“Caschi blu per la cultura”: cosa sono e cosa non sono

VIA ALLA TASK FORCE ITALIANA DI ESPERTI CIVILI E CARABINIERI PER LA TUTELA DEI BENI CULTURALI A RISCHIO

Unite4Heritagedi Laura Pineschi, docente di Diritto internazionale pubblico |

L’interesse collettivo dell’umanità alla tutela dei beni culturali durante i conflitti armati e il divieto ai belligeranti di saccheggiare i beni presenti nei territori occupati sono due regole fondamentali del diritto internazionale bellico. Già nel 1758 il giurista svizzero Vattel aveva definito “nemici del genere umano” coloro che distruggono intenzionalmente tali beni; la Convenzione Unesco del 1954, concernente la protezione dei beni culturali nei conflitti armati, ha ribadito l’obbligo della protezione internazionale e di astensione da qualsiasi atto ostile contro di essi, sottolineando, tra l’altro, l’importanza della diversità culturale come valore in sé: i danni arrecati ai beni culturali di qualsiasi popolo sono un danno al patrimonio culturale dell’umanità, perché ogni popolo contribuisce alla cultura mondiale.

Purtroppo, malgrado la Convenzione del 1954 e i suoi successivi Protocolli, le devastazioni e i saccheggi non sono cessati. Al contrario, negli ultimi decenni, si è assistito a una preoccupante proliferazione di gravi violazioni degli obblighi internazionali. La distruzione sistematica o il danneggiamento di vari siti iscritti nella lista del patrimonio mondiale dell’Unesco, come Timbuktu (Mali), la città vecchia di Sana’a (Yemen), Aleppo, Damasco e Palmira (Siria), Hatra, Ashur e il Museo di Mosul (Iraq), a causa dell’uso indiscriminato di armi o di attacchi deliberati, sono solo alcuni degli esempi più noti.
Appare tuttavia evidente che la soluzione del problema non consiste tanto nell’elaborazione di nuove norme, quanto nell’adozione di una strategia integrata che consideri il fenomeno nel suo più ampio contesto. Come è noto, il traffico in beni culturali costituisce un’importante fonte di finanziamento del terrorismo internazionale, mentre la distruzione intenzionale del patrimonio culturale mira a cancellare l’identità culturale di intere comunità. Occorre quindi rafforzare la cooperazione intergovernativa attraverso azioni concrete.

Fra queste rientrano due recenti iniziative dell’Unesco, promosse dal governo italiano. La prima consiste in una raccomandazione indirizzata al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, contenuta nella Dichiarazione di Bonn del luglio 2015. In base ad essa, la tutela del patrimonio culturale dovrebbe essere inclusa nel mandato di tutte le operazioni per il mantenimento della pace (c.d. “caschi blu”), ove necessario. Se la raccomandazione venisse recepita, si assisterebbe a un’evoluzione importante nella prassi delle forze di pace, perché una nuova funzione, la tutela dei beni culturali, verrebbe ad aggiungersi a quelle tradizionalmente conferite ai caschi blu delle Nazioni Unite (interposizione tra le parti in conflitto; monitoraggio del cessate il fuoco; assistenza umanitaria; disarmo). In realtà, un’operazione di peace-keeping, la Minusma (United Nations Multidimensional Integrated Stabilization Mission in Mali), istituita dal Consiglio di sicurezza nel 2013, prevede già nel suo mandato il compito di assistere le autorità nazionali, in collaborazione con l’Unesco, al fine di proteggere i siti storici e culturali presenti in Mali da eventuali attacchi. La Minusma è però la prima (e, al momento, l’unica) missione che presenti tali caratteristiche. Si tratta, peraltro, di un’operazione di medie dimensioni (quasi 13.000 unità, nel suo massimo potenziale), ma dotata di un mandato “robusto”: la Minusma può infatti usare “tutti i mezzi necessari”, ivi compresa la forza armata, per proteggere siti storici e culturali.

La seconda iniziativa consiste in una strategia pluriennale (2016-2021), adottata nel novembre del 2015 dalla Conferenza generale dell’Unesco, vale a dire l’organo che riunisce i rappresentanti dei suoi 195 Stati membri. Al fine di rafforzare la tutela del patrimonio culturale in caso di conflitto armato, il documento prevede, tra l’altro, l’ipotesi di un sistema di mobilitazione e di intervento rapido di esperti nazionali, coordinati dalla stessa organizzazione (ris. 38 C/48, par. 4). Varie organizzazioni intergovernative (come il Centro Internazionale di Studi per la Conservazione e il Restauro dei Beni Culturali) e non governative (come il Comitato Internazionale dello Scudo Blu) collaborano attivamente con il Comitato istituito dal II Protocollo della Convenzione dell’Aja del 1954. Nessuno, però, di tali enti è in grado di fornire assistenza in casi di emergenza.
In attuazione della ris. 38 C/48, l’Italia ha sottoscritto un Memorandum d’intesa con l’Unesco il 16 febbraio 2016. In base ad esso, il governo italiano s’impegna a intervenire con una task force – composta da esperti altamente qualificati in materia di conservazione, tutela e restauro dei beni culturali e da ufficiali del Comando dei Carabinieri per la tutela del patrimonio culturale – qualora Stati membri dell’Organizzazione, colpiti da “una situazione di crisi” o da un disastro naturale, ne facciano richiesta.
Le funzioni della task force sono molto ampie, in quanto ricomprendono: la valutazione dei rischi ai quali è esposto il patrimonio culturale e naturale e dei danni ad esso eventualmente arrecati; l’elaborazione di piani operativi contenenti misure urgenti di salvaguardia; l’assistenza alle autorità nazionali nell’attuare misure di pronto intervento, attraverso programmi di formazione e di supervisione tecnica; l’assistenza nel trasferimento, in luoghi sicuri, di beni culturali mobili a rischio; il contrasto di atti di saccheggio e di traffici illeciti dei beni culturali.

Non si dispone, al momento, di ulteriori informazioni, in quanto, come si legge nel Memorandum, i dettagli operativi saranno definiti in un successivo accordo bilaterale. Ci sono, però, alcuni elementi, che si desumono dal testo dell’intesa, sui quali è opportuno richiamare l’attenzione.
In primo luogo, lo spiegamento della task force avviene esclusivamente su base volontaria. In altri termini, la forza di intervento rapido può operare sul territorio di uno Stato membro soltanto se quest’ultimo ne fa espressamente richiesta. L’Unesco non dispone di poteri coercitivi nei confronti dei suoi Stati membri e il dispiegamento di una missione italiana sul territorio di uno Stato straniero senza il suo consenso comporterebbe una violazione della sua sovranità, integrando un illecito internazionale. Il carattere volontario dell’operazione vale anche per l’Italia; in altre parole, a fronte di una richiesta da parte di uno Stato membro dell’Unesco, il governo italiano non sarà obbligato a intervenire, ma valuterà (shall consider) la situazione di volta, in volta. Non è dunque escluso, che per varie ragioni – politiche, economiche e operative in senso lato – la task force non venga dispiegata.
In secondo luogo, la forza d’intervento rapido prevista dal Memorandum d’intesa non è un’operazione di peace-keeping come sembrerebbe suggerire l’espressione “caschi blu per la cultura”, ampiamente utilizzata dai mezzi di informazione. Le operazioni di peace-keeping delle Nazioni Unite sono istituite sulla base di una risoluzione del Consiglio di sicurezza; sono formate da contingenti messi a disposizione da vari Stati (addirittura 50, nel caso della MINUSMA); i contingenti sono composti da militari, agenti di polizia e civili, ma, nella maggior parte dei casi, la componente militare prevale (ad esempio, 9.149 unità nella MINUSMA); gli oneri finanziari dell’operazione sono a carico delle Nazioni Unite, mentre il Memorandum d’intesa prevede che le spese relative al dispiegamento e allo svolgimento delle attività della task force saranno sostenute esclusivamente dal governo italiano.
Le differenze evidenziate non sono solo formali e non sono rilevanti soltanto sul piano giuridico; sono estremamente importanti sul piano operativo. Dal Memorandum d’intesa si evince soltanto che verranno costituite squadre di esperti, composte da ufficiali specializzati dell’Arma dei Carabinieri e da civili (restauratori, storici dell’arte, ecc.) appositamente addestrati; sappiamo, inoltre, che le attività di contrasto al saccheggio e ai traffici illeciti di beni culturali saranno condotte esclusivamente dal Comando dei Carabinieri per la tutela del patrimonio culturale. Non si conosce, però, se la task force opererà isolatamente o nell’ambito di operazioni di peace-keeping delle Nazioni Unite e, soprattutto, chi proteggerà i componenti della missione da eventuali attacchi armati, attentati terroristici o dai rischi derivanti da situazioni incerte sul piano politico e strategico.

In attesa dell’accordo di attuazione preannunciato dal Memorandum d’intesa, è dunque auspicabile che le Nazioni Unite, l’Unesco e i loro Stati membri collaborino per conferire un mandato chiaro alle missioni impegnate a tutela del patrimonio culturale dell’umanità, sia che esse operino esclusivamente per la realizzazione di questo scopo (come nel caso della task force italiana) sia che si collochino nella più ampia e complessa dimensione delle operazioni di pace multifunzionali (come nel caso della Mi). La storia delle Nazioni Unite insegna che un mandato ambiguo, incoerente e non sostenuto da risorse adeguate conduce non soltanto al fallimento degli obiettivi più nobili, ma anche a drammatiche conseguenze sul piano umano e alla perdita di credibilità della comunità internazionale nel suo complesso.

 

Scrivi un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*