Due referendum, uno strano destino

"VELO DI SILENZIO" SULLE TRIVELLE E PLEBISCITO PRO O CONTRO RENZI PER LA RIFORMA ISTITUZIONALE?

Referendum

di Matteo Truffelli, docente di Storia delle dottrine politiche europee |

Uno strano destino unisce e, al contempo, contrappone tra loro due referendum prossimi venturi.
Da una parte, infatti, abbiamo un referendum per ora solo (molto) probabile, rispetto al quale sappiamo approssimativamente che saremo chiamati a votare in autunno, a ottobre, ma del quale già si è iniziato a discutere, con autorevoli e amplificate prese di posizione. Ma la cui materia potrebbe ancora subire, almeno in linea teorica, delle variazioni. E che addirittura, sempre in linea teorica, potrebbe non tenersi, se il processo di riforma della Costituzione in corso dovesse a sorpresa interrompersi a causa delle turbolente condizioni politiche alle quali ormai abbiamo fatto una certa abitudine. Un referendum di cui però sappiamo già che non molti, tra coloro che si recheranno ai seggi per votare, lo faranno in base al giudizio maturato in merito alla proposta di riforma, quanto piuttosto per esprimere la propria valutazione a favore o contro l’attuale Governo e, in particolare, l’attuale Presidente del Consiglio.
Dall’altra parte, abbiamo invece un referendum certo e di cui sappiamo (o sarebbe meglio dire potremmo sapere) tutto con precisione: materia del contendere, quesito referendario cui dovremo rispondere, data nella quale saremo chiamati alle urne. Ma di cui nessuno, o quasi, parla, discute, scrive. Si tratta del cosiddetto “Referendum delle Trivelle“, convocato per il 17 aprile prossimo, per decidere se sia opportuno o meno che lo Stato italiano rinnovi, alla scadenza prefissata, le licenze in forza delle quali numerose compagnie stanno sfruttando i giacimenti di gas e petrolio estraibili dal sottosuolo dei nostri mari, attraverso piattaforme installate a meno di 12 miglia marine – circa 22 chilometri – dalle coste italiane (il referendum non riguarderà invece, come noto, l’attività delle piattaforme poste oltre quel limite, in acque internazionali).
Non è certamente questo il luogo opportuno per esprimere, da parte di chi scrive, un parere sulle materie al centro dei due referendum. Tuttavia, pur senza entrare nel merito, sembra possibile proporre almeno alcune osservazioni di carattere generale.
La prima è che non può che colpire il velo di silenzio che avvolge il referendum sulle trivelle. I giornali ne parlano pochissimo, le televisioni quasi per nulla. Un clima un po’ surreale che fa toccare con mano cosa si intende quando si parla di un problema di rapporti tra mondo dell’informazione e “poteri forti”. In tanti, naturalmente, si danno da fare su internet per attirare l’attenzione sull’appuntamento referendario, ma certo non si può dire che i cittadini, soprattutto chi abita al Nord, siano informati e coinvolti. Eppure, non si tratta di una questione che riguarda solo una parte del nostro Paese, solo le regioni che si affacciano sull’Adriatico, lo Ionico e il Canale di Sicilia. Riguarda tutti, perché riguarda un bene comune, il mare, riguarda lo sviluppo economico di tutto il Paese, riguarda tanti posti di lavoro. Proprio per questo, allora, viene da chiedersi se lo strumento referendario sia quello più adatto per affrontare una questione come questa. Di certo si può dire che esso rischi con forte probabilità di diventare una sorta di boomerang per coloro che si sono fatti promotori dell’appello alla cittadinanza. Ancora una volta, dunque, l’istituto referendario potrebbe subire un contraccolpo, dopo che il recente passato ha più volte fatto segnare passi falsi da questo punto di vista.
Di tutt’altro genere, ma altrettanto meritevoli di essere messi in evidenza, sono gli aspetti problematici che si stanno addensando attorno al probabilissimo referendum istituzionale. Non solo perché la materia su cui i cittadini saranno chiamati a esprimersi è molto complessa (si tratta infatti di una riforma articolata, che tocca diversi aspetti della Carta costituzionale, non solo le regole che presiedono alla natura, alle funzioni e alle modalità di composizione del Senato) e di straordinaria importanza (si tratta di modificare una parte delle “regole del gioco” democratico del nostro Paese!). Ma anche e per certi versi soprattutto perché, come si è accennato, un referendum che di per sé dovrebbe vedere i cittadini messi nelle condizioni di potersi esprimere con il massimo possibile della cognizione di causa si sta trasformando invece in un plebiscito pro o contro il Presidente Renzi. Uno slittamento pernicioso, che non può che rendere ancor più difficile il formarsi di una opinione pubblica seria e consapevole sulle questioni realmente in gioco. Ogni appuntamento referendario nella storia della nostra democrazia repubblicana, naturalmente, è sempre stato connotato da un alto tasso di politicizzazione. Non può che essere così. Tuttavia, la scelta di accentuare questo aspetto non fa che svilire ulteriormente l’istituto referendario.

 

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