“Noi abbiamo tenuto nascosta la cosa. Ma voi giornalisti dov’eravate?”

LA RECENSIONE DEL FILM "IL CASO SPOTLIGHT"

121“Tanto più si sale di grado, tanto più opera il diavolo”. Niente di nuovo sotto il sole. Ma se tali parole sono ad opera di un sacerdote, allora la faccenda assume una luce diversa. Già, la luce. Come quel fascio luminoso che ha denunciato i tragici fatti di pedofilia all’interno della Chiesa americana, e poi a seguire nel corso degli anni, nel mondo. Tuttavia tale chiarore può essere anche colorato, modificato, regolato se qualcuno inserisce dei filtri. E allora cambiano anche i riferimenti sulla scena dei fatti.

Parlando del film in questione, è importante fare una precisazione. Un commento critico vuole essere un esame sulla storia in sé, o sul film che racconta tale vicenda? In questo caso, una recensione sulla veridicità dell’inchiesta oppure sulla pellicola che presenta gli eventi che sono accaduti? Senz’altro la risposta dev’essere la seconda, ma con le dovute riserve. La veridicità di un film dev’essere demistificata.
Infatti l’incipit della pellicola è alquando debole: non viene esplicata alcuna motivazione sul perché si sia voluto riesumare un fatto di cronaca già archiviato. E’ uno dei punti controversi del film. Eppure è proprio quello che dà la dimensione positiva e negativa della stampa. Ovvero se da un lato il film mette in evidenza la forza e l’utilità del giornalismo, da un lato ne evidenzia come anch’esso sia un sistema poco trasparente, in mano a logiche di potere. Tant’è vero che il resposabile del gruppo d’indagine ricorda che “Spotlight è sempre stata indipendente”. Accanto a questi aspetti si esprimono, in modo curato, tutti i problemi deontologici della professione: dai rapporti in redazione al modo di fare le interviste.
Inoltre, il finale lascia allo spettarore il compito di indagare a sua volta, non approfondendo com’è andata a finire. Invero sorge spontanea una domanda. Che fine fanno le grandi inchieste? Perché tramontano? Dove si sono spente Watergate o Tangentopoli? La medesima cosa potrebbe essere riproposta anche per Il caso Spotlight.
D’altro canto, vanno sottolineati due elementi. Il primo è il linguaggio della sceneggiatura fedele alla tradizione giornalistica; cioè delle parole ad effetto. Ricorrono termini molto impegnativi come sopravvissuto o sistema. Il secondo, mi si passi il termine, è la “cazzutaggine” dei giornalisti di cercare di andare in fondo alle cose. Peccato però che tale modo di operare appassionato venga fuori solo se sotto pressione oppure in competizione con altri giornali.

Dato l’argomento scottante, il film non scade in un vero e proprio pettegolezzo, evidenziando anche in modo quasi sincero i giochi di potere; sia all’interno di una redazione che in una società, che non fanno molto onore agli “invincibili” americani. Una buona pellicola, ma senz’altro non da Oscar come “miglior film”. Resta infatti il dubbio se il premio sia stato assegnato alla forma della regia, cioè un’inchiesta al “sistema Chiesa”, oppure al contenuto, ossia un’analisi del sistema giornalistico americano quando viene messo sotto “spotlight”, sotto il riflettore.

di Jacopo Orlo

(Recensione tratta dal sito https://wootmockmovie.wordpress.com/)

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