La lezione del Bataclan: la normalità oltre la paura

A UN ANNO DAGLI ATTENTATI DELL'ISIS, IL TEATRO PARIGINO RINASCE DALLE PROPRIE CENERI CON NOTE DI FORZA E SPERANZA

bataclan parigi

di Francesca Bottarelli |

“Who’ll love the devil? Who’ll kiss his tongue? Who will kiss the devil on his tongue?”

Sembra quasi di sentire riecheggiare la voce decisa e il sound rock tra le sale del Bataclan, a Parigi, mentre gli Eagles of Death Metal cantano dal vivo ‘Kiss of Devil’. Solo che, la sera del 13 novembre 2015, quella canzone rimane solo un ricordo indistinto tra le pagine più nere della storia. Un triste presagio che, in pochi minuti, si è trasformato in realtà e quell’inferno, che sembrava essere solo nel testo della canzone, si è consumato sotto gli occhi di chi lì era arrivato per trascorrere un normale venerdì sera fuori casa.

Tra studenti e persone in cerca di un po’ di svago, l’inferno ha preso le sembianze di tre kamikaze che si sono fatti esplodere tra le mura del teatro parigino: vetri rotti, urla lancinanti, panico e paura. Più di 130 i morti, oltre 300 i feriti: pochi numeri destinati a dare il via ad una lunga scia di attentati, tutti con le medesime caratteristiche. È la normalità dei luoghi a disarmare: la redazione di un giornale satirico già colpita nel gennaio di quello stesso anno, poi un aeroporto, dei festeggiamenti in strada e un centro commerciale. Il Bataclan non ha reso solo Parigi orfana di un luogo di incontro, scambio e cultura, ma è diventato uno dei simboli di un’Europa ferita nella sua profonda intimità, privata di quell’apparente e placida normalità che sembrava nessuno le potesse togliere. Il male più profondo che si annidava tra quelle mura, quello che supera il rumore atroce delle esplosioni, era destinato a crescere d’intensità nei giorni immediatamente successivi e aveva una sola forma, quella della paura. Alla morte e al dolore si sostituiva una sofferenza più subdola e sempre presente, che non conosce età, religione, provenienza, usi e costumi: la paura di vivere liberamente la propria quotidianità. Una paura nuova che tramortisce, paralizza e annienta, impedendo di uscire e di stare tra la gente. La più grande scommessa è stata proprio questa: non solo dare nuova vita ai luoghi violentati dalle esplosioni, mostrando vicinanza e supporto a chi ha perso i propri cari, ma ricostruire la fiducia.

A un anno da quel terribile giorno, il terrore, la preoccupazione e l’angoscia iniziali hanno lasciato spazio alla necessità di tornare alla normalità, fatta non solo di luoghi, ma anche del bisogno di potersi muovere liberamente, senza sentirsi ostaggio di un futuro incerto e indefinito. Il 13 novembre 2015 non è stata solo una parentesi nella vita di tutti i parigini che, d’origine o d’adozione, hanno avuto a che fare con il rumore sordo della morte. Quel giorno, la paura è diventata un veleno che si è insidiato, ha contagiato ogni barlume di normalità e, con un’intensità disarmante, ha fatto piombare la quotidianità in un incubo senza precedenti.

In questa fase di ricostruzione, non solo fisica, ma soprattutto morale e intima, la ricerca della normalità avrebbe forse potuto lasciare spazio a due grandi rischi. In primo luogo, la paura genera sempre altra paura. Il rischio che questa si trasformasse in psicosi e follia, a fronte di nuovi possibili attentati, non ha scoraggiato la Francia che non si è arresa, ha lottato e si è rimboccata le maniche. Come con ogni nemico, in tanti hanno affrontato la paura a muso duro, confrontandosi con quei luoghi, tornando a viverli e dimostrando che il terrore si combatte solo sfidandolo. Il secondo rischio, ben più drammatico, nasce dalla paura verso il prossimo. Gli attentati, di matrice islamica e rivendicati dall’Isis, hanno subito creato una subdola rete di sospetto e circospezione in uno stato in cui l’integrazione e la conseguente ghettizzazione sono un problema sempre più attuale. Questi, se alimentati, sono il primo passo per fomentare l’odio, l’intolleranza religiosa e la diffidenza verso chi ci circonda, impedendoci di tornare a quella serena normalità fatta di uscite, spettacoli e condivisione.

Concerto Sting BataclanAncora una volta però, la risposta più forte è arrivata inaspettatamente proprio dal Bataclan, regalando a tutto il mondo una lezione magistralmente eseguita nella sua semplicità, quasi a voler chiudere il cerchio della scia d’attentati iniziati proprio da quei luoghi teatro delle prime esplosioni. A un anno di distanza, il 12 novembre 2016, il Bataclan ha riaperto le proprie sale con una serie di concerti e Sting, primo artista a esibirsi, ha intonato le note di ‘Fragile’ e ‘The empty chair’ in memoria delle vittime. “Stasera abbiamo due compiti: onorare i morti e ricominciare la vita. Non li dimenticheremo”: con poche e semplici parole, il potere della sua musica ha regalato qualche ora di normalità, più forte della paura di trovarsi ancora in quei luoghi di terrore.

Non un semplice concerto, ma molto di più: un messaggio di speranza, forza e coraggio. Sarebbe stato naturale arrendersi di fronte alla morte, all’impotenza, al sentirsi privati della propria tranquillità. Il Bataclan invece è stato capace di rinascere dalle proprie ceneri come una fenice, mostrando al mondo intero un insegnamento di immenso valore. Gioia, partecipazione e condivisione, a volte, anche sfidandola: la paura si sconfigge con la voglia, il bisogno e la determinazione di non farsi sopraffare. Dimenticare è impossibile, tornare a vivere è necessario e il Bataclan lo ha fatto a un anno dalla sua ferita mortale, ricordandoci quanto possa fare l’unione e la potenza della vita.

 

1 Commento su La lezione del Bataclan: la normalità oltre la paura

  1. “Who’ll love the devil?
    Who’ll song his song?
    Who will love the devil and his song?
    I’ll love the devil!
    I’ll sing his song!
    I will love the devil and his song!”

    Amavano il diavolo? Ecco i doni del suo amore: sacrifici di sangue e paura…

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