“Il cuore oltre l’ostacolo”: le chiavi del giornalismo al Festival di Perugia

5 GIORNI DI INCONTRI, PROIEZIONI E SPETTACOLI PER LA GIOIA DI CHI VUOLE IMPARARE UN MESTIERE DIFFICILE MA GRATIFICANTE

festiv-perugiaCi sono solo tre tipi di file che si fanno volentieri nella vita. Una è per i concerti, una è per visitare capolavori come gli Uffizi e la terza è per entrare agli eventi del Festival Internazionale del Giornalismo a Perugia. Sono code in cui non ci si annoia. Si conoscono persone nuove, si scherza, a volte si muore di caldo sotto al sole e sempre si condividono le reciproche aspettative sull’evento. E le aspettative nel capoluogo umbro non sono state tradite. Ormai arrivato alla sua XI edizione, il Festival del Giornalismo è un appuntamento fisso per gli appassionati. Richiama non solo frotte di persone impazienti di incontrare i loro idoli dell’informazione, ma anche tantissimi volontari, circa 200 tra ragazzi, studenti, aspiranti giornalisti e fotografi che, con impegno e fatica, hanno contribuito alla buona riuscita della kermesse. Tanti i nomi, noti e meno noti, tante le storie e le esperienze raccontate dal 5 al 9 aprile 2017. Il tutto rigorosamente a ingresso libero e accompagnato dal live streaming.

Per il panorama giornalistico si va da un’istituzione come Milena Gabanelli, che fa un ‘Omaggio ai 20 anni di Report’, alla giovane siriana Zaina Erhaim, per la quale è difficile fare la reporter nel suo Paese e raccontare gli orrori della guerra in quanto donna. L’ex conduttrice di Report mantiene il suo fare rigoroso ma non nasconde una certIMG_20170408_171758 (1)a emozione e gioia nel rivedere le vecchie puntate del suo programma. Si ricorda tutto, come afferma lei stessa, perfino il titolo della prima inchiesta (‘Il dente avvelenato’), fatta quando ancora nessuno li conosceva e credeva in loro. “Fu una scommessa […], questa serie di inchieste all’epoca erano una novità e mi fu dato un budget di 10 milioni di lire, un rimborso spese praticamente. I miei colleghi lavorarono a rimborso spese, investendo su loro stessi e sul programma, perché ci credevamo”. La trasmissione era stata relegata in terza serata, poi il prodotto era piaciuto, le hanno dato fiducia e finalmente l’orario è stato anticipato. Da lì in poi il successo. Una carriera che però non è stata facile. Costellata di ingiunzioni e querele, “siamo andati avanti dieci anni senza tutela legale, garantendoci da soli. È stata un’avventura di grande passione che ha rasentato un po’ anche il masochismo”, scherza la giornalista. Probabilmente la stessa passione che ha alimentato il lavoro di Zaina Erhaim in un Paese dilaniato dalla guerra. “Fare la giornalista in Siria significa essere sotto il mirino di tutte le fazioni”, afferma. Se non si diventa strumenti di propaganda si è un bersaglio, un nemico da eliminare. Essere donna complica maggiormente le cose: “Non potevo lavorare senza mio marito, alcuni non rispondevano nemmeno alle mie domande. Lui era diventato il mio fixer a tempo pieno”. La censura arriva da tutte le parti, regime di Assad in primis: il tuo governo non ti supporta e ti spaventa per le possibili ritorsioni. “Per un giornalista straniero è più facile perché non ha legami” dice la giornalista. Quello, invece, è il suo Paese, lì ci sono i suoi cari da difendere arrivando persino ad autocensurarsi.
Scappare all’estero, quando riesci a farlo, significa essere visti come potenziali terroristi. Sei stato in certe zone controllate dagli jihadisti, non ci si può fidare di te. Resta una sola cosa certa: “Benché il prezzo sia alto, scrivere ciò che vuoi vale il rischio”. Altro incontro emozionante è stato quello con i genitori di Giulio Regeni assieme ai giornalisti di Repubblica Carlo Bonini e Giuliano Foschini. Si è parlato degli ultimi sviluppi dell’inchiesta e dell’uso delle parole attorno a questa storia: non è un “caso” ma un “omicidio”; Giulio non è “scomparso” ma è stato “rapito e assassinato”. Mirabile è la loro forza nel portare avanti questa battaglia non solo per Giulio, ma per tutti gli altri Regeni in Egitto e nel mondo, per aver giustizia e verità.

“Siamo un Paese senza verità […]. Non si deve parlare di ‘misteri italiani’ ma di ‘segreti’” lo ha confermato anche l’autore di romanzi noir Carlo Lucarelli alla Sala dei Notari. Sono questi i casi che appassionano il pubblico italiano, come testimonia il successo avuto da ‘Dee Giallo’ su radio Deejay o i suoi vari programmi televisivi, nonché i suoi romanzi. “Prendiamo un caso di cronaca e raccontiamo cosa ci sta intorno” spiega lo scrittore. E conclude: “Spetta ai media gestire la naturale morbosità del pubblico in maniera corretta perché non si cada nell’ossessione”. Lo stesso giorno, al Teatro della Sapienza, ha presentato il suo libro ‘Avroberto-saviano-psicofarmaciremo sempre Parigi’ Serena Dandini, come sempre sorridente e irriverente. Il suo augurio per i futuri giornalisti è di “coltivare stupore e coraggio” e per lei “il Festival è importante perché offre ai
giovani esempi positivi che li spingono a buttare il cuore oltre l’ostacolo”
. Uno degli incontri più attesi però era quello di Roberto Saviano. Due ore e mezza di coda ampiamente ripagate. Ha parlato di superficialità e web: le notizie online puntano molto sulla velocità, ma questa può essere “molto rischiosa”. Internet induce all’immediatezza, a non pensare e condividere subito sui social, quando invece “ci vuole tempo per riflettere sui fatti e ci vuole tempo anche per spiegarli”. Troppo spesso la logica del clickbait crea articoli semplici, a volte banali e l’autore di Gomorra invita chi scrive ad “avere il coraggio della complessità”. Si cade spesso nell’errore di preferire una notizia di impatto ma dal contenuto scadente, invece del dettaglio all’apparenza insignificante. Un esempio? Un rapper napoletano di Secondigliano, Enzo Dong, usa nel suo  video ‘Che guard a’ fa’ bandiere che ricordano quelle dell’ISIS: “C’è sfuggito qualcosa in questo Paese [..] ‘Questi muoiono come noi’ dicono. ‘Questi sparano come noi’. ‘Questi sono disposti a morire per quello che vogliono come noi’ pensano questi ragazzi. Quindi tengono ‘e palle” . Un particolare che cela un messaggio ancora più profondo: l’ideologia estremista islamica è così forte da diventare un esempio anche dove non immaginerebbero. Hanno concluso la serata di sabato 8 aprile le menti irriverenti e creative di Gazebo. Dai paesi terremotati a Salvini a Lampedusa per raccontare l’Italia attraverso la telecamera di Diego e le vignette di Makkox. Uno spettacolo coi fiocchi che non ha mancato di coinvolgere il pubblico presente a teatro.

di Martina Innocenti e Carlotta Pervilli

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