I volti dei campi profughi, tra scatti di vita e di denuncia

IN MOSTRA IL REPORTAGE FOTOGRAFICO DI DUE STUDENTESSE DI GIORNALISMO IN VIAGGIO TRA I BALCANI E LA GRECIA

Mostra Aut Aut‘Aut-Aut: Scatti perturbanti di un’Europa che deporta’. Un titolo significativo e d’effetto quello pensato per la mostra fotografica di Alessandra Cucchi e Martina Pasini. La disgiunzione latina rispecchia e dà risalto infatti alla condizione della scelta e dell’imposizione subite dai rifugiati. O bloccati nei propri paesi oppure bloccati nei campi. Sono loro i soggetti degli scatti che perturbano, sconvolgono chi li guarda in quanto generano una reazione forte, di allontanamento e di paura nel trovarsi in quelle condizioni. La mostra nasce come motivo di denuncia di tutto questo, un modo per indurre a riflettere e a non farsi trasportare da correnti di fanatismo e di chiusura.
Inaugurata lo scorso 14 novembre e visitabile fino al 25 novembre, l’esposizione allestita nel Chiostro dei Paolotti del plesso universitario di via D’Azeglio è stata presentata durante un incontro con Antonio Ferrari, editorialista del Corriere della Sera, Annamaria Cavalli, presidente del corso di laurea in Giornalismo e cultura editoriale, e i docenti e giornalisti Maurizio Chierici e Carlo Bocchialini.
Le autrici degli scatti, Alessandra e Martina, sono due studentesse del corso di laurea magistrale di Giornalismo, oltre che giornaliste freelance. Durante lo scorso dicembre hanno deciso di affrontare un viaggio nei Balcani, in Slovenia, Croazia e Serbia, per raccontare le storie di profughi e conoscere direttamente la situazione dei campi. Questo primo viaggio ha portato alla realizzazione di un reportage pubblicato sulla rivista MicroMega nel mese di marzo. Successivamente, ad aprile 2016, hanno affrontato un secondo viaggio in Grecia, spingendosi al confine con la Macedonia per arrivare all’ex campo di Idomeni (poi sgomberato a maggio) da cui sono tratte la maggior parte delle foto in esposizione. Un’esperienza che è stata l’occasione per vivere direttamente la situazione difficile del Paese e, soprattutto, conoscere le storie di molti rifugiati, persone prima di ogni altra definizione.
I venti scatti che compongono la mostra sono tutti in bianco e nero per una scelta ben precisa. “Abbiamo deciso di escludere i colori – ha sottolineato Martina – per dare risalto al messaggio, non ci interessava la bellezza estetica ma l’essenzialità“. Pur non essendo fotografe di professione, le due giovani autrici delle fotografie hanno infatti immortalato ciò che le circondava con l’intento di raccogliere testimonianze e raccontarle, anche attraverso le immagini. “Gli scatti hanno un taglio forte – ha spiegato Alessandra -. Molte fanno riferimento ad una protesta perchè non volevamo puntare sul pietismo, quanto sul coraggio di andare avanti e mettercela tutta, nonostante le difficoltà oggettive”. Per esempio quelle legate agli spazi: nel campo di Idomeni sono arrivati a 15.000 i profughi stanziati in un prato attorno alla stazione ferroviaria. E nonostante tutto, quello che più ha colpito Martina e Alessandra è stato lo spirito di condivisione, la generosità e la curiosità della gente che “faceva domande, si interessava alle nostre vite – raccontano le ragazze – e soprattutto offrivano quel poco che avevano”.
La presentazione della mostra è stata un’occasione per i presenti di ascoltare anche i racconti del giornalista Antonio Ferrari, che ha ripercorso alcuni aneddoti e momenti legati al suo lavoro al Corriere della Sera e ricordato le esperienze da inviati di noti colleghi come Oriana Fallaci, senza dimenticare di sottolineare il coraggio e l’entusiasmo delle due giovani reporter che, senza aiuti economici e senza essere coperte da una testata giornalistica, hanno affrontato il viaggio nei campi profughi.
Dispensando consigli e suggerimenti per chi volesse intraprendere questo mestiere, Ferrari ha esortato i giovani: “Credo ancora che quello del giornalista sia il mestiere più bello al mondo”.

 

di Felicia Vinciguerra

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