Seconda generazione di italiani o figli della globalizzazione?

COME CAMBIA PARMA: STORIE DI GIOVANI NATI IN UNA FAMIGLIA DI STRANIERI

Seconda generazioneLa presenza di cittadini immigrati nel parmense è un trend che va in crescendo negli ultimi anni e che fa della migrazione una questione strutturale. Nell’intero territorio della provincia si contano 60 mila residenti stranieri, di cui quasi 30 mila soltanto nel capoluogo, anche se negli ultimi anni (a partire dal 2014) si è registrato un leggero calo con quasi duemila persone rispetto agli scorsi anni. Tuttavia si registra un notevole aumento dei figli degli immigrati che, secondo le fonti Istat, sono circa 400mila oggi e saranno appena meno di un milione tra dodici anni. Si pone pertanto la questione delle ‘seconde generazioni’ ovvero degli italiani figli di stranieri che sono nati, cresciuti e risiedono in Italia e spesso senza essere in possesso della cittadinanza italiana.

PIU’ BILINGUISMO MENO PREGIUDIZI – Oggi è sempre più frequente che esistano famiglie in cui i genitori parlano due lingue diverse. “In Italia tutti sono sempre stati curiosi del fatto che mia mamma fosse straniera e in molti ritenevano che io fossi fortunata o avvantaggiata”. È questa la frase con cui inizia a raccontare la sua storia Alessandra, 24 anni, studentessa di Giornalismo all’Università di Parma. Padre italiano e madre inglese, Alessandra si è trasferita all’età di 4 anni in Inghilterra con la sua famiglia e sono rimasti lì per un anno perchè suo nonno materno non stava bene. Era la fine degli anni ’90, vivevano in un paesino in provincia di Manchester dove non c’era quasi nessuno straniero e durante quel periodo non avevano rapporti con nessuna famiglia italiana. “Inizialmente durante i primi giorni di scuola in cui non conoscevo nessuno mi sentivo un po’ osservata, ma poi è andato tutto bene e come ogni bambino pian piano mi sono integrata senza molti problemi. Quando siamo tornati non mi ricordavo più come si parlasse l’italiano, così i miei genitori hanno dovuto tenermi a casa per un po’ e farmi ripassare la lingua prima di mandarmi a scuola. Penso sia una cosa eccezionale insegnare ad un figlio più di una lingua. Se avrò figli farò lo stesso che ha fatto mia mamma con me, gli parlerò in  inglese e in italiano. Diciamo che entrambi i miei genitori sono molto aperti e per loro viaggiare, spostarsi, conoscere altre culture è una cosa normale. Hanno viaggiato molto sin da giovani e sono felicissima che mi abbiano trasmesso questa voglia di conoscere il mondo”. Alla domanda su quale sia la lingua preferita in famiglia, Alessandra risponde: “Se da piccola preferivo parlare in italiano, grazie all’esperienza degli ultimi due anni in cui ho vissuto da sola in Inghilterra e la mia famiglia in Italia, ho iniziato a parlare spesso l’inglese con la mia mamma. Da sempre però utilizziamo dei termini inglesi per certi oggetti o per esprimere delle sensazioni e questo perché io e mia madre sosteniamo che rendano meglio il concetto. Quando mi chiedono se mi sento più italiana o inglese -conclude- rispondo che mi sento italiana perchè sono nata qui, ma mi rendo conto e mi fanno notare che per certi aspetti sono molto inglese. In questi due anni nel Regno Unito mi sono sentita a casa mille volte più là che qua. Ad oggi mi trovo benissimo nella società. Sento di appartenere a due culture diverse, anche se non posso negare che mi trovo meglio in Inghilterra, a mio parere e per la mia esperienza le persone sono molto più aperte e ci sono meno pregiudizi”.

FIGLI DELLA GLOBALIZZAZIONE Sara, studentessa di Farmacia originaria dell’Egitto, racconta che suo padre si è trasferito in Italia dopo aver fatto visita ad un suo cugino che viveva qui. “Successivamente ha conosciuto mia madre a Il Cairo e poi hanno deciso insieme di venire a vivere in Italia, 28 anni fa. Io sono nata a Brescia, ho sempre appartenuto ad una classe sociale medio-alta quindi erano gli altri bambini a volermi come amica, a voler giocare con me e mi sono integrata fin da subito. Durante gli anni delle superiori ero meno estroversa mi concentravo principalmente sullo studio mentre all’università mi sono sempre trovata bene e ho sempre conosciuto gente nuova. In casa parliamo principalmente egiziano perché ci manca parlarlo, ma spesso capita anche di parlare in italiano. Ho imparato che uno straniero può vivere bene in un ambiente diverso da quello d’origine solo se lui stesso si sente all’altezza e non vive la sua condizione come un limite ma anzi come un valore aggiunto.” Relativamente alle motivazioni che hanno spinto suo padre a trasferirsi dall’Egitto in Italia, Sara precisa che fu spinto dalla volontà di girare il mondo e non da una situazione precaria nel suo Paese d’origine come invece spesso avviene. Diversa è invece la storia di Dino, studente di Scienze Politiche. I suoi genitori, cresciuti in Montenegro, si sono trasferiti a seguito dello scoppio della guerra. Sua madre in un primo momento è andata a vivere in Germania (dove lui è nato) e poi si sono ricongiunti in Italia, dove invece suo padre viveva con un visto da studente. “I primi anni in Italia non ho sentito molto il peso di essere un immigrato -racconta-, il problema si è presentato durante le scuole medie perché i ragazzi di quell’età non hanno ben presente l’idea che il mondo sia vasto e multietnico e questo ha un po’ ostacolato la mia integrazione”. La situazione è poi cambiata durante gli anni delle superiori: “Ho iniziato a frequentare compagnie quasi esclusivamente italiane. I miei genitori mi hanno sempre spinto ad andare oltre, ad essere in un certo senso ambizioso e non sentirmi mai inferiore, senza assolutamente perdere i legami con le mie origini, tant’è che in casa parliamo il serbo-croato. Mi sento un figlio della globalizzazione, l’Italia è il posto che mi ha aiutato a crescere e a mettermi in gioco, infatti sono uno dei tanti che dice che questo Paese ha delle meraviglie introvabili altrove e credo che non andrò via da qui.”

DALLA CULTURA TAMIL A QUELLA ITALIANA – “Quando ero piccola mi prendevano in giro perseconde genrazioni4 (1) la mia diversità ma certo non tutti erano così”, racconta infine Shalini, studentessa di 23 anni, nata nello Sri Lanka. I suoi genitori si sono trasferiti dal sud dell’India in Italia quando lei aveva solo 5 mesi, a causa della guerra tra i tamil e i cinegalesi. “Cresciuta in Italia ho cominciato a parlare in italiano, ma sin da piccola ho iniziato ad imparare il tamil, perché mio padre si è impegnato a parlarmi anche nella sua lingua. L’ho imparato subito, è stato spontaneo forse perché da bambini si è più propensi ad imparare una nuova lingua”. Crescere con due culture diverse non è sicuramente facile “spesso mi sono sentita guardare in modo diverso, ma questo purtroppo dipende dalle persone. Altri invece erano interessati a conoscermi, sapere di più sulle mie origini, sulle usanze di quei Paesi, sui vestiti che si indossano, sulle pietanze e la scrittura -continua-. Avere dei genitori di una cultura diversa ha influenzato la mia crescita, mi ha permesso di avere una visione più aperta della società, fortunatamente sono legata ad entrambe le culture e questo grazie ai miei genitori che hanno arricchito il mio bagaglio culturale, individuando i pro e i contro di ciascuna cultura. Ad oggi posso dire che sono felice di essere diversa, riesco a vedere il mondo e la società con una visione più ampia”.

di Ilenia Vannutelli e Fiorella Di Cillo

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