Chiedimi se sono felice

TRA 'CHALLENGE' SUI SOCIAL E LEZIONI DI LAUGHTER YOGA: MA C'È DAVVERO BISOGNO DI RIDERE A TUTTI I COSTI?

cattivo umoredi Ludovica Salvatori |

Siete felici? Io non sono triste, né arrabbiata, né annoiata. Quindi presumo di essere felice. Eppure al mattino sono una convinta misantropa, sull’autobus e per strada mi arrabbio facilmente, quando incontro un ostacolo mi è facilissimo scivolare nell’abbattimento. “Uff, non ci voleva, e adesso?”

Questi sono solo alcuni comunissimi esempi dei cosiddetti ‘happiness murderers’, gli uccisori della felicità: pensateci un attimo e vi accorgerete che la vostra giornata-tipo ne è tappezzata. La settimana scorsa sono stata all’evento ‘I 60 minuti di felicità’ organizzato dall’Università di Parma. L’ambasciatore di ‘Laughter Yoga’ Richard Romagnoli ci ha mostrato alcuni esercizi per ridere incondizionatamente. Ho battuto le mani quando dovevo, ho abbracciato e sono stata grata quando ci è stato detto di farlo e ho fatto tutta una serie di cose bizzarre perché ci era stato promesso il miracolo della felicità. Ebbene, ho riso e mi sono divertita. Sono contenta di esserci andata perché la giornata era partita molto male: allerta meteo, bus in ritardo, scadenze del sabato che rischiavano di non essere rispettate… E alla fine invece sono andata a letto di buon umore.

È meraviglioso che esistano persone e iniziative che si prendono cura della nostra felicità. Ad esempio sui social hanno spopolato diverse challenge (così si dice oggi, sul web, quando si vuole intendere ‘sfida’, specialmente verso se stessi) come ‘3 Things I’m Thankful for’ o l’hashtag ‘#100happydays’, che sostanzialmente ci sfidano a condividere ogni giorno, per un numero variabile di giorni, a seconda delle versioni, ciò che ci rende felici o grati. Ed è così che conosciamo la banalità del bene. Ci scopriamo grati per avere una famiglia (quella stessa famiglia che a volte ci manda su tutte le furie e ci fa sbattere la porta di casa), per avere un pasto caldo alla sera quando torniamo, per essere in buona salute (anche se dall’inizio della settimana ci lamentiamo del mal di schiena) e per questo caffè che ci tiene svegli davanti al monitor. Siamo grati per tutte quelle cose che ieri davamo per scontate. E diventiamo un po’ banali o diciamo una piccola bugia, ma sia chiaro: a fin di bene! È solo per continuare a essere felici senza interrompere la serie. Perché non sono mica facili queste sfide: oltre il 70% di chi le inizia non le porta poi a termine. Ma chi ci arriva in fondo garantisce che i benefici esistono e fanno la differenza: realizziamo quanto siamo fortunati, impariamo a notare le piccole cose attorno a noi, il nostro umore migliora e si sa, quando siamo radiosi dentro, lo emaniamo anche all’esterno. Pensate che c’è anche chi ha trovato l’amore durante la sfida.

sorriso_matita_2

Ma i guru d’oltreoceano sono andati ben oltre: ora sembra addirittura che per ottenere tutti i benefici della felicità non serve nemmeno essere felici per davvero. Basta una matita. Se ora vi mettete una matita tra i denti, i vostri muscoli facciali dovranno contrarsi come se steste sorridendo e per l’ipofisi non farà alcuna differenza se una ragione per sorridere esista o no: lei rilascerà endorfine e la frittata è fatta. Che lo vogliate o no, alla fine vi sentirete meglio e sarete felici.

La mia intenzione iniziale era di sbugiardare questo tipo di fenomeno, ma poi mi sono dovuta ricredere: sembra che da soli non riusciamo a ricordarci di essere felici, che se non c’è qualcuno che ci costringe a ridere o se non abbiamo un pubblico che ci segue e ci sostiene durante una social challenge, non ci va proprio di metterci lì e pensare alle cose belle della vita. Compresa la sottoscritta. Ma perché se la felicità è così importante per noi da essere persino disposti a pagare un life coach per ri-insegnarcela, appena veniamo lasciati soli ricadiamo nelle solite abitudini che invece alimentano l’infelicità? Forse la tecnologia ci ha reso pigri. O forse è vero quello che dicono i nostri nonni: più si ha, meno lo si sa apprezzare. Ma questo fenomeno riguarda tutta la società: persone di ogni età frequentano i club della risata, portando con sé un disperato bisogno di ridere. Forse siamo davanti a un momento più grande di noi, a qualcosa per cui non abbiamo una risposta, a un cambiamento che non sappiamo gestire. Avvertiamo la spiacevole sensazione di impotenza e immobilità mentre il controllo ci sfugge dalle mani. E questo crea un malessere che va oltre i confini tra generazioni. Non possiamo chiuderci e pensare di affrontarla da soli, qualunque cosa sia. L’unica soluzione è (sembrerà banale) rimanere uniti, sostenersi, ritrovarsi e ridere, anche se una ragione non c’è. Ma alla fine dei conti: se nell’attesa di una soluzione reale ci evitano di uscire di casa già nervosi alle 8 del mattino, di pensare alle 12 che “non ce la faccio più”, di augurare alla macchina lentissima davanti a noi di esplodere appena svoltato l’angolo, di essere antipatici con la cassiera, di starsene sull’autobus ingrugniti e di arrivare a sera col cattivo umore… allora ben vengano tutte queste iniziative. Del resto, il saggio Woody Allen l’aveva detto già da tempo: “Basta che funzioni!”

 

2 Commenti su Chiedimi se sono felice

  1. Sono un leader dello Yoga della Risata di Parma e da 1 anno porto questa pratica nella mia associazione Le Monadi.Ridere insieme è bello! Ci si regala buona ossigenazione (ridendo prima come esercizio fisico) buon umore, tanta più energia. Grazie alla giocosità ritrovata alla fine si ride per davvero trasformando le risate in tanta buona chimica e posso dire che funziona!

  2. Che dire, mi ha fatto molto piacere leggere questo articolo, soprattutto perché parte da una convinzione e in forma critica e intelligente la rivede sulla base dell’esperienza fatta. Mi fa molto piacere che “I 60 minuti di felicità” voluti all’Università di Parma e le attività che stiamo organizzando e vivendo anche con voi ragazzi – con mia grande gioia – abbiano contribuito a riflettere sul fatto che non si parla tanto di essere felici a tutti i costi o di ridere come sciocchi, come si potrebbe pensare a prima vista. Si tratta piuttosto di allenarsi insieme agli altri (perché la risata è contagiosa) a ridere per cambiare la propria fisiologia e, di conseguenza, il nostro atteggiamento e la nostra psicologia. E quello che in effetti mi stupisce ogni volta è che nella sua semplicità funziona e davvero ci fa affrontare le giornate con un approccio diverso. Non solo, la potenza della laughter therapy sta anche nel suo poter essere una cura integrativa a supporto delle terapie mediche. A me sembra ogni volta straordinario.

Scrivi un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*