Transizione di genere, “dalla sanità alle leggi siamo invisibili”

QUANDO IDENTITA' E CORPO SI SCONTRANO: COSA VUOL DIRE ESSERE TRANS

Disforia di genereQuando non ne puoi più cominci ad accettare te stesso“. E’ da questo bivio, travagliato ma allo stesso tempo liberatorio, che Lorenzo, diciassette anni, comincia a raccontare la sua storia di ragazzo FtM e a parlare della sua condizione, la disforia di genere. “All’inizio ho avuto problemi ad accettarmi, ma quando ho realizzato è stato più facile. Unisci i puntini e capisci perché ti comportavi in un certo modo. Di fatto, è una rivelazione“. Nella sua seppur giovane vita, Lorenzo spiega però di non essersi mai sentito “uomo” nel senso culturale del termine. “Viviamo in una società binaria e quindi spesso ti viene imposto di essere o uomo o donna, in un’unica maniera, senza sfumature“. In realtà, le sfumature esistono, così come esistono molti modi per definirle.

MAPPA DEI TERMINI – Ma partiamo dalle basi: cosa s’intende per FtM e il suo contrario, MtF? “Il primo significa ‘Female to Male‘ ed indica una persona che transiziona da un corpo femminile a un corpo maschile”, risponde Elena, una volontaria che collabora con diverse associazioni Lgbt sul territorio nazionale. “Il secondo significa l’opposto, ‘Male to Female‘ “. Non è solo un discorso tecnico, ma anche grammaticale: “Se la persona da maschio diventa femmina, bisogna usare l’articolo femminile (la), se invece avviene il contrario, sempre per rispetto e per giustizia bisogna usare l’articolo maschile (il)”.
Chi intraprende questo processo, come Lorenzo, si trova una particolare condizione, la disforia di genere: si riconosce nel sesso opposto rispetto a quello della nascita. “Con la disforia una persona sente che la propria identità di genere (l’identificazione interiore) non corrisponde all’espressione di genere (il corpo e/o l’aspetto fisico)”, continua Elena. “Transessuale (FtM o MtF) – specifica ancora – è un termine differente rispetto a Transgender, che indica una persona che nega il genere binario maschile/femminile e si inserisce a metà, iniziando il percorso ma senza portarlo a compimento per un qualsiasi motivo”. E Cisgender? “É semplicemente una persona la cui identità di genere collima con l’espressione di genere: io sono donna e mi vedo donna. Ma non è la stessa cosa di etero, può essere anche omosessuale”, puntualizza Elena.
E’ questa la mappa iniziale dei termini legati alla transessualità, ma bisogna aver presente che le diramazioni e le definizioni, come genderfluid, agender, genderqueer… sono tante a seconda della percezione personale di ciascuno. “Ci sono molte etichette ma non si usano per amor di codificazione, bensì per facilitare il pensiero e la semplicità. Non dobbiamo dimenticarci che il binomio di genere è un prodotto culturale e storico”. Dunque la lingua cambia e si evolve per adattarsi alle nuove forme di identità: ognuno trova la combinazione in cui più si riconosce.

hhIL PERCORSO TRA PSICOLOGI, MEDICI E TRIBUNALI – Ma non basta, perché la normativa non si adegua così velocemente come il linguaggio. Il processo per il cambio di sesso, infatti, sembra chiaro e logico nelle sue fasi, ma presenta nella realtà dei fatti delle contraddizioni spaventose che sfociano in un vuoto giuridico. “Per avviare questo percorso occorre andare da uno psicologo per farsi certificare la disforia di genere – racconta Elena -. Poi, dopo una lunga serie di sedute, c’è l’ok per gli ormoni forniti dall’endocrinologo. A questo punto si può presentare un’istanza al tribunale per chiedere l’autorizzazione agli interventi chirurgici. Infine c’è il via libera per il cambio di documenti“. Ma non è così semplice, soprattutto in Italia dove la giurisdizione è molto complessa, specialmente se si è minorenni, come nel caso di Lorenzo. “Mio padre non mi ha mai appoggiato. Mi servivano diverse autorizzazioni per andare dallo psicologo, ma lui non firmava. Per fortuna, all’Asl ho trovato qualcuno che lo ha convinto e da qualche mese ho cominciato ad affrontare le sedute. Per iniziare la terapia servirà un’altra sua firma finché non diventerò maggiorenne”. Anche chi è già adulto, tuttavia, si trova davanti un cammino impegnativo e complesso. “C’è chi ci mette pochi mesi e chi anni“, aggiunge Elena, che sottolinea come il tragitto dipenda troppo spesso dall’arbitrarietà delle figure coinvolte.”Un esempio – cita – è quello dello youtuber Richard Thunder, che ha incontrato una psicologa che si è rifiutata di seguirlo usando la religione come scudo”. Tendenza confermata anche da Christian, FtM ventottenne da anni molto attivo nelle rivendicazioni delle persone transessuali. “In Italia in realtà – spiega – c’è una legge precisa, la 164 dell’aprile 1982, che allora era rivoluzionaria ma che oggi è diventata obsoleta. É molto ambigua e non dice espressamente cosa è necessario fare per ottenere il cambio dei documenti ed è tutto sottoposto all’arbitrarietà del giudice”.

19DF11_11.17_XionFinal-101I COSTI – Purtroppo gli ostacoli sono anche di natura economica, dato che tutte le spese non sono sempre accessibili, sebbene ci siano stati degli interventi statali. Quelle per le sedute psicologiche, ad esempio, che costano nonostante le agevolazioni dell’Asl e privatamente possono raggiungere i 100 euro a incontro. Devono inoltre protrarsi per un minimo di sei mesi. Poi ci sono le visite dall’endocrinologo e il costo degli ormoni, che può variare dai 20 ai 60 euro a pillola. Senza contare gli interventi e, naturalmente, le spese legali. “C’è un business che viene operato su di noi ogni giorno – commenta Christian -. Le persone trans rendono ricchi gli avvocati, gli psicologi che testimoniato la disforia che ti rende patologizzato, le case farmaceutiche che vendono i farmaci per migliorare la nostra situazione. Per fortuna ci sono diverse agevolazioni, ma purtroppo si tratta di casi lungimiranti che variano da città a città. A Bologna c’è la convenzione con l’ospedale e puoi ottenere gli ormoni gratuitamente”.

“SIAMO INVISIBILI”, DALLA SANITA’ ALLE LEGGI – Ma il problema vero, per quanto riguarda l’aspetto sanitario, è un altro. “Il fatto è che non ci sono farmaci specifici per le persone trans. Quelli che prendiamo non sono stati appositamente fatti per noi e non sappiamo neanche quali conseguenze hanno sul lungo periodo. In un certo senso, è come se li stessimo sperimentando. Ad esempio, gli MtF prendono delle pillole usate per curare il cancro alla prostata. Praticamente, sono dei chemioterapici“, aggiunge Christian, evidenziando come la sanità sia indietro anche per quanto riguarda gli interventi chirurgici. “In Italia non si può parlare di falloplastica. Non esistono procedure. Se te lo puoi permettere, vai all’estero ma trovi quello che trovi. Non essendo un intervento salva vita, non c’è molta ricerca in merito. All’estero con 50.000 dollari riesci ad ottenere il tuo fallo.” E ci sono anche casi di malasanità. “A Roma – racconta Christian, citando un caso al centro di un servizio televisivo de ‘Le iene’ – hanno fatto un intervento sperimentale su quattro ragazze MtF, solo che loro non sapevano che era sperimentale ed è stato un completo flop. Non sono riusciti ad unire il canale vaginale nuovo con quello rettale. Sono rovinate ed è un danno permanente”. Esistono però differenze da caso a caso. “Per gli MtF gli interventi sono complessi e onerosi, come la vaginoplastica. Costa almeno 20.000 euro, comprese le spese per andare all’estero, dato che in Italia non sono dei maghi a farlo. Poi teoricamente si potrebbe chiedere il rimborso, ma il processo per ottenere i soldi indietro è così lungo che tanti non ci provano neanche”, aggiunge Lorenzo.
Inoltre, permane un ritardo di percezione che porta le persone transessuali ad essere completamente invisibili agli occhi delle istituzioni. “C’è stato un caso abbastanza eclatante – spiega ancora Christian – su una nuova normativa antidoping uscita di recente. Si tratta di una legge che impedisce alle donne di prendere il testosterone, quindi gli FtM in transizione che ne hanno bisogno stanno facendo tanta fatica a reperirlo perché in molti casi hanno ancora i documenti femminili. Questo è successo perché per chi legifera noi non esistiamo“.

Il percorso fondamentale non è solo all’esterno, ma anche interiore, come conferma Lorenzo.”Fin dall’asilo non ho mai avuto problemi a dire che ero maschio. Mi riconoscevo in modelli maschili, senza capire perché. Piano piano ho cominciato ad avvertire qualcosa. Se durante l’adolescenza ho cercato di negare, crescendo diventava più difficile. Sentivo che dovevo rientrare in un ruolo, quello femminile, ma non mi ci riconoscevo. Non ho mai avuto interesse per i ragazzi. Diciamo che l’ho sempre saputo e che ho impiegato un po’ a realizzarlo. A un certo punto la smetti di mentire a te stesso. Solo allora inizia quella che è la transizione mentale, l’accettazione di sé, quella fisica viene dopo. Lentamente, il passato si lascia andare”.

17796841_776564829162950_7724784897092715636_nMa quanto è presente la comunità transessuale a Parma? Nonostante ci sia una buona presenza sul territorio per quanto riguarda i movimenti Lgbt, la comunità transessuale è sempre stata meno rilevante. “Ottavo Colore è un’associazione nata 10 anni fa, ma dato che molto spesso le associazioni Lgbt sono sostanzialmente Lbg, ci hanno chiesto di organizzare degli incontri: così è nato Trans in Progress”, racconta Alysha, referente del gruppo. “Affrontiamo tutti i temi riguardanti la T: la transizione, la prevenzione, l’informazione. Un luogo sicuro dove socializzare ed esprimersi. È fondato sulla spontaneità: chi vuole parla, altrimenti si ascolta”. Essendo una realtà nata da poco, il gruppo è ancora ristretto e punta a farsi conoscere tramite l’organizzazione di eventi. L’utenza è soprattutto giovanile. “Per ora l’età media è molto bassa: ci sono tanti ragazzi. Queste generazioni sono nate con internet, quelle precedenti, come la mia, non potevano usufruire di così tante informazioni”. Obiettivo dell’associazione è di creare aggregazione in una zona in cui i punti di incontro sono inesistenti. Ma l’aggregazione non deve essere solo territoriale… “In Italia non esiste un movimento trans e la colpa è nostra. Non siamo così incisivi da poter chiedere quello che ci spetta. Dobbiamo unirci in un’unica sigla e creare un movimento nazionale”, sostiene Christian.

Però qualcosa si sta già muovendo, sia dal punto di vista legislativo che culturale. “Ora senza l’operazione si possono comunque cambiare i documenti, sebbene i tempi non siano brevissimi”, spiega Elena. Ciò grazie alla sentenza n.15138 del 20/07/2015 della Corte di Cassazione. “Questa è una rivoluzione, non è più necessario andare nei tribunali ma tramite una semplice richiesta alla Prefettura della propria città di residenza viene concesso il decreto del cambio di documenti”. Non solo: al Senato è stato presentato nel 2013 il Ddl 405, che tuttavia è ancora in attesa di approvazione. Ma la cosa più importante è fare rete, unirsi, perché, come sprona Lorenzo, “se ci rinchiudiamo in noi stessi è la fine”.

 

di Elia Munaò e Chiara Micari

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