Il viaggio di 3 studenti in Tanzania per aiutare le bambine di nessuno

AFRICA VERA | DIARIO DI VIAGGIO, PAGINA UNO

Jacopo Orlo, caporedattore di ParmAteneo, da circa un mese fa parte di un piccolo gruppo di 3 studenti Unipr aderenti al progetto Overworld, un piano di cooperazione internazionale che coinvolge la St. Joseph University di Dar es Salaam, Tanzania, loro casa per i prossimi mesi.  I tre svolgono così il loro tirocinio scrivendo articoli e notizie, collaborando all’insegnamento dell’italiano e in attività sociali come quelle allo ‘Spring of Hope’ a Kibamba, la comunità per le minori vittime del traffico di esseri umani. Un’oasi di umanità in mezzo alla compravendita di donne e bambine usate come schiave per lavori forzati, per prostituzione, per attività illegali. Questa la prima pagina del loro diario.

16443006_1308353705890666_80515643_oDurante il viaggio in aereo, con la terra che si avvicina, le ragazze sibilano a bassa voce il loro pensiero, quasi per paura di perderlo: “L’ho sognato a lungo ed ora tutto questo è realtà.” Chiara mi dice che, nella sua attività nel centro di accoglienza migranti a Parma, “guardando negli occhi una persona proveniente dall’Africa ne ho potuto cogliere un frammento; mi ha fatto vedere quanto doveva essere bello ciò che aveva lasciato lì”. Aggiunge che “non sappiamo a cosa stiamo andando incontro, ma nei tre mesi successivi farò del mio meglio per imparare il più possibile. E  anche per rimanerci!”, scherza.
Anche io di lì a poco stavo per scoprire una parte dell’Africa, culla dell’Uomo.

 Sono quasi le 4 del mattino, a Dar es Salaam, in Tanzania. Dopo 14 ore di viaggio, partendo da Bologna e facendo scalo a Istanbul io, Chiara e Antonella, assieme ai nostri professori che ci accompagnano, siamo infine giunti in Africa. Ci accoglie il bollente, torbido vento dell’Africa che muove le palme e i nostri cuori, in compagnia del suo particolare odore. “Karibu Tanzanja”, ‘benvenuti in Tanzania’, ci saluta la scritta al banco di legno dove compilare i moduli per l’immigrazione. Al controllo del visto passiamo facilmente, abbiamo un permesso per gli studenti che ci fa saltare un bel po’ di coda. Da poco siamo arrivati, eppure fin da subito le cose diventano difficili. Io e Antonella abbiamo perso il bagaglio. Problema sempre dietro l’angolo nelle rotte che prevedono uno scalo non appena si torna a terra. Preoccupazioni a non finire, assieme a quelle per compilare il modulo di smarrimento della valigia, con un’impiegata oberata e dai modi non certo simpatici. Per me poi, al mio primo viaggio in aereo, è un vero e proprio inizio di “fuoco”. Già, perché qualche giorno dopo veniamo a sapere che una sezione dell’aeroporto Niyerere di Dar si era incendiato.

Così, con un pensiero in più e un bagaglio in meno, iniziamo comunque la nostra avventura in Tanzania. All’uscita dell’aeroporto, ci fermiamo un secondo, guardandoci intorno, increduli al solo pensiero di aver messo piede in Africa. Ci accolgono padre Cinna e Shaba, rispettivamente un membro dello staff e l’autista del bianco pulmino. Dopo aver caricato assieme alle valigie la nostra stanchezza per il viaggio, ci dirigiamo verso il luogo in cui dovremo vivere per i prossimi tre mesi, a Changanykeni, a quasi un’ora dal campus e college universitario di Dar es Salaam. Fatico ancora a rendermi conto di essere in Tanzania. Sembra di essere catapultati dentro ad uno di quei documentari sull’Africa, dove polvere, colori e profumi si possono soltanto vedere per mezzo di uno schermo. Ora sono tutti lì.
Nonostante l’alba tardi a mostrarsi, la cosa che mi colpisce subito sono le strade colme di persone di ogni età, sebbene sia festa nazionale per la ricorrenza dell’Indipendenza di Zanzibar.  Per questo, stando a quanto previsto nel programma, i meeting organizzativi delle nostre attività universitarie si terranno nei prossimi giorni. Ma il traffico sembra non rendersene conto. Non riesco a contare il numero dei bus folkloristici, con effigie che vanno da Pogba a Fidel Castro, e di bajaji, apecar che coprono brevi tragitti nel traffico di Dar.
Dopo aver attraversato la città, dirigendoci sulle colline, passiamo per una strada sterrata in mezzo ad un piccolo villaggio di lamiere e mattoni di terra compressa.  Le distanze sono uno dei tanti problemi che si presentano al visitatore in Africa. Appare, dopo centinaia di buche, il complesso dove alloggia gran parte dei professori e dello staff dell’Università. Tempo di ambientarci che già la stanchezza pretende la parte che gli spetta. Decidiamo di darle vittoria. Saliamo all’ultimo piano della palazzina che si affaccia su un panorama di terra sterile e montana, depositiamo bagagli, zaini e felpe e via!, dormiamo per quel che può bastare ad arrivare a fine giornata. Infatti sono solo le 8 del mattino.

16179399_746909985467869_2578834470448004333_o“Nonostante la preoccupazione di aver perso il bagaglio nel quale c’era l’indispensabile, sono veramente felice” – esclama Antonella al risveglio -. Ho una grandissima voglia di mettermi alla prova, di essere il più  utile possibile per tutte le persone che ne hanno bisogno!”.
Appena scendiamo, all’uscita si presenta Nancy, segretaria del vicerettore, capelli neri e sorriso di timidezza avvolti nel suo vestito fucsia e oro di seta, cucito da mani delicate. Ha 27 anni, l’inglese è macchiato dalla provenienza indiana. Lei sarà il nostro punto di riferimento per qualsiasi problema e bisogno. È a Dar da un anno, la sua famiglia le sta cercando marito in India. Già, l’India: provengono da lì molti professori della St. Joseph University, alcuni dei quali vivono in quegli appartamenti con famiglie al seguito. Sono certo che qualche tempo dopo, superato l’imbarazzo iniziale, sarà più aperta di come appare adesso.
Così, con programma fermo per la festività, Nancy ci porta al Mlimani city. Un supermercato enorme e pieno di negozi costosi. Eppure, considerato il contesto in cui si trova, dove secondo la Banca Mondiale il reddito medio annuale di un tanzano al 2013 era  di quasi 700 dollari, è affollato di macchine. Il business non guarda in faccia a nessuno. Ce ne accorgiamo anche nel fare la nostra prima spesa: spendiamo 180.000 scellini. Non so quanto avremo speso; forse qualcosa attorno a 75 euro. Il divario con euro e dollari è evidente. La qualità della vita viaggia su altri livelli.

16492276_1308353739223996_1864425109_oNel frattempo abbiamo fatto la conoscenza di Margareth, 26enne tanzana anche lei segretaria del  rettore, che ci assisterà nel caso in cui avessimo problemi. Occhioni curiosi e una risata che trasmette simpatia. Vuoi anche per le nostre difficoltà con la lingua inglese, le incomprensioni non mancano, ma tempo di un caffè ad un bar che lentamente cominciamo a parlare un po’ di più con loro, specialmente quando cerchiamo di farle capire come gli italiani comunicano attraverso la gestualità. Tornati a casa e fatta una doccia rigenerativa, ci prepariamo per andare a cena fuori. Mi piacerebbe provare a passare un sabato sera, da queste parti. Scendiamo di nuovo a Mlimani, entriamo in un ristorante, il Catalunya; nome alquanto buffo dato il contesto. È nascosto nell’ombra della notte ma ha la musica parecchio frastornante. La prima sera tanzana passa via davanti a polli arrosto e chiacchiere di compagnia, entrambe specialità dell’accoglienza locale.

Rincasati a  Changanykeni, prima di stendermi osservo il panorama notturno che si apre di fronte a me. La quiete è disturbata dal continuo ronzio della torre elettrica. Tutto è fermo, nessun suono all’orizzonte. Qualche piccola, fioca luce sparsa qua e là nell’oscurità della terra. Solo le nuvole gareggiano nel buio, per nascondere la luna. Il vento è il vero protagonista da quando sono arrivato stamattina. Così come mi ha accolto, ora mi invita a riposare. E’ la notte d’estate africana. Il mio animo si calma. Domani parte l’avventura.

 di Jacopo Orlo  

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