Ius soli: così la politica lascia che una generazione non si senta accettata

MILLE SOTTIGLIEZZE, 450 GIORNI D'ATTESA, 7.800 EMENDAMENTI DELLA LEGA

Martedì 28 febbraioManifestazione_16-10-08 giovani da tutta Italia si sono radunati di fronte al Pantheon, a Roma, per fare pressione sul Senato affinché approvi lo Ius Soli, fermo da più di 450 giorni. Il disegno di legge era stato approvato alla Camera nell’ottobre del 2015, arenandosi però alla Commissione Affari Costituzionali del Senato. È da tredici anni che questo disegno di legge rimbalza dalla commissione per gli Affari Costituzionali della Camera alla discussione in aula, tra riesami e incapacità di realizzare un testo base unico. Due anni fa era finalmente approdato in Senato, ma vallo a mettere tu in calendario. Oltretutto, vanno ringraziati per questo allungamento dei tempi anche i 7.800 emendamenti presentati dalla Lega, aventi come unico scopo quello di bloccare il Ddl: viene da chiedersi se abbiano inventato un generatore automatico o li scrivano la notte. I detrattori di questa svolta costituzionale la paragonano a un via libera per un’immigrazione incontrollata, allo snaturare l’essere italiano, come se riconoscersi in una nazione passasse da un libretto di carta o ci fossero delle istruzioni da seguire per essere dei ‘veri’ italiani. Addirittura, Giorgia Meloni definiva l’ottenimento della cittadinanza “non un fatto burocratico, ma un atto d’amore”. E pensando ad un ragazzo che si ritrova ad essere bersaglio di rigurgiti del genere, deve proprio esserlo. Ma torniamo alle cose importanti e lasciamo queste teorie da piano inclinato a chi ormai si dimostra capace di fare politica solo tramite slogan e post.

ESSERE O NON ESSERE – La questione riguarda non solo l’arretratezza del nostro Paese, una costante quando parliamo di diritti civili, ma la vita di circa 800mila ragazzi nati e cresciuti in Italia. Non possono essere riconosciuti come cittadini italiani perché i loro genitori sono stranieri. Parlano italiano, la terra d’origine dei loro genitori l’hanno vista solo su una cartina, l’infanzia l’hanno vissuta tra i banchi di una scuola italiana, eppure non basta.  La situazione che si è venuta a creare è di uno scompenso sociale e culturale tra persone che vivono tutti i giorni le une accanto alle altre. La vita sociale e politica di questo Paese diventa per alcuni un pianeta lontano dove non potranno arrivare se non dopo un lungo iter burocratico. La cosa più esasperante è che la stessa Costituzione Italiana, i cui ragazzi diverse etnievalori vengono insegnati sui banchi di scuola, non richiede di appartenere ad una certa cultura per essere cittadini, ma di riconoscersi nei valori della democrazia e dell’uguaglianza. “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”. Punto. Noi stessi, se guardiamo alla storia più recente di questo Paese, non eravamo un unicum compatto: qualcuno disse che la Prima guerra mondiale è servita a ‘fare gli italiani’. Un siciliano e un piemontese, prima di incontrarsi nelle trincee, non parlavano nemmeno la stessa lingua. Ora il panorama che ci troviamo di fronte non si arresta alle frontiere d’Europa, ma va oltre. Eppure la questione è sempre la stessa: essere italiani significa spendere la nostra esistenza al servizio di questo Paese, contribuendo alla sua crescita. Facendolo diventare giorno dopo giorno il luogo dove far crescere le nostre radici.
Lasciare che migliaia di ragazzi crescano senza un sentimento di appartenenza significa far loro il peggior torto che una generazione può fare a un’altra. Ogni essere umano si sente perso se non riesce a ricollegare la sua esistenza a qualcosa. Ancora peggio, se si sente ostracizzato non per ciò che fa ma per ciò che è. O in questo caso, per le origini dei suoi genitori. Noi, popolo di migranti per eccellenza, dovremmo avere più sensibilità di altri nel capire quanto sia importante guardare ad un Paese e sentirsi a casa. Anche a migliaia di chilometri questa terra è la nostra, in un rapporto di amore e odio. Permettere ad un ragazzo di ottenere la cittadinanza aiuterebbe nella rinascita di un Paese in cui la coscienza politica è rimasta sui banconi di un bar. Riscoprire che essere italiani non è solo ‘pizza, mafia e mandolino’, ma molto altro.

IL METODO ITALIANO – Va inoltre chiarito un altro punto: non stiamo parlando di Ius soli in toto, ma ‘temperato’, cioè acquisire la cittadinanza per nascita se si è nati su territorio italiano da genitori stranieri, di cui almeno uno in possesso del permesso di soggiorno di lungo periodo o permanente. Toccherà anche i minori arrivati in Italia prima dei 12 anni e che abbiano studiato per almeno cinque anni. Tante piccole sottigliezze, inutili precisazioni, per accontentare una frangia politica. È il solito modo di fare italiano, basti pensare alla legge sulle unioni civili, passata come riforma epocale ma che è lungi da essere un vero e proprio riconoscimento. Bisogna accontentarsi, diranno alcuni. Un’occasione mancata, dico io. Parlamento italianoPer non sollevare troppe questioni e palesare quanto questo Paese sia incapace di compiere passi avanti prima degli altri, si è ricorso a ‘mezzucci’, si è resa complicata una cosa che non doveva esserlo. Nel disegno di legge si parla di Ius soli temperato, ma anche di Ius soli culturae che riguarderà i minori di 12 anni che non siano nati qui in Italia, ma abbiano frequentato per almeno cinque anni le scuole italiane. Oltre a questo, la legge prevede già da qualche anno lo Ius soli sportivo che prevede la possibilità di tesserare in società sportive i minori nati o residenti fin da piccoli. Ne volevano aggiungere un altro?

A questo si somma il dover far ricorso, molto probabilmente, alla fiducia invece che ad una votazione normale. Un ricatto in cui la possibile caduta del governo viene sbandierata per far approvare un testo di legge che dovrebbe essere un atto di buon senso. Quello che disturba più di tutto è sia l’incapacità di rapportarsi ad un realtà che bussa alla porta con insistenza, sia portare la discussione ad un livello talmente basso da dimostrare a tutti quanto molti esponenti politici mirino solo a parlare alla pancia dell’elettorato. E non sta a me ricordare che fare politica significa pensare al bene comune, non ai voti. Si è dato il contentino a tutti, ma continuiamo a posticipare in un Paese che ogni giorno vede aumentare il numero di giovani espatriati che preferiscono l’ignoto alla sicurezza della terra natia. Mentre quelli che restano, o che ci si augura restino, non vengono presi in considerazione.

Quel che è certo è che continuare ad ignorare il problema e permettere che le nuove generazioni vengano private di un riconoscimento basilare come la cittadinanza sarebbe da irresponsabili. Siamo già oltre la seconda generazione di figli di immigrati e questo vuoto legislativo, se prolungato nel tempo, potrebbe ampliare ancora di più la forbice delle divisioni sociali. In una società già frammentata, in cui lo stesso concetto di cittadino è diventato qualcosa di indefinito, “più un apatico consumatore che un cittadino” scriveva Carlo Galli in un articolo di MicroMega nel lontano 2012, alimentare questa discriminazione può solo danneggiarci tutti, non solo questi non-cittadini.

di Carlotta Pervilli

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