Parma e le cucine dell’orrore: quello che non vediamo dietro ai fornelli

STORIE DA INCUBO RACCONTATE DA CHI VIVE IL MONDO DELLA RISTORAZIONE

sequestri cibo ristoranti parmaIn un ristorante di Parma lo chef viene cacciato dalla cucina. E’ stato sorpreso a leccare la crema che fuoriusciva dai bignè appena preparati per poi rimetterli sul vassoio, come se niente fosse. Vi aspettereste mai una cosa del genere guardando il dolce che vi hanno appena servito? Eppure è successo davvero, proprio nella capitale della Food Valley.
È solo mancanza di buonsenso oppure non si presta proprio attenzione alle basilari norme igieniche e culinarie?

BAR RISTORANTI E FAST FOOD – A. è un ragazzo che per molto tempo ha lavorato come cameriere in alcuni locali della città e provincia: “In uno di questi il cuoco era solito aggirarsi tra i fornelli con un cucchiaio nella tasca del grembiule, provando tutte le pietanze prima di servirle, senza mai cambiarlo o lavarlo”.  Saliva e possibili allergeni che passavano da un piatto all’altro. “Sempre lo stesso chef non si curava di lavarsi le mani dopo aver fumato una sigaretta, rimettendosi tranquillamente all’opera tagliando la carne o preparando altri alimenti.” O ancora, in centro a Parma “esiste un locale dove si prepara una quantità enorme di tortini da servire come antipasto – continua A. – ma solo una parte poi viene effettivamente portata ai tavoli, il resto è congelato e spacciato per fresco nei giorni successivi“.
Non solo antipasti, un ex cameriere di un ristorante in centro, P., si sfoga: “La carne che servivamo non l’avrei data nemmeno al cane. Non era congelata, ma nei sacchetti sottovuoto e già in una settimana puzzava. Solo che da noi veniva servita quasi un mese dopo la sua scadenza“. E chissà quanti l’hanno mangiata a loro insaputa.
La situazione diventa ancora più critica quando si parla di insetti. “In un locale del centro storico, dove ho lavorato per 20 anni, ogni mattina un tappeto di blatte ci aspettava” spiega R. che adesso ha aperto un’attività tutta sua in zona Pilotta. “Garantisco che ancora oggi tutto è rimasto così in quel bar”. La disinfestazione andrebbe fatta circa una volta al mese in questi palazzi molto vecchi e vicini al torrente, tuttavia le scadenze non vengono rispettate.
I controlli per impedire questi orrori ci sono, come anche i “mezzucci per aggirarli”. Infatti, continua P. “basta che uno tra i gestori vicini avverta appena riceve la ‘visita’, perché tutti gli altri si premuniscanocarne scaduta ristorante parma nascondendo  il cibo scaduto”.

Purtroppo, le storie da incubo non si limitano ai ristoranti e ai bar. “Le salse andate a male vengono corrette direttamente con il bicarbonato, per regolarne il sapore”, confida tranquillamente L. che lavora in un fast food. Visti i ritmi veloci richiesti nella preparazione del cibo succede che “la cotoletta secca, già cotta oppure scaduta, venga riscaldata; al massimo il cliente si lamenta e allora si rifà il panino con la carne nuova”, spiega D., che lavora anche lui in uno di questi ambienti. Ma questo è il meno: “Abbiamo avuto due o tre topi che giravano per il locale, cucina compresa – ammette il ragazzo – per non parlare di mosche e vespe, molte delle quali morte accanto ai tavoli dove condiamo i panini, ma soprattutto dei grilli che nel periodo estivo finiscono anche tra gli alimenti e le patatine“. Ma la cosa più assurda della faccenda è che “nonostante abbiano visto i topi e le piattole girare, molti clienti non solo ritornano, ma ci fanno pure le foto per ridersela con gli amici – prosegue D. -. Fanno a gara a chi schiaccia prima lo scarafaggio senza preoccuparsi del perché sono lì”.

E LA GRANDE DISTRIBUZIONE? – Ma non se la passano meglio i supermercati, dove la situazione può serenamente sfuggire di mano.  Un prodotto andato a male all’interno di una confezione lascerebbe immaginare che tutto il contenuto sia stato intaccato e invece P., che ha lavorato per una grande catena, spiega: “Per gli alimenti confezionati, come i cappelletti, se alcuni sono ammuffiti questi vengono selezionati e buttati singolarmente, per poi richiudere la scatola e rimetterla negli espositori della pasta fresca“. Ancora peggio va con succhi e frullati: “I prodotti a base di frutta sono fatti con materiali di scarto, andati a male o di seconda mano”. Ma l’incubo non è ancora finito. Nell’ambito della produzione industriale, C. si occupa della distribuzione e preparazione del cibo per un’azienda privata. Nel corso della sua attività ne ha vissute di tutti i colori: “Ho visto gente lavorare in condizioni di malattia, con il raffreddore e tossendo sui piatti senza la mascherina“. Per non dire dell’immancabile “prosciutto cotto scaduto da un giorno e poi messo sulla pizza perché ‘tanto cuoce’, o la mozzarella color giallo, che quando va a male dev’essere buttata subito e invece no perché ‘tanto cuoce’”.
Per alcuni mesi, ha confidato, una grande cucina del complesso era stata affittata da un piccolo privato e, al termine della gestione, versava in condizioni disastrose. “C’erano rimasugli di cibo ovunque. Il che vuol dire che non avevano pulito.  Naturalmente, era pieno di scarafaggi e cimici. Siamo stati costretti a disinfettare tutto e a chiamare l’Ausl per i controlli, e abbiamo perso diversi giorni di lavoro“.
O ancora, lavare l’affettatrice ogni settimana anziché dopo ogni utilizzo e l’olio della frittura cambiato solo ogni due settimane. “So che è dura fare e rifare le cose, perché si tratta di un lavoro molto ripetitivo entro certe tempistiche – spiega C. – quindi c’è proprio negligenza: non ho voglia di farlo e me ne sbatto”.

muffa cibo ristorante parmaCOSA DICONO LE NORME – Eppure ci sono norme chiare sull’igiene, oltre che indicazioni dettate dal buonsenso. Come quelle stilate dal Dipartimento di Sanità Pubblica dell’Azienda Ausl di Parma. A partire dalla struttura dell’edificio e in base alle tipologie di esercizi di produzione e somministrazione di alimenti e bevande, la normativa è particolarmente vasta ma facile da comprendere. Ad esempio, “I recipienti e gli apparecchi che servono alla lavorazione o al trasporto dei materiali putrescibili […], devono essere lavati frequentemente e, ove occorra, disinfettati”. Quindi è una questione di superficialità o un subdolo tentativo di risparmiare a tutti i costi? “Da un punto di vista alimentare è per risparmiare – osserva C. -. Ad esempio, il cibo scaduto anche da un solo giorno viene servito lo stesso”. Ma non solo: “Il problema risiede nei controlli – riprende P., in riferimento al supermercato -. Sono interni, si sa sempre quando arrivano e allor tutti si preparano e nulla è fuori posto“.

TUTTO IN ORDINE – Per fortuna non tutti a Parma si comportano così. “Non ho mai visto usare prodotti scaduti o un piano di lavoro sporco e in disordine – assicura S., che lavora in un ristorante vicino al Duomo -. Ognuno ha la sua postazione che dev’essere sempre pulita, anche durante il servizio”. Le norme igienico-sanitarie sembrano essere rispettate pure in una pasticceria in Oltretorrente che si occupa soprattutto della prima colazione: “Utilizzavo dei guanti in lattice per la preparazione e la farcitura di brioche o di altri dolci” spiega G., ex dipendente del bar. Esempi positivi anche nella nuova cucina di R., dove ogni prodotto viene suddiviso nella maniera corretta: “Ogni frigo contiene tipologie di cibi diversi, tutto è sigillato appropriatamente ed un libro mastro mi aiuta a segnare ciò che manca”.

C. infine, conclude con una massima sulla ristorazione, nel bene e nel male: “L’unica cosa che interessa è mettere un piatto di fronte alla gente“.

 

di Martina Innocenti, Elia Munaò, Filippo Zbogar e Jacopo Orlo

1 Commento su Parma e le cucine dell’orrore: quello che non vediamo dietro ai fornelli

  1. l’l’articolo è scioccante è interessante ma senza indicazioni precise su chi fa che cosa noi come ci tuteliamo? Questa persona che parla (o queste persone che parlano) hanno fatto una denuncia?

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