Scarafaggi turchi

KAFKA, ERDOGAN E ALTRE DIVAGAZIONI

Ho fatto un sogno strano: mi svegliavo di soprassalto e mi trovavo in una stanza medio grande, le persiane erano chiuse e nonostante questo sentivo di non essere nella mia città. Questo non mi preoccupava, sono un tipo a cui piace viaggiare e ai cambiamenti si adatta facilmente. Mi hanno detto che sono una persona resiliente.
Sentivo delle voci fuori dalla porta: parlavano in una lingua straniera che sapevo di non conoscere perché non l’ho mai studiata però lo comprendevo: la forza dei sogni sta in questo.
Mi dirigevo verso la porta cerco di aprirla ma era chiusa. Chiusa dall’esterno. Bussavo ma nessuno mi apriva, le voci smettevano di parlare. In questo silenzio risuonava solo il rumore della maniglia velleitaria.
Le persiane chiuse lasciavano intravedere le luci innaturali che porta con sè la sera: fari di automobili, lampioni, insegne al neon di bar con colori sgargianti. Apro le persiane e la vedo, maestosa e bellissima davanti a me: la moschea blu di Istanbul.
Lo stupore dopo un po’ lascia posto all’ammirazione: perdermi tra le dolci linee del maestoso luogo di culto che nel suo grembo, come una mamma benevola, protegge i suoi tanti figli.

La notte ad Istanbul è ancora più notte:in realtà pur non essendoci mai stato mi sentivo a casa: Istanbul, Parma,Napoli,non c’era distinzione alcuna. Sorridendo mi dirigo verso la cassettiera e vedo la cosa che rende il sogno un incubo: un tesserino con su la mia fototessera con la dicitura “giornalista”, a lato  un giornale aperto su un articolo che porta la mia firma. Parlo del presidente Erdogan, della sua politica sultanale, di come sia riuscito a mandare al processo un comico tedesco che in Germania aveva fatto della satira su di lui; facevo riferimento ai miei due colleghi condannati 5 anni per aver fatto il proprio lavoro: un’inchiesta giornalistica in cui smascheravano il commercio di armi da parte della Turchia a favore di Isis e accusati di ave svelato dei “segreti di stato”. C’era scritto che la Turchia ha il primato di giornalisti in prigione, un’opposizione inesistente e che il primo ministro, accusato di essere troppo filo occidentale, viene costretto alle dimissioni. Nonostante questo l’Europa elargisce sei miliardi di euro affinchè la Turchia blocchi il flusso di migranti:come? Creando nuovi campi di concentramento 2.0 per tutti gli irregolari che vengono rispediti indietro. Tutto ciò condanna l’Europa e i suoi capi di stato ad un’ignavia che sa di disonestà intellettuale. Il peggio.
Mi rendevo conto che essere giornalista in Turchia è come diventare scarafaggio nella storia di Kafka: chiusi in una stanza in attesa della morte solitaria e inevitabile.
Perso nei miei pensieri tornavo alla realtà ascoltando un rumore di passi che proveniva dal corridoio dietro la porta della stanza. Erano loro, stavano venendo a prendermi per poi portarmi in prigione in attesa di un processo farsa. La porta della camera veniva abbattuta con un calcio.

Mi sono svegliato di soprassalto. La camera era la stessa di ogni mattina, ero in Italia. Il paese dove il nuovo presidente dei magistrati attacca ogni giorno il premier, dove Gasparri continua a scrivere minchiate su twitter dove Libero si sbizzarrisce nei titoli dei suoi quotidiani e penso che tutti noi non ci rendiamo conto della fortuna che abbiamo nel dire ciò che ci passa per la testa.
E con questo siamo il paese al settantasettesimo posto in classifica come libertà di stampa.
E grazie alla mia libertà posta al gradino numero 77  posso e voglio dire Vaffanculo Erdogan.
Fammi processare per lesa maestà.

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