Intervistare Marco Travaglio

LO STATO PSICHICO NEL GIORNO IN CUI INTERVISTAI IL MIO MITO

Quest’estate, grazie ad un amico, ho letto un po’ di pagine del libro di Roberto Gervaso ‘Ho ucciso il cane nero, come ho sconfitto la depressione’. Ad un tratto leggo che Gervaso, fan di Montanelli, finito il liceo gli mandò una lettera scrivendo che gli avrebbe fatto piacere incontrarlo e che ne sarebbe stato onorato. Dopo un paio di giorni ricevette una chiamata a casa: Montanelli, col suo aplomb che lo contraddistingueva, lo invitava a Roma per fare colazione a casa sua.
Leggendo quelle pagine la mia mente partoriva dei “Ma veramente?”, “Mah”, “Non ci credo”, “ Bellissimo”. E cercavo di fantasticare, trasportare quella storia ai miei giorni. Idea nata lì sul momento e subito fatta morire vista la mia convinzione che attualmente, seppur saturi di mezzi di comunicazione, in realtà non ci si trova mai. Cullato dalla mia inettitudine, al tavolino della Feltrinelli lasciavo scomparire il mio fantasticare insieme all’esile fumo di sigaretta in bilico tra le mie dita. Un’idea non muore mai davvero, rimane solo sotto una coltre di quotidianità in attesa di essere riesumata!

Un giorno  i miei occhi vedono per Parma la pubblicità dello spettacolo di Marco Travaglio del 12 Marzo all’Auditorium Paganini. L’idea oramai mezza mummificata cerca di parlarmi, la razionalità la tace. Passati i giorni, le settimane,  l’eco di quell’idea continua a riecheggiare  tra le montagne delle mie costole, lungo le sinapsi della mia spina dorsale.
Provo a contattare l’addetta stampa di chi organizza lo spettacolo. Risponde ed è disponibile: chiederà a Marco. Si fa, sabato alle 20:40. “Mi raccomando che poi dopo Marco ha lo spettacolo”.
Io avviso il mio capo: “Mancherò dalle 20:00 alle 21:30, poi torno a lavoro.”

Il giorno in cui incontro Marco Travaglio non sono nello stato psichico dei migliori: mi danno fastidio le persone che continuano ad entrare dall’ingresso sbagliato del teatro. La maschera ripete le stesse parole: “Dall’altra parte signori”.
La sera ha sparute stelle e  tante nuvole. Mentre attendo Marco Travaglio capisco che mi sono preparato mesi per arrivare a quell’appuntamento in realtà impreparato. Le domande che ho scritto possono essere formulate meglio, come questo articolo. Marco Travaglio, come fossi il cugino pischello, mi invita sorridente nel suo camerino, rassicurante come solo i saggi sanno fare quando vedono davanti a loro una gioventù che sta per perdere il controllo. Prendo fiato ed emetto le prime, balbettanti parole e fatto strano, come se avesse avuto davanti un giornalista di Repubblica o del New York Times, mi ascolta incuriosito. Dopo la prima domanda faccio la seconda con un po’ di sicurezza in più: il ghiaccio è rotto, l’attenzione del mio interlocutore imperturbabile e severa. Lo ascolto in apnea.

– “Come non si fa a diventare giornalisti lecchini?”
– “In realtà sarebbe semplice.  Ma se vuoi compiacere i potenti lo diventi.”

I miei cinque sensi, che fino ad allora avevano avuto  bisogno di una tv per ascoltare questi pensieri, sono liberi, a dividerci c’è una distanza che divide le persone nella stessa stanza.

– “Oggigiorno si danno notizie che rassicuranoma il giornalista non deve rassicurare, non è suo compito! Deve creare uno spirito critico. Siamo abituati ad un ottimismo forzato. In Italia si ha l’abitudine di sparare sui cadaveri, di Berlusconi si parla male ora, ma quando era al potere? Ci davano dei pazzi quando lo facevamo noi. La parola riforma non vuol dire che stai facendo per forza una cosa buona. Vedi la riforma costituzionale: tra la Boschi e Verdini mi fiderei più di Rodotà e Zagrebelsky.”

In un quarto d’ora l’essenza del giornalismo. Diventare qualcuno di migliore capendo ciò che non bisogna fare.
Il miglior giornalista italiano in circolazione non parla ad una vasta platea indefinita ma a me, definito, di fronte al suo raggio visivo. Il quarto d’ora oramai volge al termine, ci sono persone che hanno pagato per ascoltarlo e Marco Travaglio deve andare. Come devo tornare io a lavoro.

Non so chi altri intervisterò nella mia vita, se il vecchio che osserva i cantieri o capi di stato, ma nessuno supererà l’importanza di questa intervista. Tornato a lavoro la vita continuava come sempre, le persone mangiavano, crogiolati nella loro quotidianità; a guardarli mi dico che a differenza loro io ho intervistato il mio eroe. Fanculo.

1 Commento su Intervistare Marco Travaglio

  1. Sbriciolina // 16 marzo 2016 a 11:39 // Rispondi

    la tua professionalità cresce a vista d’occhio. un onore leggerti

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