una serie di indagini, sia della DDA di Bologna sia di quella di Catanzaro, che avrebbero dovuto far riflettere su questa rete diffusa da questa ‘ndrina calabrese capeggiata da Nicolino Grande Aracri: parlo dell’operazione ‘grande Drago’, dell’operazione ‘Scacco Matto’ o di ‘Edilpiovra’, che avevano già fatto emergere inquietanti elementi rispetto alla presenza sul nostro territorio della mafia. Quindi quando è scoppiato il caso Aemilia solo chi non conosceva approfonditamente quello che è successo prima si è stupito, ma da ora in poi non sarà più possibile perché adesso lo sappiamo che ci sono. Dobbiamo rimboccarci le maniche e cominciare a capire chi può fare qualcosa per fermare questo radicamento”.

All’inizio dell’inchiesta ci furono diversi sequestri di beni. Ad oggi questi come sono stati riutilizzati?

“Sui beni sequestrati bisogna avere le idee chiare: c’è una bella differenza tra confische e sequestri. I sequestri non tolgono proprietà di quel bene a quella persona. Mentre si è sotto processo i beni gli vengono sequestrati a caratteri preventivo. Il malavitoso con la coscienza sporca sa di aver acquistato dei beni con dei proventi illeciti e cerca di metterli a riparo, cambiarne la proprietà attraverso un familiare o un prestanome: allora tali beni vengono ‘congelati’, non si può così disporre di essi in nessun modo. Mentre il bene confiscato è il frutto di un atto processuale che vede il bene mobile o immobile tolto dalla proprietà del condannato passando alla proprietà dello Stato. A questo punto questi beni avranno un proprio iter. Tuttora abbiamo dei beni sequestrati con cui non è possibile far niente in attesa della decisione del tribunale”.

 Lo scorso ottobre è stato inaugurato, coadiuvato dal Comune di Parma, il Centro Studi Legalità. Come sta procedendo la sua attività? C’è sinergia tra Libera Parma e le istituzioni?

“Si era cominciato a pensare a questa iniziativa fin dagli albori di questa amministrazione. Quindi sono circa tre anni che il centro studi era stato concepito. Molto prima di Aemilia. Dati i gravi precedenti, abbiamo accolto l’iniziativa in modo favorevole, pensando che questo territorio avesse bisogno di più attenzione anche da parte delle istituzioni. E con esse non intendo solo l’amministrazione politica del Comune trapanima anche tutti quei soggetti che fanno economia sul nostro territorio. Quindi alle organizzazioni di categoria, gli ordini professionali, ai sindacati. Adesso il centro studi è uno strumento ‘fiacco’, perché carente di progettualità. Non abbiamo la percezione che questo sia uno strumento utile per la città. Uno strumento che sia di servizio per i cittadini, perché manca proprio di quel desiderio, di quella voglia di andare a vedere cosa stia succedendo nel nostro territorio. Diciamo che Libera in questo centro studi sta soffrendo un po’ di solitudine e questo ci vedrà poi costretti a riflettere sul prolungamento dell’iniziativa perché noi il nostro dovere l’abbiamo fatto. Libera aveva due compiti: il primo era fornire formazione esterna, quindi agli insegnanti, agli educatori e alle associazioni. Poi avremmo dovuto gestire la pagina web all’interno del portale: il primo pezzo lo abbiamo fatto e anche con successo. Ci sono stati 4 incontri ad alto livello con docenti universitari provenienti da tutta Italia, insieme agli educatori del Gruppo Abele che sono secondo me i migliori per fare questo tipo di attività laboratoriale sull’antimafia. Quattro incontri in cui erano presenti tra i 60 e i 70 insegnanti, tant’è vero che abbiamo dovuto cambiare sede perché la nostra sede non riusciva ad ospitarli”.

Quindi ad oggi è tutto fermo?

“Il 24 novembre abbiamo presentato il progetto per la pagina web e non abbiamo ancora ottenuto risposta. In questo momento siamo perplessi e delusi. Anche i nuclei operativi territoriali, strumento creato dal Ministero degli Interni e che fa capo alla Prefettura di Parma, sono stati istituti ma non sono mai stati riuniti. Constatiamo perciò un certo immobilismo e questo ci rende preoccupati perché vorremmo una città più reattiva che gettasse lo sguardo sul mondo del lavoro e sulla gestione degli appalti”.

Forse si è persa un’occasione, non cavalcando l’onda provocata dal caso Amelia?

“Siamo in ritardo di un anno. Questa è una città silente, narcotizzata. Eppure ci sono stati segnali. Il dottor Roberto Alfonso, magistrato titolare dell’operazione Aemilia, disse che questa non era finita, ma che sarebbe continuata ancora per molto. E’ da poco uscita la relazione semestrale della DIA (lo scorso 29 gennaio, ndr) in cui afferma che sono ancora all’opera. Il fatto che una ndrina si stata messa agli arresti non significa che abbiamo sconfitto la ‘ndrangheta, ma semplicemente che dobbiamo fare attenzione a quello che succede sia nel nostro territorio che in Calabria, dove si rimescolano gli equilibri. Le seconde linee della ‘ndregheta ora potrebbero muoversi in tanti modi per conquistare il potere. Ora sono in atto dei piccoli assestamenti”.

Costante è il vostro impegno nel cercare maggior adesione da parte della cittadinanza alla vostra causa. Cosa vuol dire far parte di Libera?

“Vuol dire partecipare attivamente alla vita della propria città con i nostri obiettivi, orizzonti e finalità. Libera è un’associazione culturale, non un’agenzia investigativa, né tantomeno un istituto di vigilanza. A noi interessa che i cittadini attraverso le nostre iniziative siano più consapevoli su questi temi. E il nostro impegno sembra dare i suoi frutti, dal momento che negli ultimi tempi ci sono state sempre più sottoscrizioni delle nostre tessere. Ad oggi siamo circa 200 soci, il 50% in più rispetto all’anno scorso e speriamo naturalmente di incrementare sempre più questo numero”.

di Giuseppe Mugnano

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