La peggio gioventù: abituarsi al precariato

IL 50° RAPPORTO CENSIS NON LASCIA DUBBI, L'ITALIA E' UN PAESE PER VECCHI

giovanidi Fiorella Di Cillo |

Essere più poveri dei propri genitori, esserlo ancor più dei propri nonni e non avere neppure la certezza di potersi, un giorno, permettere una famiglia. E’ questa la situazione in cui si trovano i giovani italiani secondo il 50° Rapporto Annuale del Censis, pubblicato a inizio dicembre, che ha anche evidenziato come il Paese pur avendo a disposizione circa 114 miliardi di euro di liquidità aggiuntiva accumulati negli anni della crisi, non trovi il coraggio di spenderli. Verrebbe da chiedersi cosa abbia fatto in questi ultimi anni la società italiana segnata dalla sempre più diffusa sensazione di impoverimento: è innegabile che abbia cercato in tutti i modi di accumulare più risparmi possibili sotto il materasso e di conservare il proprio patrimonio come meglio ha potuto. Ma questo può bastare a risollevare le sorti di chi ormai non ha più idea di quale sarà il proprio futuro (se ne avrà uno)?

La situazione sociale fotografata rileva che i ‘ragazzi di oggi’ hanno un reddito del 26,5% più basso rispetto a quello dei loro coetanei di 25 anni fa, mentre gli over 65 anni l’hanno visto crescere del 24,3%. Non possono dunque lamentarsi, secondo quanto evidenziato nel rapporto, i pensionati perché è sì vero che ad oggi si va in pensione più tardi rispetto al passato ma ad aumentare non è stata solo l’età del pensionamento ma anche il reddito percepito, come corollario di carriere più lunghe e continuative nel tempo e occupazioni in settori capaci di garantire un definito inquadramento professionale. La popolazione tra i 15 e i 35 anni, invece, è costretta ad una lotta alla sopravvivenza fatta di lavoretti in nero, contratti a tempo determinatissimo e, se tutto va bene, pagamenti in voucher: sono 277 milioni i contratti stipulati tra il 2008 e il 2015 e 70 milioni di voucher emessi nei primi sei mesi del 2016. Tutto ciò blocca i giovani nel limbo di un lavoro regolare ma non troppo che più che garantire sopravvivenza, garantisce confusione e incertezza. Ci si sente quasi intrappolati nei piani bassi, anzi nei sotterranei del mondo del lavoro, se si tiene presente che il 41% degli occupati tra i 15 e i 35 anni svolge mansioni operative e manuali senza neppur sapere quanto durerà.

Ma qualcuno che sta quasi bene, ‘quasi’ perché è sempre bene restare cauti, c’è: gli anziani hanno il patrimonio immobiliare e i risparmi di una vita che nei tempi buoni si sono moltiplicati grazie ad investimenti azzeccati. I giovani non hanno pressoché nulla. Quello che caratterizza le nuove generazioni è certamente una forte sfiducia nei confronti delle istituzioni, la disillusione del dover fare i conti con un mondo del lavoro sempre meno stabile e il timore che va trasformandosi in consapevolezza che le cose non cambieranno. I cittadini del ‘Bel Paese’, che di bello purtroppo ha sempre meno, tendono così a restare single e senza figli, sono ancora legati a vecchie abitudini e in un modo o nell’altro restano fortemente dipendenti dalla famiglia d’origine, pronta ad aiutare figli e nipoti alle prese con la crisi occupazionale. L’idea di tornare a casa viene spesso attribuita ad una incapacità da parte dei ragazzi di trovarla quell’autonomia, ma risulta senza subbio semplicistico attribuire esclusivamente loro la responsabilità: non è raro, ad esempio, trovare fuori dai negozi targhette che esplicitano la ricerca di personale giovane “ma con esperienza”. Come se fosse possibile a 24 anni, dopo più di metà della vita passata tra i banchi di scuola prima e poi dell’Università, riuscire a portare avanti una reale esperienza lavorativa senza smettere di studiare e di avere buoni risultati. Il paradosso è evidente: sin da quando si è poco più che bambini, gli adulti ripetono che avere dei titoli è garanzia di successo. Purtroppo però, nell’Italia di oggi, questo non è sufficiente e non è ancora ben chiaro cosa lo sia.

La situazione economico-sociale presentata ha senza dubbio influenzato l’esito del Referendum dello scorso 4 dicembre, che da voto sulla modifica di alcune parti della Costituzione, si è trasformato in una dichiarazione di sfiducia nei confronti del governo da parte soprattutto di questa gioventù ‘precaria’. Il ‘no’ infatti ha prevalso nelle fasce di popolazione maggiormente in difficoltà, sia a livello geografico che generazionale che sotto il profilo del reddito: al sud è stato più forte, così come tra i giovani e nelle fasce di reddito più basse. La percentuale di giovani che ha votato No al referendum è del 68% e questo senza dubbio non è esclusivamente attribuibile a un sentimento di delusione per un Paese guidato da un giovanissimo (ormai ex) presidente del consiglio, ma è innegabile che in parte lo sia. Se il capo di governo è il primo a non dare fiducia agli ‘under 35’ affinché possano avere tutti i mezzi per migliorare la propria condizione è assai difficile che questi poi la diano a lui. E così è stato.

L’immobilità sociale genera insicurezza” si legge nel rapporto, e nonostante l’andamento dell’occupazione sia positivo nel primo semestre del 2016, con una crescita dell’1,5% rispetto allo stesso semestre del 2015, questo è solo un segnale contraddittorio ma evidente del cambiamento in corso nel mercato del lavoro, attribuibile in parte al Jobs Act con contratti a tutele crescenti, in parte alla decontribuzione. “Sono evidenti gli esiti di un inedito e perverso gioco inter-temporale di trasferimento di risorse che ha letteralmente messo KO economicamente i millennial”, sottolinea l’Istituto con riferimento alla così detta ‘Generazione Y’, la generazione del nuovo millennio. Il vero problema è che si guarda al futuro con sempre meno convinzione, con sempre meno fiducia: l’Italia, nonostante tutto, non sembra nutrire alcun tipo di aspettativa nei confronti di chi l’abita, tant’è che gli italiani stessi hanno un sempre crescente senso di diffidenza nei confronti del domani. Un’Italia “rentier” che, consapevole delle risorse di cui dispone, ha troppa paura di guardare al futuro e rischiare. Immobile in una situazione che si fa andar bene ma che certamente non può piacere.

 

Scrivi un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*