Manuale essenziale di sopravvivenza in Tanzania

AFRICA VERA | DIARIO DI VIAGGIO, CAPITOLO DUE

Secondo appuntamento con il diario dalla Tanzania di tre studenti Unipr membri del progetto Overworld. Leggi gli altri capitoli di Africa Vera. | 

DSC00266 (1200x886)Ci avevano detto e ripetuto più volte a me e alle mie colleghe che stavamo per partire per la Tanzania. Senza troppi comfort, tanti pericoli e difficoltà logistiche di svariato genere.  Messo in conto tutto questo, dalle aspettative alla realtà alcune cose sono meglio di quanto credevamo. Altre, purtroppo, sono sempre preoccupazioni di cui bisogna tenere conto ogni giorno. L’Africa ci ricorda che qui nulla viene regalato, come invece possiamo pensare su dall’equatore.

LA MINACCIA FANTASMA – L’ultima delle preoccupazioni in Italia, qui l’acqua ha un ruolo tremendamente decisivo. Non per il solo fatto di essere in Tanzania, dove quotidiano è il problema del caldo e della disidratazione, dovendo quindi riempire le bottigliette per poter bere con le pesanti bocce sigillate da 4000 scellini (circa 2 euro) ogni due giorni. Nell’acqua corrente tanzana si annida il nemico silenzioso del colera.
Secondo gli ultimi dati resi disponibili dall’Oms, nell’aprile del 2016 sono stati 24.108 i casi a livello nazionale con 378 decessi, confermando un aumento di nuovi casi iniziati alla fine del 2015. I fattori di questa diffusione sono legate alla mancata capacità delle istituzioni di trattare l’acqua col cloro ed di effettuare il monitoraggio della qualità dell’acqua. A ciò si aggiunge l’assenza di servizi igienici nelle abitazioni più povere.
Un sorso d’acqua e si può rischiare una bella nottata sul water.
Anche se esistono dei vaccini che possono dare una mano a proteggere il povero disgraziato che si avventura in Africa da quel tremendo mal di stomaco, non c’è la garanzia totale che l’acqua del rubinetto per lavarsi i denti alla mattina sia potabile; o perlomeno igienica. Per non dire della doccia: se c’è quello  a cui piace cantare mentre si lava, possono essere guai. Se poi è stonato, ancora peggio. O per dirne un’altra ancora, l’acqua per lavare i piatti: non proviene direttamente dal laghetto stagnante, per intenderci, ma usare bene il detersivo male non fa.
Per sopravvivere all’incontro ravvicinato con l’acqua del terzo mondo, in genere si ricorre usando quella in bottiglia. Non è uno scherzo: al mattino io e le mie colleghe usiamo l’acqua da bere per sciacquarci spazzolino e bocca. Spesso però, arriva la pulsione. Quella tentazione irrefrenabile di lavarli con l’acqua corrente è talmente forte che solo un attimo prima ci accorgiamo della immane sciocchezza, togliendo con uno scatto lo spazzolino dal rubinetto. È una torturante prova di resistenza giornaliera, perdere l’abitudine a qualcosa. Sigaretta, alcol, acqua del rubinetto.
Ora posso dire che esiste anche quella forma di assuefazione, dettata dalla comodità dell’Occidente. Lentamente ci si prende la mano.  Anche se in quel caso la seduzione dell’abitudine di ‘dimenticare di pulire i piatti è ancora forte.

AIUTO, UN INSETTO! – Quante volte abbiamo assistito alla scenetta di una ragazza indifesa che, spaventata da un pericolo per lei mortale, squarcia il silenzio dell’aula gridando “Aiuto, un insetto!” contro un innocuo ragnetto della polvere, e subito accorre l’impavido primo della classe che con una ciabattata riporta pace e ordine, con gloria giornaliera?
Bene, in Tanzania anche i maschietti possono preoccuparsi. Dal momento che si possono vedere creature ignote anche allo stesso regno animale, specialmente per quanto riguarda gli insetti, mi sarei aspettato di tenere alta la guardia da chissà quale pericolo sotto forma di rarità in via di estinzione. Invece, che delusione! la cosa da cui devo stare alla larga sono le zanzare.
Sono della Pianura Padana, conosco molto bene cosa vuol dire vivere in mezzo a quel fastidioso ronzio della natura. Eppure, le loro “cugine” africane hanno un problema molto più pesante.
Infatti qui sono ambasciatrici di una pena drammatica: la malaria. Altro che febbre del sabato sera: se qui non si prestano cure entro tempi brevi, si rischia molto di più di una serata sul water.
Qui in Tanzania è una situazione così seria che esiste un programma di prevenzione nazionale con il quale il governo fornisce gratuitamente le reti-zanzariere nelle aree più a rischio.
Nel 2015, secondo l’Unicef in tutto il mondo ci sono stati 214 milioni nuovi casi di malaria, e circa 438,000 persone hanno perso la vita, dei quali il 70% erano bambini sotto i cinque anni. In particolare, secondo il World Malaria Report dell’Oms, la Tanzania è uno dei Paesi dove molte fasce della popolazione è a rischio di contagio: nello stesso anno sono stati riportati quasi 12 milioni di casi di malaria, con 6.313 morti.
Ecco perché, se una mia collega grida “aiuto, zanzara!” ci si prepara a rispondere al fuoco. Permetrina al 50% nello spray antizanzare, Biokill e schiacciata con le mani: queste sono le nostre uniche difese contro quelle piccole bastarde. Autan prima di uscire su tutte le parti del corpo. Immersione di vestiti, pantaloni, mutande, calzini, scarpe, cappelli, lenzuola e tra poco anche il telefono una volta nel BioKill ogni 10 – 15 giorni. E allora si può viaggiare forse più tranquilli. Ma se vedo una creatura sulla mia mano, anche io posso urlare “Aiuto, alla zanzara!”.

IL NEMICO SI ANNIDA SOTTO LE UNGHIE – In aula, sul treno, in macchina, in mensa, al cinema, al supermercato, in mezzo agli altri.
Me ne accorgo solo quando ormai è troppo tardi: il vizio di mangiarsi le unghie. Una piaga che affligge individui di ogni classe sociale ed età, in attesa di inventare un nuovo aggeggio tecnologico che risolva nervosismo e tensione. Si potrebbe obiettare che mangiarsi la punta delle dita qui in Africa equivale all’aver toccato sedili e maniglie dei bus a Parma, o aver sfogliato centinaia di volumi in libreria. Bombe batteriologiche di massa.
Ma il discorso vale a maggior ragione in Tanzania: dopo aver toccato tante mani madide di polvere e sudore, o dopo essere salito su un bajaji (apecar che copre brevi distanze in città), dovrebbe essere l’ultimo dei miei pensieri mangiarmi le unghie. Invece, ho già rischiato più di una volta di morire per chissà quale malattia sconosciuta all’Organizzazione Mondiale della Sanità. Magari è la volta buona che divento famoso per aver scoperto qualcosa di nuovo.

PIZZA STASERA? – Per noi italiani, popolo dalla scusa pronta, quando non abbiamo lo ‘sbatti’ di cucinare oppure quello conserviamo in frigo non aggrada il nostro appetito, la pizza è la salvifica soluzione, assieme al kebab e al cinese o giapponese che sia. La scelta: altro lusso che da queste parti è difficile trovare. Qui in Tanzania ciò che compro lo devo mangiare. E alla svelta, poi.
Non basta che stia iperattento a cosa sto comprando da mettere sotto i denti. Da dove viene, se si può mangiare senza lavarlo sotto l’acqua (vedi colera), se ha la buccia o meno.
Per esempio, a livello di vegetali se le uniche cose che posso trovare sono pomodori, carote, cetrioli, peperoni, patate, cipolle, per cena mi devo adattare a cucinare quello che ho comprato.
Con buona pace della mia pigrizia e della pizza con salsiccia e patatine fritte. Ah, dimenticavo: le ricette tipiche locali sono a base di carne di pollo, pesce e riso. Tanto riso. Riso piccante, speziato, aromatizzato. Sarà quasi un mese che continuiamo a mangiare riso ogni giorno. Se doveste mai venire in Tanzania, preparatevi a salutare la diversità della cucina italiana, oltre che qualche chilo.

 16667947_1316265448432825_420163218_oTRASPORTI – I percorsi di vita a cui siamo abituati sono sempre qualcosa di ben definito: casa-bar-università-lavoro-tabacchino-supermercato-casa. Conosciamo tempi e orari di ciascun tragitto. Sappiamo anche quando il nostro amico arriva in ritardo. Abbiamo a mente le distanze che ci separano dalle nostre sicurezze. Ebbene, in Tanzania questo diventa relativo. A malapena sai quando parti, ignori quando arrivi. Azzardi una previsione, un orario. Ma è difficile dare una regolarità ai trasporti, a meno che non hai un tassista per amico. Il traffico è la prima causa di quel vuoto pneumatico dello sconforto del non sapere cosa fare in attesa del bus, che il tempo a tua disposizione è così vasto che avresti fatto in tempo a studiare per un esame da 12 cfu. Per cui, trovati sempre qualcosa da fare o da leggere, in attesa di un mezzo di trasporto tanzano che abbia pietà dei tuoi precisi tempi europei.

di Jacopo Orlo

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