Sempre più vittime di bullismo online: arriva la legge. Che poi cambia

MINORENNI E MAGGIORENNI SULLA STESSA BARCA, NEI REATI E NEI COMPORTAMENTI

Incyberbullismo (1)sultare è un atto di per sé meschino. Quando lo si fa nascondendosi dietro un computer, ancora peggio. C’è di base un principio inspiegabile, che autorizza i cosiddetti ‘leoni da tastiera’ ad esprimere pareri e giudizi a volte pesanti, a dire la propria anche a costo di offendere, gratuitamente. Le parole sono importanti e pesano: lo dimostrano i fatti di cronaca che riportano storie di bullismo diventate tragedie, come il recente caso del suicidio di Tiziana Cantone, una vita distrutta dopo la diffusione di un video intimo. O le offese a Bebe Vio, campionessa paraolimpica, in questi ultimi giorni pesantemente insultata sul web per la scelta del vestito indossato in occasione della cena di Stato alla Casa Bianca. E lo ha dimostrato anche Linus, che dopo 12 anni ha salutato con un video di ‘arrivederci’ i lettori del suo blog, dicendosi incapace di “lanciare in pasto ai barbari” i propri pensieri e scatenare polemiche. Atteggiamento previdente o comunque un modo per tutelarsi. Comprensibile.

UNA NORMA AMMAZZA WEB? – Ma qualcosa si muove. Attenzione, infatti, ad esprimere un insulto – o forse anche solo un pensiero di qualsiasi genere – perché è in corso l’approvazione del nuovo disegno di legge S.1261-BI, dedicato a ‘Disposizioni per la prevenzione e il contrasto dei fenomeni del bullismo e del cyberbullismo‘, che potrebbe cambiare molte cose e secondo alcuni agire pesantemente sulla libertà di espressione.
Come? Lo spiega l’articolo 1, comma 2bis secondo cui “per cyberbullismo si intendono, inoltre, la realizzazione, pubblicazione e diffusione on line attraverso la rete internet, chat-room, blog o forum, di immagini, registrazioni audio o video o altri contenuti multimediali, effettuate allo scopo di offendere l’onore, il decoro e la reputazione di una o più vittime, nonché il furto di identità e la sostituzione di persona operati mediante mezzi informatici e la rete telematica al fine di acquisire e manipolare dati personali, ovvero di pubblicare informazioni lesive dell’onore, del decoro e della reputazione della vittima”. Il Ddl, sospeso fino al Referendum e in circolazione ormai dallo scorso luglio, ha generato severe critiche dal popolo del web e dagli esperti, che l’hanno definita una ‘norma ammazza web’, perché le nuove formulazioni agiscono fortemente sull’utilizzo della rete. La legge così confezionata diventerebbe un grosso calderone in cui confluiscono tante, troppe cose. Le conseguenze maggiori? Nessuna distinzione d’età, minorenni e non e un vasto allargamento dei campi inclusi sotto l’etichetta cyberbullismo. In questo caso sì, la legge vale per tutti. E porterebbe a 6 anni di carcere come condanna“Solo con questa legge – dichiara Andrea Pescetti, docente di Informatica – entrerà nell’ordinamento italiano la definizione di cyberbullismo, anche se alcuni comportamenti che rientrano nella definizione sono già punibili secondo le norme esistenti, ad esempio, per violazione della privacy o per sostituzione di persona”. Con questa legge chiunque, minorenne o no, potrebbe chiedere al “gestore del sito internet, del social media, del servizio di messaggistica istantanea o di qualsiasi rete di comunicazione e trasmissione elettronica, nonché al Garante per la protezione dei dati personali, un’istanza per l’oscuramento, la rimozione, il blocco delle comunicazioni che lo riguardano nonché dei contenuti specifici rientranti nelle condotte di cyberbullismo, previa conservazione dei dati originali”. Un’arma a doppio taglio.

Ask Fm IL CASO ASK – Il sito Ask, una sorta di social network basato su domande, esiste dal 2010, anche se il successo è stato raggiunto solo in concomitanza al rilascio dell’app per Iphone, assieme ad un numero sempre crescente di controversie: grazie all’anonimato che Ask concede nel porre le domande agli iscritti è molto facile che si crei un ambiente ideale a troll e bulli per proliferare. Così si inanellano uno dietro l’altro casi come quello di Hannah Smith, quattordicenne che il 2 agosto del 2013 si è tolta la vita stanca della valanga di insulti ricevuti sul sito. Un mese dopo vittima è stata la dodicenne dalla Florida Rebecca Sedwick, sul cui profilo si potevano leggere messaggi come “meriti seriamente di morire”.
Ma senza andare così lontano, A. D., ragazza di 19 anni, racconta così la sua esperienza sul social network: “Quando avevo quindici-sedici anni mi piaceva tantissimo uno specifico paio di pantaloni e, in uno slancio di autostima, me li ero messi un paio di volte per andare a scuola. Dopo qualche giorno, aprendo il mio profilo Ask, lessi una frase: “Non mettere mai più quei pantaloni, ci fai sanguinare gli occhi. La tua classe.” Mi ricordo di non essere andata a scuola il giorno seguente per l’umiliazione e che dovettero quasi accompagnarmi per mano in classe. Fu ancora più sconvolgente scoprire che tutte le persone intorno a me sapevano chi fosse stato, ma nessuno decise di proteggere me e condannare lui. Lo venni a sapere a una festa, anni dopo: ‘Pensavo lo sapessi, ormai’ fu la frase-scudo della persona che si era lasciata sfuggire la notizia.”

PIU’ DEL SEMPLICE BULLISMO – A intervenire sulla questione è anche Luca Perencin, libero professionista, formatore in ambito scolastico e aziendale su temi legati alla sicurezza e social media, che descrive il cyberbullismo come “l’evoluzione di quello che erano i bulletti da strada, o di scuola; un fenomeno che è ben conosciuto da anni e che fa parte delle dinamiche adolescenziali praticamente da sempre. Il problema maggiore sta nel fatto che il mezzo, la rete, fa da amplificatore di questi fenomeni, rendendoli immediatamente visibili ad una platea più vasta.”
È con questa prospettiva che si è pensata la legge di inizio settembre: “Si è passati da un approccio responsabilizzante (di istituzioni, enti, genitori, ecc) ad uno più punitivo, che non porta, francamente da nessuna parte. Ci devono essere sicuramente ‘punizioni’ per gli atti più gravi, ma per quello bastano le leggi in vigore. Questi fenomeni non si combattono con la repressione.” In fondo, la rete, per sua natura, è un organismo che si aggiusta e ripara ‘da solo’, perché così è stata concepita fin dall’inizio. Tentare di imporre delle norme è pericoloso, perché si rischia di ottenere l’effetto opposto”.
Non va dimenticato però che un uso maligno della rete può essere fatto a qualunque età, il caso di Tiziana Cantone è emblematico: “Il discorso lì è complesso, entrano in funzione altre dinamiche. L’adulto diventa ‘morboso’, c’è molta psicologia, tabù e tanto altro. Ne sono una prova il successo delle ‘colonnine morbose’ che hanno tutti i vari giornali online. Il concetto di base è sempre quello dell’educazione (al mezzo) e alla consapevolezza (delle proprie azioni) che sono largamente sottovalutate.” Bisogna capire allora cosa veramente distingue due situazioni che paiono abbastanza simili. Secondo l’esperto “Tiziana è stata vittima anche di una forte imprudenza sua, o forse troppa fiducia in chi la stava riprendendo che non è stato mai nemmeno nominato sui giornali e che è probabilmente chi ha materialmente diffuso il video, per vantarsi, magari tra gli amici. Ecco, in questa ottica forse rientra una logica da ‘bulletto di paese”‘ amplificata a dismisura dal mezzo tecnologico. Forse in passato sarebbe rimasta una storiella da raccontare al bar. Quello che è cambiato è che non si conoscono a fondo le reali potenzialità della rete.

Ma come si può combattere questo fenomeno? “Il cyber-bullismo si combatte solo con azioni di sensibilizzazione e formazione: i ragazzi e gli adulti devono essere coscienti del potenziale, positivo e negativo, delle loro azioni. Devono capire che un’azione virtuale può avere una conseguenza reale, e viceversa. Questi fenomeni ci sono e stanno andando avanti senza di noi; o li dominiamo, conoscendoli, o ne verremo travolti.”

 

di Matteo Buonanno Seves e Felicia Vinciguerra

 

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