Da Parma alle Nazioni Unite: il manifesto medico del prof. Fanelli

A NEW YORK L'ORDINARIO DI ANESTESIA E RIANIMAZIONE HA PRESENTATO IL DOCUMENTO IN ASSEMBLEA GENERALE ONU

IMG_4082“Devo curare il dolore”. E’ questo il significato del decalogo presentato da Guido Fanelli, ordinario di Anestesia e Rianimazione dell’Università di Parma, il 20 aprile scorso all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.Oltre ad essere l’ideatore del testo ed uno dei primi docenti dell’Ateneo ad essere chiamato come relatore all’Onu, Fanelli ha definito il documento come un ‘impegno’. Un ‘manifesto‘ pieno di responsabilità in cui ogni medico si fa carico professionalmente dell’esperienza del malessere fisico del paziente, che diventa l’avversario da battere. Il documento è quindi un tentativo a livello globale affinché circa 5 milioni di persone di 80 Paesi secondo l’Onu possano avere la possibilità di guarire da quel male dalle mille forme e pulsioni che chiamiamo dolore.

LA TERAPIA DEL DOLORE – Questo diritto “prevede tutte quelle terapie finalizzate a risolvere e curare la sofferenza secondo diverse soglie, dal moderato al severo” spiega il professore. “Per dolore si intende ciò che impedisce alla persona di compiere una vita regolare, come il mal di schiena – riprende il docente – tutti quei dolori, soprattutto di carattere osteoarticolare, che limitano la qualità di vita della persona secondo quella scala di intensità”. L’obiettivo del ‘Manifesto‘ è chiaro e semplice: “Dire alle persone che si può andare avanti anche senza dolore” afferma Fanelli. Spesso sottovalutato dalla maggioranza dei medici questo diritto, già presente in Italia dal 2010 con l’art. 2 della legge 38 di cui lo stesso Fanelli è stato l’artefice, è considerato dall’Onu all’avanguardia a livello internazionale sulla tematica. Infatti, oltre che intollerabile, il dolore è anche costoso. In Italia, il 26% della popolazione soffre di dolore cronico. Secondo il ‘Center disease control’ (Centro controllo malattie), negli Usa i costi indiretti e diretti del dolore sono superiori alla somma dei costi del cancro, delle infezioni e delle malattie cardiovascolari. Decisiva è stato quindi la rivalutazione del dolore. “Siamo infatti passati da una concezione in cui il dolore era una cosa necessaria, nel senso che era elemento per capire la presenza della malattia, ad una in cui oggi esso si può e si deve combattere” precisa il professore. Concretamente, il medico dovrà agire cercando di far emergere il problema al paziente; comunicargli che è un suo diritto. Quindi prendersi carico della persona in maniera totale. “Un’altra azione importante è l’utilizzo dei farmaci, per esempio degli oppioidi” afferma il professore.

IL RISCHIO DEL DOPPIO FALLIMENTO – Già, gli oppioidi. I farmaci più potenti per quanto riguarda il dolore sono derivati IMG_4067dall’oppio, come la morfina. Dunque all’interno dello United Nation Office Drug and Crime (Ufficio droga e crimini delle Nazioni Unite) c’è conflittualità sull’utilizzo di tali sostanze. “C’è un problema importante, che chiamiamo double failure: cioè se liberalizziamo rischiamo l’abuso di queste sostanze; se non si agevola neghiamo l’uso di tali farmaci ai pazienti per la terapia” dichiara Fanelli. In altre parole, “se vi è paura che le persone si droghino, si proibiscono i farmaci che derivano dalla morfina: così facendo però quel 26% di popolazione italiana che ha dolore cronico non può sottoporsi alla terapia”. Senza considerare poi che “dall’altra parte della bilancia vi sono persone che, sfruttando in maniera indebita l’eventuale liberalizzazione, abuserebbero di morfina” dichiara Fanelli. Queste legittime preoccupazioni hanno diverse radici: culturali, economiche, giuridiche. Infatti in America vige la logica del ‘bigger is better’, ovvero un’esagerato consumo di farmaci; in Italia la morfina è associata alla morte e alla droga; nei maggiori paesi produttori di oppio, come Afghanistan e Colombia, ufficialmente la popolazione non ha accesso a quei farmaci per via delle severe leggi antidroga. In definitiva, questo diritto alla non sofferenza si muove su un labile confine, con il rischio di una pericolosa ambiguità.

UNA QUESTIONE DEONTOLOGICA – Come si risolve dunque la spinosa questione? Questo documento in sostanza vuole essere un IMG_4063chiarimento a livello deontologioco al problema del doppio fallimento. Non quello di abbattere il pregiudizio sull’utilizzo delle sostanze oppiacee. “Non siamo entrati in quell’argomento; siamo rimasti ad un livello più alto – continua il professore -. Quello degli oppiacei è un discorso medico; in quella sede abbiamo cercato un discorso più di carattere etico-morale”. Ecco quindi spiegato il contenuto che i 44 medici referenti dei centri di eccellenza italiani hanno racchiuso nella stesura del testo tra cui ortopedici, oncologi e geriatri. In altre parole, assumere “un dovere nei confronti di noi stessi, dei pazienti e di tutti”, dichiara Fanelli. Sarà responsabilità del medico non essere permissivo con l’uso degli oppiacei, ma che servano solo in funzione della terapia. Inoltre, sostiene Fanelli, “da un punto di vista scientifico stiamo cercando di identificare le persone a rischio di eccesso. Ci sono delle scale su cui è abbastanza facile individuare una persona in pericolo“.

PROGETTI IN CORSO – L’impatto che questo documento reca con sè non è solo a livello teorico, ma anche concreto. Infatti, focalizzando sul caso italiano, questo diritto trova ampio utilizzo nel sistema universalistico e assistenzialista della sanità italiana. Tuttavia, come sostiene Fanelli, “il sistema italiano è centralizzato, ma per via del Titolo V ogni regione agisce diversamente. Questo è un gravissimo problema che va contro la costituzione stessa perché innesca il meccanismo della diseguaglianza“. Da qui la proposta di realizzare un’alleanza scientifica di tutti i centri di eccellenza italiani, chiamato Pin Hub, “con lo scopo di essere appropriati di fronte alle problematiche attuali, come ad esempio la somministrazione dei farmaci”. In tutto ciò Parma riveste un ruolo di primo piano. In città c’è il primo centro hub d’Italia per numero di visite: dai 15 ai 16 mila malati all’anno e il 35% vengono da fuori regione.

di Jacopo Orlo

Scrivi un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*