“Il difficile non è usarla ma fidarsi”: vivere con una protesi, tra sfide quotidiane e tabù

DIVERSI TIPI (E COSTI): ESTETICHE, MIOELETTRICHE, DINAMICHE O CHE MONTANO STRUMENTI AL POSTO DELLA MANO

Protesi 1Si potrebbe pensare che le protesi, quegli ausili che permettono di sostituire una parte del corpo andata perduta e recuperarne, in parte, le funzioni, siano una conquista della medicina moderna, ma non è così. Hanno una storia antichissima: il primo protesizzato conosciuto è Marco Sergio Lilo, generale romano dalla mano metallica la quale, stando alle fonti, non gli impediva di reggere uno scudo e combattere. Com’è però oggi vivere con una protesi? A che punto di evoluzione tecnica siamo? Quanto costano?

Le protesi, come altri dispositivi per i disabili, sono erogate dal Servizio sanitario nazionale che, tramite le aziende sanitarie locali le fornisce gratuitamente secondo diversi livelli essenziali di assistenza.
Prezzi e tipologie che possono essere forniti sono individuati in un elenco, chiamato Nomenclatore tariffario, che non viene però aggiornato dal 1999. Se non si è esenti da spese o si richiedono particolari requisiti, l’acquisto di una protesi può essere molto dispendioso. I prezzi variano parecchio e dipendono dalle condizioni del paziente e dalla tipologia di infortunio rimediato. Un avambraccio di modello base, ad esempio, costa circa 1000 euro, con l’aggiunta del polso elettrico si arriva a circa 7000 euro. Ci sono poi le grandi innovazioni, come le protesi con le falangi mobili, che possono arrivare a un costo di 35000 euro. Per le gambe la questione è diversa. La protesi per un’amputazione che non compromette il ginocchio parte da un prezzo di 950 euro, ma può arrivare sino a 2100 euro. La mancanza del ginocchio porta i dispositivi a un costo di partenza di 3000 euro.

“NON E’ DIFFICILE IMPARARE IL PASSO MA FIDARSI DELLA PROTESI” – Fabio è un ragazzo di 23 anni che nel 2006 ha subito un grave incidente stradale con la sua famiglia a seguito del quale ha riportato una lesione alla tibia della gamba destra. Una frattura normalmente risolvibile con un mese di gesso, ma Fabio non ha avuto la stessa fortuna. Da un mese si è passati a tre, poi interventi e complicazioni. Un iter che ha portato la gamba lesa a essere 11 centimetri più corta dell’altra. “Avrei potuto scegliere altre strade – spiega Fabio –  ma la gamba era troppo debole. La protesi è stata una scelta molto difficile ma ormai la parte lesa era corta, calcificata, ancora fratturata e reduce da vari interventi. Con la mia famiglia abbiamo cercato vie alternative ma dopo tanti anni non avevo più voglia di soffrire ancora. Gli antibiotici smettevano di fare effetto e per il dolore arrivavo a iniettarmi un’intera fiala di morfina.” Così, il primo febbraio di due anni fa, Fabio ha deciso di sottoporsi all’intervento di amputazione, con seguente applicazione della protesi. Le difficoltà della sua esperienza hanno influito molto dal punto di vista psicologico: “Nascere senza un arto è diverso dal perderlo quando hai 20 anni. Il tuo cervello si è abituato alle gambe e perderne unaIMG-20161128-WA0089 parte non lo si concepisce in due giorni. Se la protesi subisce un urto, nonostante non sia un arto, sento dolore. Anzi sento un dolore più forte, è la sindrome dell’arto fantasma“. Per questo, nei casi come il suo, la prassi prevede il supporto di uno psicologo. “Sono stato affiancato da uno psicologo per due giorni dopo l’operazione.” Tornato a casa da Bologna, Fabio ha iniziato il suo percorso di riabilitazione. “La voglia di camminare era tanta. Erano anni che non camminavo, così mi sono messo in giardino, ho anche usato la bicicletta. Dopo cinque giorni camminavo senza stampelle. Non è difficile imparare il passo ma fidarsi della protesi“. Oggi Fabio è tornato a camminare nonostante non abbia recuperato la completa mobilità per correre e saltare. La sua protesi, che ogni 3 anni gli fornisce gratuitamente il servizio sanitario nazionale, è fissa e senza copertura e ha un costo che si aggira tra gli 8 e i 9mila euro, tutto compreso. “Il prezzo sale quando aggiungi cose come la pelle finta o la caviglia elettronica, sono tutti optional, anche se è brutto da dire. Funziona con i soldi: più soldi hai e meglio cammini. A me però non piaceva l’idea della pelle finta. Il piede che monto è un Ottoboc ed è stato ideato per gli anziani. Era una prova per il commercio ma io l’ho tenuto. È un piede che flette poco e per questo è molto stabile, dà un senso di sicurezza”.

IMG_20161128_171647“CRESCERE CON UNA PROTESI TRA DUBBI E TABU’ – Marianna invece è una ragazza di 21 anni nata senza il braccio sinistro. Ciò, secondo quanto ipotizzato da vari specialisti, a causa di un’esposizione a radiazioni che probabilmente ha bloccato la crescita dell’arto durante la gestazione. Utilizza una protesi base, che le viene garantita gratuitamente dall’assistenza sanitaria. Si potrebbe pensare che vivere senza un braccio sia impossibile, ma Marianna la vede diversamente. “Io credo che la cosa migliore sia stare senza protesi. È un limite, immagina di doverti muovere con un prolungamento della mano che non fa parte del tuo corpo. Certo poi aiuta: per trasportare le cose o per determinati sforzi.” Imparare a gestire il rapporto con la protesi, soprattutto per un bambino, non è facile. “Quando ero piccola la indossavo per poco tempo, poi pian piano sempre di più. Dovevo abituarmi ad averla e a saperla utilizzare. All’inizio mi vergognavo parecchio, non portavo le maniche corte, ad esempio, oppure cercavo di nasconderlo il più possibile ma poi ho cominciato a fregarmene. Gli amici con cui sono cresciuta mi hanno sempre fatto sentire a mio agio.” Nonostante ciò capitano momenti difficili. “Andando avanti con l’età il moncone cresce. Capitava che la protesi fosse stretta e non riuscivo a indossarla. Così cadevo nel panico, non sapevo come sarei potuta andare a scuola senza l’arto. Un giorno in particolare – ricorda Marianna – mentre ero a scuola, sono stata molto male. Mia madre è venuta in classe e ha chiesto alla maestra se potessi toglierla. Una volta rimossa mi sono accorta che nessuno aveva reagito male“. Spesso però si finisce al centro dell’attenzione. “Da piccola mi capitava spesso che i bambini fossero troppo curiosi, chiedevano “Ma che cos’hai? Hai la mano finta? Mamma mamma ha la mano di legno”. Questo ti forma però, perché impari a rispondere. Se inizialmente sei impacciato, a disagio, dopo impari a essere più forte. È un esercizio per approcciarsi al mondo.” Non tutti riescono a essere maturi e talvolta capita qualche episodio imbarazzante. “Una volta – racconta Marianna – sono uscita senza la protesi e una bambina si è incuriosita ha detto: “Papà, è senza braccio” e il padre: “Ma no amore, è uno scherzo”.  Il mondo è sì bonario, ma anche molto stupido”, commenta Marianna che ancora aggiunge “un’altra cosa che odio è il pietismo, non bisogna dar fiato al vittimismo, è penoso“.
Raccontando della sua vita, in cui lo sport non è mancato tra calcio, atletica e nuoto, Marianna affronta quello che può essere percepito come un altro grande tabù: la sessualità. “Inizialmente, quando ero giovane, ero molto dubbiosa. Non avevo chiaro come affrontare il problema, se nell’amplesso dovessi toglierla o tenerla. Avevo paura di non piacere, soprattutto senza protesi. Credevo di non essere attraente e che non potessi fare determinate cose. La questione era mostrarmi com’ero, farmi vedere senza protesi. Se inizi a vedermi senza ti abitui. Ora concepisco che è solo un oggetto in più, di disturbo, non mi serve in quelle occasioni.”
Per via delle sua condizione, Marianna ha ricevuto negli anni una pensione per un’invalidità del 67% stimata secondo una valutazione che viene effettuata da alcuni specialisti. L’attestazione permette di avere determinate agevolazioni per le visite e, nel caso di studenti universitari, anche l’esenzione dal pagamento delle tasse. Gli aiuti sono essenziali, ma non esenti da critiche. “Dopo che ho compiuto 18 anni mi hanno ritirato la pensione, questo perché la si continua a ricevere solo se si ha un valore pari o superiore al 74%. Parlando con un’amica, che ha il mio stesso identico problema, ho scoperto che lei ha ricevuto una percentuale pari al 74%. Così ho scoperto che la valutazione varia da provincia a provincia. Io vivo in provincia di Asti, mentre lei vive a Torino. Io credo che sia un procedimento sbagliato: io e lei siamo nelle stesse condizioni ma valutate in modo diverso. Sono circa 200 euro, niente di cui lamentarsi, ma non penso sia democratico.”

Protesi 2CI SONO PROTESI E PROTESI, ANCHE QUELLE DA LAVORO – Facendo una panoramica sul mondo delle protesi si scopre che ne esistono delle tipologie più diverse, adatte alle esigenze più disparate. “Esistono principalmente tre tipi di protesi – spiega Matteo Buiatti, dottore in ortopedia – estetiche, dinamiche e mioelettriche. Quelle estetiche sono una ricostruzione dell’arto mancante rigida, priva di qualsiasi mobilità, hanno però il vantaggio di avere un rivestimento in silicone morbido che può essere modellato e colorato in modo tale da essere indistinguibile da ciò che va a sostituire: sia al tatto sia alla vista non sono di fatto distinguibili da un braccio vero immobile. Le dinamiche invece permettono una ridotta mobilità e consentono di tornare a usare l’arto in qualche modo.” Quelle di Pistorius, ad esempio, del tipo più evoluto, appartengono a questa categoria. “Per le gambe si tratta di strutturarle in modo che si comprimano e si estendano in base al movimento, permettendo una camminata o addirittura, come nel caso dell’atleta sudafricano, una corsa. Per le braccia invece è più complicato: si deve sia far aprire e chiudere la ‘pinza’ che va a sostituire la mano sia, eventualmente, estendere e contrarre il gomito. Il tutto funziona grazie a una serie di tiranti legati al busto, che possono essere tirati o rilassati con una serie di movimenti: ad esempio stringendo le spalle si può far aprire la ‘mano’. Il problema è che proprio il doversi adattare a una serie di movimenti costringe a ricoprire lo scheletro in titanio con un rivestimento di resina rigido che, anche nel migliore dei casi, non può essere scambiato per un arto vero.
Tra le protesi dinamiche rientrano anche una serie di apparati sostitutivi molto particolari: quelli da lavoro. “Si tratta di protesi, perlopiù per la mano, che rinunciano completamente all’estetica per diventare dei veri e propri strumenti: il classico uncino, poi coltelli, martelli ecc. Una volta vidi una protesi a forma di portablocco e un’altra conobbi un falegname che aveva un intero set di strumenti da avvitarsi al posto della mano perduta.”
Protesi 3“Le mioelettriche – prosegue l’ortopedico – sono invece le protesi più innovative attualmente in commercio. Riescono a percepire i segnali elettrici inviati dal cervello ai nervi dell’arto mancante e a muoversi in base ad essi sulla base di impostazioni predefinite”. Attenzione, ciò non vuol dire però che eseguono esattamente il movimento comandato dal cervello. “Semplicemente percepiscono un segnale elettrico e compiono l’azione che per la loro programmazione è collegata a quel segnale. Il cervello – fa l’esempio Buiatti – può ordinare di alzare il pollice a pugno chiuso, ma per la protesi quell’impulso significa aprire la mano e quindi aprirà la mano meccanica. Far coincidere impulso e movimento non è sempre possibile.” Le protesi mioelettriche odierne possono memorizzare fino a cinque movimenti: quelli predefiniti sono apertura e chiusura della mano, afferrare una penna, indicare con l’indice e chiudere pollice, indice e medio. “Però nulla vieta all’utente di modificare uno dei cinque: può benissimo sostituire l’indice puntato col medio alzato, se lo ritiene più importante!”

 

di Andrea Prandini e Fabio Manis

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