Disabilità e lavoro ai tempi della crisi: storie di crescita

A PARMA COPERTO IL 90% DEI POSTI DISPONIBILI NELLE AZIENDE

Disabilità in paroleNelle mense del Capas e del Campus dell’Università lavorano Matteo e Marco (nomi di fantasia, ndr), due ragazzi affetti dalla sindrome di Down. “Sono parte integrante dello staff”. Al Capas Matteo è il lavapiatti: “Ha la sua sedia vicino ai lavandini – dice uno dei colleghi – così quando si stanca può sedersi e riposarsi. Ma non si stanca facilmente”. Avendo perso entrambi i genitori, vive in comunità ed è sempre molto felice di andare a lavoro con i colleghi, ormai degli amici, che controllano che mangi in modo sano e adeguato, compleanni esclusi: “Quando compie gli anni – prosegue il collega- festeggiamo come si deve”.
Al Campus Marco si occupa di sistemare le sedie e della friggitrice in cucina, e a volte si avventura nel trasportare i vassoi. I due sono perfettamente inseriti nell’ambito lavorativo e questa è una bella fortuna visto che, mai come in questi anni di forte disoccupazione, la parola lavoro è sinonimo di indipendenza, autonomia, stabilità. Per le persone interessate da disabilità, però, questi concetti sono ancora più difficili da raggiungere.

LA LEGGE – L’inserimento delle persone con disabilità nel mondo del lavoro è tutelato dalla legge 68/99. Dalla sua entrata in vigore, i datori di lavoro pubblici e privati sono tenuti ad avere alle loro dipendenze lavoratori disabili in una quota che varia a seconda degli occupati: il 7% per aziende con più di cinquanta dipendenti; due lavoratori se occupano tra i 35 e i 50 dipendenti e un solo lavoratore per aziende tra i 15 e i 35 occupati. “Anche il Comune di Parma nel 1999 si è dovuto adeguare alle nuove norme – spiega Davide Rossi, dipendente del Consorzio Solidarietà Sociale – e ha compreso di non avere le competenze adeguate in merito. Così si è deciso di aprire un bando di concorso per trovare un’associazione che seguisse queste persone nell’inserimento al lavoro, e il nostro Consorzio ha vinto. Da allora la gara viene rinnovata ogni due anni, l’ultima scade questo novembre”.
Il Consorzio, nato negli anni ’80 dall’unione di cinque diverse associazioni ma che oggi conta circa 30 cooperative, da circa 20 anni si occupa dunque di seguire persone con varie forme di disabilità e inserirle nel mondo del lavoro in collaborazione con il Sild, Servizio Inserimento Lavorativo Disabili dell’ente Provincia di Parma.

La partnership tra l’ente pubblico e il Consorzio (privato) ha finora dato degli ottimi risultati. “Ogni anno – continua Rossi- riusciamo a coprire circa il 90% dei posti disponibili nelle aziende grazie alla legge 68.” Numeri positivi, ben superiori alla media regionale, pari al 55% circa, e frutto di un lavoro svolto dagli enti provinciali a stretto contatto con le aziende del territorio. Ma in base alla Legge Regionale 13/2015 le funzioni finora svolte dal Sild della Provincia di Parma sono ora passate alla Regione, con conseguente  irrigidimento delle procedure. Il rischio è che questo accentramento del sistema allunghi i tempi burocratici: “Oggi – dice Rossi –  ci occorrono due giorni per presentare i moduli e attivare un tirocinio o una collaborazione con un’azienda; gestendo tutto a livello regionale potrebbero servirne circa venti“.

LA STRADA VERSO IL LAVORO – Ma qual è il percorso di inserimento? La Bula, una delle prime associazioni ad aderire al Consorzio,  ad oggi segue 29 persone interessate da varie forme di disabilità. A differenza di quanto si potrebbe pensare, il percorso prescinde dalle disabilità iniziali di ognuno ed è invece molto legato a questioni individuali e caratteriali.

“La strada che noi seguiamo – racconta Laura Stanghellini de La Bula- si compone di tre step. In una prima fase, che si protrae per circa un anno, facciamo lavorare i ragazzi in spazi interni all’associazione e ne osserviamo le capacità sia pratiche che relazionali.” La cooperativa ha a disposizione dal 1980 una piccola falegnameria, nella quale vengono realizzati e poi venduti piccoli oggetti e bomboniere in legno. Da qualche anno è stato aperto anche il laboratorio Digitarlo, spazio in cui ragazzi e operatori sviluppano competenze nell’ambito della digitalizzazione di immagini e video.
Lavori presso la falegnameria de La BulaIl secondo step, che prende il nome di Altrolavoro, prevede l’inserimento dei ragazzi, per alcuni giorni alla settimana, in veri e propri contesti lavorativi, con il supporto di un educatore. Gli ambiti privilegiati sono mense scolastiche, bar, trattorie e circoli. Solo in una fase finale vengono attivati i tirocini formativi nelle aziende disponibili. A questo punto la persona con disabilità non è più legata formalmente alla cooperativa.
Le maggiori difficoltà si riscontrano sono sotto il profilo relazionale: passando da una realtà circoscritta come quella di una cooperativa a un’azienda di media dimensione, non è semplice ricreare un ambiente che permetta di lavorare sentendosi a proprio agio, e non sempre un impiegato aziendale ha le conoscenze giuste per supportare l’inserimento.

Un ruolo importante spetta anche agli uffici per l’impego che fanno da ponte tra le aziende e le associazioni. Fabiana, dipendente di un’agenzia del lavoro, spiega: “La selezione è uguale per tutti, solo che chi appartiene a una categoria protetta è tenuto ad inserirlo nel curriculum“. In questo settore, tiene a precisare l’impiegata, si parla solo di ‘persone appartenenti a categoria protetta’ e non di disabili o portatori di handicap. Gli appartenenti a questa tipologia non sono tenuti a comunicare il tipo di disabilità che li riguarda, per via della legge sulla privacy, ma è altresì importante che comunichino il grado di disabilità che gli è stato assegnato. Infatti, a seconda del settore in cui operano le aziende stesse, un alto grado di handicap può non rendere idoneo il soggetto a svolgere determinate mansioni.

Qualunque sia la mansione, l’inserimento al lavoro non è una crescita solo per i ragazzi ma anche per i colleghi: “Lavorando a contatto con persone affette da disabilità – racconta Valentina, una ragazza che ha svolto il servizio civile presso una delle associazioni di Parma- ho dovuto rimettere in discussione il concetto di disabilità stesso.  Spesso ero incapace di fare delle cose che loro facevano con facilità, e i ruoli si rovesciavano. Della mia permanenza nella cooperativa mi è rimasta impressa una storia in particolare: un ragazzo sui vent’anni, che aveva iniziato un percorso lavorativo presso una trattoria. Nel giro di poco tempo è passato dalla caffetteria ai tavoli, ha iniziato a interagire con i clienti, a gestire maggiori responsabilità. I problemi maggiori sorgono proprio qui, a livello relazionale. Lui invece usava la battuta, l’autoironia per andare oltre queste difficoltà.”

 

di Giovanni Zola e Silvia Stentella

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