Ebraismo oggi: tra regole di vita, storia e “antisemitismo latente”

LA COMUNITA' DI PARMA SI RACCONTA: DALLA SINAGOGA PRESIDIATA DALL'ESERCITO AL RIPOSO DEL SHABBAT

EbreiLa sinagoga di Parma si trova in pieno centro, nel piccolo vicolo Cervi a ridosso di strada della Repubblica. L’ingresso al tempio però non è facile da notare, è una semplice porta sormontata da una piccola targa in marmo. Molto più facile è notare invece la camionetta dell’Esercito italiano posta a protezione del luogo. È una situazione simbolica di tutta la lunga storia dell’ebraismo parmigiano, divisa tra speranze di pacifica e riservata convivenza e il patimento di discriminazioni e persecuzioni.

GLI EBREI A PARMA – La Comunità ebraica di Parma fa parte della storia della città da oltre cinquecento anni. Non sono mancati i problemi: per tutta l’età moderna gli ebrei dovevano risiedere ad almeno 40 chilometri dalla città e infatti gli insediamenti storici si disponevano come ad arco ai limiti di questa imposizione: Casalmaggiore, Busseto, Soragna, Fidenza. Con l’Ottocento poterono finalmente tornare a Parma e la Comunità visse un periodo di fioritura – la sinagoga di vicolo Cervi venne edificata proprio in questo periodo – prima di essere quasi annientata nella tragedia della Shoah.
Oggi la Comunità ebraica conta 26 membri di osservanza ortodossa. Oltre allo svolgimento delle funzioni religiose, la Comunità si occupa anche della memoria storica della presenza ebraica. Questo comprende la manutenzione dei cimiteri ebraici negli antichi insediamenti della provincia parmigiana e soprattutto la cura del museo ebraico ‘Fausto Levi’ di Soragna.
Un numero così ristretto di fedeli porta numerosi problemi. Per svolgere le cerimonie religiose, l’ebraismo prevede la presenza di almeno dieci ebrei maschi adulti, vale a dire che abbiano compiuto il ‘bar mitzvah‘ dopo i tredici anni. A volte a Parma è necessario accordarsi con membri di altre comunità, soprattutto quella milanese, per raggiungere il quorum stabilito. Realtà più grosse, come quella milanese e soprattutto quella romana, offrono vari vantaggi: attività commerciali dedicate e una comunità più giovane, con numerosi bambini, dove far crescere i figli. Per questo molte famiglie, soprattutto quelle giovani, sono attratte dalle comunità principali, spopolando quelle minori.

EbreiVITA QUOTIDIANA – Come spiega Riccardo Joshua Moretti, vicepresidente della Comunità, nell’ebraismo esistono 613 Mitzvot, cioè regole che l’ebreo osservante è tenuto a rispettare. Non tutte sono praticabili oggi, perché richiedono ad esempio di essere in Israele o perché necessitano del Tempio di Gerusalemme oggi inesistente. Le regole più evidenti sono quelle sul cibo: è vietato mangiare cibo che non sia kashèr. Questa definizione non indica semplicemente quale cibo è permesso e quale no. Per essere kashèr un cibo deve rispettare complicate norme che riguardano sia la natura del cibo sia la preparazione. Ad esempio sono vietati maiale e molluschi, ma è anche proibito mescolare carne e latte, gli animali permessi devono essere macellati tramite shechitah (macellazione rituale) da uno shochet (macellaio ebreo autorizzato) e persino gli utensili da cucina devono essere assolutamente separati tra quelli usati per il kashèr e gli altri. Un solo errore nella filiera porta alla ‘contaminazione’ di tutto il cibo, che non è più considerabile puramente kashèr. Una comunità piccola come quella parmigiana non ha a disposizione supermercati o ristoranti specializzati e deve fare affidamento al suo presidente, attivo nell’industria alimentare kashèr, che si occupa di rifornire il resto della comunità. In occasioni come il ristorante o una cena da amici non ebrei, ci si affida alla sensibilità di ognuno, evitando quantomeno gli alimenti palesemente non kashèr come suino e frutti di mare.
Altre regole riguardano la celebrazione del Shabbat, giorno di riposo che va dalla sera del venerdì alla sera del sabato. In quelle ventiquattro ore, in estrema sintesi, è proibito trasformare in qualche maniera il mondo attorno al fedele. Facciamo un paragone con la domenica, giorno di riposo della grande maggioranza degli italiani in cui si è soliti non lavorare ma dedicarsi ai propri interessi, come magari la scrittura, il giardinaggio o piccole manutenzioni casalinghe. Tutto questo è proibito nel Shabbat, perfino scrivere. Perfino usare l’elettricità o i motori è vietato, versione moderna del biblico divieto di accendere e spegnere fuochi. Ma come conciliare tutto ciò con la vita quotidiana? “A casa mia – spiega Moretti – ho un contatore programmato per staccare l’elettricità al venerdì sera e attivarla di nuovo dopo ventiquattro ore. Quando non mi si accendono più le lampadine, so che devo astenermi da qualsiasi attività in qualche modo operosa. Di solito il Shabbat si trascorre frequentando amici e parenti oppure con passeggiate e letture, oltre naturalmente alle cerimonie religiose. Come sempre si tratta di decisioni personali. Conosco una sarta ebrea di Parma che al sabato teneva aperto il suo negozietto, non volendo perdere clienti, anche se questo la lacerava interiormente. Le dissi di provare a chiudere per qualche settimana e guardare la differenza di incassi. Sorpresa: non c’era differenza. Il rispetto del Shabbat non dà particolari problemi nel rapporto con i non ebrei. Io sono musicista e insegno al Conservatorio di Parma e non ho mai né insegnato né suonato al sabato, anche rifiutando inviti alla Scala di Milano. Ho trovato sempre un grande rispetto delle mie esigenze, anche perché ho sempre avuto io per primo rispetto per gli altri e serietà nel mio lavoro. Sono convinto che chiunque, se dimostra serietà e dedizione nel proprio lavoro, può trovare il rispetto dei propri bisogni religiosi, siano essi il riposo al sabato o le cinque preghiere giornaliere dei musulmani.”

CONVIVENZA E ANTISEMITISMO – A proposito di musulmani, com’è il rapporto tra islamici ed ebrei a Parma? Entrambe le confessioni, insieme a cristiani e bahà’i, fanno parte del ‘Forum interreligioso 4 ottobre’ nato nel 2007 nella città parmigiana per favorire la convivenza fra le quattro religioni abramitiche. Secondo l’esperienza di Moretti “i rapporti tra musulmani ed ebrei a Parma sono buoni, improntati a una serena convivenza nel rispetto reciproco; ciascuno vive e lascia vivere, il che per una comunità tradizionalmente ‘misantropa’, in senso ironico, come la nostra va benissimo”. Se nello scorrere quotidiano della vita delle due comunità religiose i rapporti sono pacifici, il discorso cambia quando si affronta il nodo politico militare del conflitto arabo-israeliano. Da qui l’esigenza della sorveglianza perenne dei militari a presidio della sinagoga. “Siamo molto grati ai militari per il loro servizio, ci sentiamo molto più sicuri perché il pericolo c’è e viene da certe parti politiche”, conferma Moretti. “Nel 2012, uno degli anni più duri del conflitto arabo-israeliano nella striscia di Gaza, abbiamo avuto manifestazioni dell’estrema sinistra davanti alla sinagoga e una notte ci fu imbrattata di vernice rossa la porta d’ingresso. La mano resta ignota e non voglio indicare colpevoli, ma è evidente come l’opposizione a Israele sia usata come paravento per sfogare un antisemitismo latente.

Qual è il futuro della comunità ebraica parmigiana? Tra il calo naturale e lo spostamento verso realtà più numerose, non rischia di sparire? “Noi ebrei siamo sempre stati una piccola minoranza in ogni tempo e in ogni luogo. In un certo senso siamo da sempre a rischio di sparizione, è una nostra caratteristica. Ma appunto la nostra caratteristica è di essere sempre a rischio, senza sparire mai”, sorride Joshua Moretti.

 

di Andrea Prandini

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