Francesco Motta: “Non so neanche cosa voglia dire indie. Io scrivo canzoni”

IL ROCK DEL VINCITORE DEL PREMIO TENCO 2016 SUL PALCO DEL REGIO

mottaFrancesco Motta è un cantautore pisano di trent’anni cresciuto a Livorno, che vive da cinque anni a Roma. Si presenta con i capelli lunghi, ricci, scompigliati e pochissime parole, a meno che non siano in musica. Era cantante e autore della band Criminal Jokers, di matrice busker-punk messa su con un gruppo di amici che poi col tempo hanno preso ognuno una strada diversa: chi si è trasferito in America a lavorare, chi a Berlino fa ancora musica e chi, come lui, ha scelto la carriera da solista. Il suo album d’esordio in solitaria dal titolo ‘La fine dei vent’anni‘ è stato pubblicato con l’etichetta Woodworm a marzo dello scorso anno ed è stato uno dei dischi italiani più apprezzati dalla critica e dal pubblico, tanto da permettergli di vincere il premio Tenco nel 2016.

“NON CHIAMATEMI INDIE” – La fine dei vent’anni è un album fortemente autobiografico, prodotto dal cantautore romano Riccardo Sinigallia: “Senza di lui questo disco non esisterebbe – racconta Motta – è lui che mi ha dato il ritmo giusto per portare a termine questo lavoro e non mi stancherò mai di ringraziarlo”. Difficile identificare un genere musicale unico con cui etichettare il cantante: durante l’incontro di giovedì pomeriggio con il giornalista e Dj Marco Pipitone al Palazzo del governatore, Motta ha detto: “Non chiamatemi indie, non so neanche quale sia il significato di quella parola né mi interessa, io scrivo canzoni. Questo è quello che faccio”. Uno stile,17457878_743770752464970_424416538498183921_n il suo, che va dal rock al folk, senza abbandonare il pop: “Trovo molto strano il fatto che dopo tanti anni passati a rivendicare una certa cultura pop adesso si provi quasi vergogna nel definirsi così, non lo capisco. Ci sono poi sicuramente alcune cose che mi rendono diverso dagli altri cantanti, come il fatto di aver dedicato una canzone all’amore che provo per la mia famiglia. Tutti si lamentano di non essere capiti dai propri genitori, per me invece sono stati un sostegno continuo”: tant’è che suo padre compare nel video del suo ultimo singolo ‘Del tempo che passa la felicità’ e che anche di lui si parla in ‘Mio padre era un comunista’, sesta traccia dell’album, nostalgia del vivere a Roma mentre tutta la famiglia è rimasta a Livorno. “La cosa che mi manca di più di Livorno è il mio nipotino che ha avuto una forte influenza sulle nostre dinamiche familiari. D’altra parte la cosa che amo maggiormente di Roma sono i miei amici”, racconta. Ma nonostante la forte presenza dell’amore, le sue canzoni sono tutte, a sua detta, anche canzoni politiche: “Fare politica non vuol dire per forza parlare di politica, vuol dire esprimersi in un determinato modo anzi pensare in un determinato modo. In ‘Sei bella davvero’ parlo di una donna transessuale, mentre in un altro brano dico ‘mia madre era bellissima’ e per me non è stato semplice cantare di questi argomenti. Poi, come diceva qualcuno ‘se dici di non essere né di sinistra né di destra allora sicuramente non sei di sinistra. Quindi io lo dico subito: sicuramente non sono di destra.”

SUL PALCO DEL REGIO – E proprio Motta è stato il protagonista, giovedì 23 marzo, del nuovo appuntamento di Tracks, la rassegna realizzata dal Teatro Regio con il contributo di Tanqueray e in collaborazione con Barezzi Festival, dedicata alla musica e ai diversi linguaggi dell’arte. Basta poco per descrivere l’outfit ‘da concerto’ di Motta: essenzialità.17522960_743770679131644_7499865613849601476_n T-shirt nera e blue jeans sostengono il suo corpo saltellante, mentre si presenta in scena con la sua affezionata band, tra i cui componenti spiccano Cesare Petulicchio, alla batteria, Giorgio Maria Condemi (chitarra, basso) e Leonardo Milani (tastiere, basso). La scenografia che lo accompagna, altrettanto essenziale, lascia spazio a luci che giocano con contrasti e ad un grande cerchio che si illumina a suon di musica a comporre il nome del cantautore. Ma a fare da sfondo a questa essenzialità è il Teatro Regio e sta proprio qui la magia: il pubblico infatti non ha assistito al concerto sedendo sulle rosse poltrone in platea ma in piedi sul palco stesso, a un passo dalla band. Motta, che salta come una cavalletta per tutta la durata del concerto, ha anche suonato il rullante stando in piedi, come faceva ai tempi dei Criminal Jokers e corso per tutto il palco, lanciandosi follemente sulle tastiere o in groppa al chitarrista ma soprattutto tirando fuori una voce che si trova a suo agio anche tra le note più alte. Non ha lasciato invece troppo spazio alle parole anche se ha sostenuto di aver parlato anche più del solito. Motta3“Io dico di scrivere di politica ma qui a Parma avete una situazione politica bella incasinata” ha detto tra un pezzo e l’altro, ma quando il pubblico gli ha fatto notare la presenza del primo cittadino ha cercato goffamente di recuperare “ecco adesso sono nel pallone, non so più cosa dire, sto parlando troppo” per poi dedicare al sindaco il brano successivo. Uno show, dunque, coinvolgente sotto tutti i punti di vista, senza fronzoli superflui, solo con la grande efficacia della bella musica, e di grandi musicisti.

E mi raccomando, mai domandargli quando uscirà il prossimo disco: “Al prossimo che mi fa questa domanda faccio del male” scherza sul palco e aggiunge “se per scrivere questo c’ho messo 5 anni, il prossimo più o meno parlerà della fine dei miei trent’anni, quindi dovrete aspettare un bel po’ di tempo“.

 

di Fiorella Di Cillo

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