“Si apre un nuovo capitolo di speranza”: Macron e l’europeismo ritrovato

SCONFITTA LA LE PEN IN FRANCIA, MA È DAVVERO LA FINE DEL POPULISMO?

francia_macron_esulta

di Fiorella Di Cillo |

Emmanuel Macron è il nuovo Presidente della Francia, fresco di insediamento all’Eliseo dopo le votazioni del 7 maggio in cui il giovane ex del Partito Socialista (da cui si è ufficialmente allontanato nel 2009) e fondatore del movimento En Marche! è riuscito in un’impresa non da poco. Fino a poco tempo fa nessuno avrebbe puntato su di lui: non aveva un partito eppure è riuscito ad arrivare fino all’Eliseo con un messaggio che si propone alternativo sicuramente rispetto a Marine Le Pen ma anche a gran parte degli scenari politici europei. Il suo arrivo a piedi al Louvre, luogo scelto per festeggiare la vittoria, è stato solitario mentre riecheggiavano le note dell’Inno alla Gioia (anche inno dell’Unione Europea) e ha dato una prima forte immagine del nuovo leader francese. L’ex ministro dell’Economia, che non aveva mai vinto un’elezione neanche a livello comunale, ha ricevuto poco più del 66% dei voti, imponendosi nettamente al ballottaggio sulla rivale Marine Le Pen, della destra fortemente xenofoba, che ha sfiorato il 34%, segnando comunque miglior risultato di sempre per il Fronte nazionale. Ma c’è anche un altro record da tenere in conto: rilevanti infatti l’astensionismo che ha superato il 25%, e le schede bianche o nulle, più dell’11% dei votanti, a riprova della disaffezione di una parte significativa dell’elettorato, visto anche il crollo della percentuale di giovani che si sono recati alle urne. Potrebbe esser dipeso dalla grande assenza dello storico duopolio politico destra-sinistra dal ballottaggio? Ciò che è certo è il distacco ormai evidente tra le masse nazionali popolari e i rappresentanti della politica. Questo dato però non sorprende troppo, soprattutto in Italia, dove un ‘partito’ o meglio un movimento ha fatto dell’astensionismo un gesto politico.

Con Macron brindano i mercati, esulta l’Unione Europea, giubila la classe dominante. Che altro c’è da aggiungere? Ha vinto il cosmopolitismo della globalizzazione capitalistica classista ai danni delle classi lavoratrici, delle nuovi plebi post-moderne, del piccolo ceto imprenditoriale. Ha vinto in generale la mondializzazione capitalistica contro tutto ciò che può resisterle”, ha commentato negli scorsi giorni il filosofo Diego Fusaro, tracciando un chiaro quadro delle reazioni con cui è stato accolta la vittoria di Macron. A cominciare da una certa euforia da parte dei mercati, viste le convinzioni liberiste del nuovo presidente. Altrettanto d’impatto l’effetto sul fronte dell’europeismo che sembra aver assestato un colpo alle spinte euroscettiche seguite alla Brexit, e all’avanzamento dei movimenti nazional populisti con la netta sconfitta di Le Pen.

ALTRI SCENARI EUROPEI – Dopo la Brexit, la vittoria di Trump negli Stati Uniti, Orbán in Ungheria e Kaczyński in Polonia, e la crescente bandiera ueondata di gruppi nazionalisti e populisti simili nell’Unione europea, sembrava ormai avviato e inarrestabile un processo di arretramento della democrazia parallelamente al progetto di un’Europa unita e pacifica. E nonostante i loro estremismi che oscillano da destra a sinistra, Le Pen, Farage, Salvini, Grillo, Podemos, Tsipras, le destre in Danimarca, Germania, Austria, Ungheria e Polonia, questi gruppi hanno tutti idee accomunate dall’essere contro tecnocrati e riformisti. Su tali temi fanno breccia così in quella parte di popolazione indignata con i partiti tradizionali, scettica sulle politiche di accoglienza dei rifugiati, preoccupata per l’economia e che teme, per un motivo o per un altro, per la propria sicurezza. L’estrema destra europea in particolare ha alleati potenti (appunto i presidenti russo e statunitense) ma il Front National non ha vinto e non è che una della recenti sconfitte che questi movimenti hanno subìto. Anche nelle elezioni presidenziali in Austria, infatti, e in quelle parlamentari in Olanda, si è assistito ad uno stop ai movimenti xenofobi di destra rispettivamente con la vittoria del Verde Alexander Van der Bellen da una parte e dei liberali di Rutte dall’altra. E sempre restando in Europa, c’è qualcuno in Grecia che deve aver seguito le presidenziali francesi con un sentimento misto di speranza e identificazione. Altri non è che Kyriakos Mitsotakis, il leader di Néa Demokratia che si è dato per la Grecia uno scopo simile a quello di Macron: difendere l’ideale europeo dal populismo. Da quando lui è leader ha cercato di ridare al partito una nuova spinta riformatrice volta a far dimenticare lo scandalo dei conti truccati che ha portato al fail della Grecia. E così facendo è di nuovo in testa nei sondaggi con oltre il 35%, contro l’anti-sistema Tzipras, a sua detta, “è un ottimo populista, ma un pessimo premier”. Tuttavia sarebbe illusorio o sicuramente ingenuo credere che si sia giunti già alla fine di quest’ondata, visto che movimenti di questo genere non sono affatto scomparsi. Anzi, hanno già assicurato che daranno del filo da torcere ai nuovi governi. Ma leggermente diversa è la situazione in Italia, dove nonostante il Pd stia recuperando terreno, non smette di crescere l’approvazione dei cittadini nei confronti del Movimento 5 Stelle (che guadagna circa un punto a settimana) e della Lega Nord che continua a seguire un trend stabile ma positivo.

Il grande rischio è che correnti populiste di questo tipo, se lasciate a se stesse e alla politica del ‘disfattismo’, diano vita a società autoritarie laddove manchi internamente una organizzazione sistematica e propositiva. Ma a ben guardare un merito, alcune di loro ce l’hanno: la ri-elaborazione di un discorso politico basato sul cittadino e sulla sua effettiva partecipazione alla ‘cosa pubblica’ che ha scosso le coscienze di molti disaffezionati anche attraverso nuovi mezzi di compartecipazione come i social network e, in generale il web, con la convinzione che ciò porti ad una politica più trasparente ed efficiente.
Ma cosa possono fare allora i partiti tradizionali per rispondere all’ondata anti-sistema? Per ora cogliere senza illudersi troppo il positivo che c’è dietro queste piccole ma almeno in parte significative vittorie, o forse solo aspettare che lentamente questi movimenti implodano in se stessi, se dimostreranno di non avere la preparazione adeguata a governare una città capitale o ipoteticamente un governo? Ma sarebbe anche giunta l’ora di trovare un modo per spronare i cittadini a sentirsi sempre meno lontani dalla realtà politica e partitica dalla quale i più rifuggono, non solo svecchiando le tattiche di comunicazione, ma ri-offrendo una identità politica che per molti è andata perduta.

 

Scrivi un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*