‘Voucher’ nel silenzio

TRA MERCATO DEL LAVORO ALLO SBANDO E GIOVANI SEMPRE PIU' PRECARI

voucher-inpsSi è consumato un brutto pasticcio tra i palazzi del Parlamento.
Il governo dovrà correre al riparo sul lavoro occasionale, punto fondamentale del Jobs Act.
Fino ad oggi, e non si sa ancora per quanto, il terreno dei ‘voucher’ rimane e rimarrà una zona franca dello sfruttamento. I problemi sono molteplici, ma tra i principali spicca sicuramente che sugli ‘scontrini’ non è specificata la durata in ore. Tradotto: un datore di lavoro può chiamare una persona a lavorare per otto ore e pagarla con un solo voucher (7,50 euro netti), senza il rischio di incorrere in sanzioni. E il lavoratore non può nemmeno presentare ricorso, perché agli atti risulterebbe pagato, ed oltre a non avere modo di dimostrare per quanto tempo ha effettivamente lavorato, a suo sfavore penderebbe il fatto che non è nemmeno coperto dai contratti nazionali di categoria.
Ma non è l’unico problema. C’è anche la questione dei voucher non incassati, su cui i numeri impazziscono. Uno studio condotto dalla Uil su dati forniti dall’Inps attesta la percentuale a poco meno del 25%. Invece, Marco Leonardi, consigliere economico di Renzi, parla con ottimismo di 5%.
L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro nero‘. Forse sarebbe il caso di modificare la dicitura nel primo articolo della Costituzione. Tutto merito di una signora, Elsa Fornero, che tra una lacrima e l’altra, circa quattro anni fa estese l’utilizzo dei voucher a quasi tutte le categorie lavorative.
Ma cosa sono questi ‘voucher’ di cui si parla tanto ultimamente?
Nient’altro che dei ‘buoni lavoro‘. Un’emissione fiscale con la quale ci si reca anche presso un semplice tabacchi e si ritira una quantità prefissata di denaro (10 euro lordi, di cui 7,50 netti). Fu introdotto nel 2008 per il lavoro nei terreni agricoli. Allora, si trattò di un tentativo per regolarizzare i giovani braccianti chiamati occasionalmente a dare una mano agli agricoltori.
Ma quello strumento, complice anche la crisi economica, iniziò a far gola anche agli industriali. L’occasione ghiotta si presentò col governo Monti. Si trattava di un esecutivo non eletto, ritrovatosi alla testa del Paese grazie a un colpo di spalla (o di ‘spread’, fate vobis) dell’abile ‘presidentissimo’ Napolitano. Proprio per questo motivo, l’economista e i suoi soci avevano bisogno di qualcuno o qualcosa che li legittimasse e gli garantisse stabilità. Quel qualcuno o qualcosa rispondeva al nome di Confindustria, più precisamente al duo Montezemolo-Marcegaglia. E nella solita logica di ‘do ut des’ l’appoggio della corporazione delle imprese venne ottenuto garantendo in cambio la modifica alla riforma del lavoro.
Il dato curioso è che da subito si registrò un aumento vertiginoso dell’utilizzo dei voucher. Quasi il 60% in più in appena sei mesi, dalla metà del 2012, al gennaio 2013. Segno evidente che ‘nessuno’ si era preparato alla cosa.
Tuttavia, esistevano ancora delle limitazioni (basti pensare al tetto dei compensi). Almeno fino al Jobs Act. Anche la riforma targata Renzi fu un chiaro segnale della volontà del governo di mantenere il ‘patto forte’ con le imprese. Con buona pace dei lavoratori, nel frattempo sempre più rassegnati alla precarietà.
In questo modo si è consumato il passaggio dai giovani co.co.pro., la cosiddetta ‘generazione mille euro‘, alla generazione ‘voucher’. Con i secondi che inevitabilmente guardano con invidia ai primi. Volete mettere la certezza di lavorare con uno stipendio da stagista ma per tre mesi, con ‘oggi si lavora, domani non si sa‘, al modico prezzo di 7,50 euro netti?
Chi lo sa, forse moriremo così: senza più voce, ma con più ‘voucher’.

 

Luca Mautone

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