Tra rifiuti e donazioni: a Parma raccolti 1.180.630 kg di abiti usati nel 2016

GESTIONE E BENEFICIARI, TRA SCOPI BENEFICI E SMISTAMENTI PARALLELI

Cassonetti abiti usati“I vestiti usati del nostro Paese e del Nord Europa gonfiano i portafogli della criminalità organizzata”. Così scriveva L’Espresso il 28 giugno 2017 riferendosi allo scandalo che aveva visto come protagonisti i ben noti cassonetti gialli, quelli predisposti alla raccolta di abiti usati a scopo di beneficenza. Questo business milionario era stato denunciato anche da la Repubblica il 16 gennaio 2015 in un articolo che sottolineava l’ambiguità di un processo che dovrebbe svolgere una funzione di aiuto sociale ma che in più occasioni ha invece riempito le tasche della malavita. Un mercato globalizzato sul quale si sono buttate anche aziende profit, mettendo in piedi un traffico che talvolta si è rivelato illegale, come ha portato alla luce un’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Firenze che ha visto coinvolte 98 persone e 61 società, con ipotesi di reato di associazione a delinquere e traffico illecito di rifiuti. Si tratta di un vero e proprio mercato da milioni di euro e che conta su 110.000 tonnellate di materiale raccolto ogni anno in tutta Italia.

Anche a Parma sono state riscontrate situazioni ‘opache’ per quanto riguarda la raccolta degli abiti usati. Nel giugno 2014, attraverso un comunicato stampa del Comune, l’allora assessore dell’ambiente Gabriele Folli lamentava varie irregolarità e fenomeni di abusivismo: molti raccoglitori, posizionati peraltro in punti pericolosi, risultavano appartenere a società provenienti da fuori provincia senza le necessarie autorizzazioni e a fini di lucro. La situazione sembra essersi risolta nel gennaio del 2015 attraverso la rimozione dalle strade dei cassonetti abusivi, ma come funziona, ad oggi, la raccolta e la gestione a Parma?
Indagare su questa attività, in cui intervengono diversi protagonisti che si occupano delle varie fasi del ciclo degli abiti usati, dalla raccolta alla donazione al riutilizzo, non è un compito facile. Paradossale come per seguire un’attività caratterizzata come a scopo sociale e benefico, ci si debba scontrare con un dedalo di segreterie, muri di silenzi e rimbalzi da un ufficio all’altro. Ma partiamo dall’inizio e dai numeri: nel 2016, secondo i dati dal settore Ambiente del Comune, sono stati raccolti 1.180.630 kg di indumenti usati.

Cassonetti abiti usati 2CHI RACCOGLIE E A CHE SCOPO – Gli abiti usati raccolti sul territorio comunale sono a tutti gli effetti considerati come rifiuti urbani e come tali sono quindi trattati da Iren Ambiente Spa, gestore dei rifiuti urbani ed assimilati a Parma. La raccolta è svolta tramite i contenitori gialli, posizionati su suolo pubblico o privato ad uso pubblico, nel rispetto di tutte le norme in materia di sicurezza stradale e ognuno dotato di apposito adesivo di riconoscimento. Su questi sono identificati i soggetti che si occupano del servizio. A sua volta, infatti, per mezzo di apposite convenzioni, Iren ha affidato il servizio di raccolta, trasporto e conferimento presso piattaforme autorizzate di stoccaggio temporaneo dei rifiuti a soggetti terzi. Si tratta del Centro Sociale Ciechi Cristiani e della ditta Centomiglia di Ferrari Silvano (che gestisce la raccolta e devolve parte del ricavato al centro stesso), e della Caritas che per la raccolta  si avvale della cooperativa sociale Di Mano in Mano.

Tutte queste entità, come esplicitato nelle convenzioni, “non solo posseggono storicamente sul territorio comunale di Parma le competenze e gli strumenti per svolgere il servizio in questione, ma sono attività che operano nel campo del sociale, adoperandosi verso le persone con difficoltà”. Ed è qui che la questione dello smaltimento degli abiti usati inizia a complicarsi, data la confusione che può generarsi nella considerazione di questa attività in particolari condizioni.

RIFIUTI O DONAZIONE? – Per la legge italiana, infatti, i vestiti portati nei cassonetti sono a tutti gli effetti rifiuti e come tali devo essere trattati e smaltiti. Bisogna avere chiaro che quando si deposita un capo d’abbigliamento in un cassonetto stradale, non stiamo direttamente facendo una donazione ai poveri, bensì ci stiamo liberando di un rifiuto, pur mettendolo a disposizione del ciclo del riuso. L’equivoco scaturisce dalla consuetudine per cui gli enti caritatevoli o le cooperative sociali si occupano dell’attività di raccolta: pantaloni, maglie, camicie non finiscono in discariche, inceneritori o impianti di compostaggio, ma vengono raccolti per essere recuperati; una parte ha una destinazione industriale mentre la parte restante viene immessa nel circuito dell’usato. Il sistema Caritas, che riceve parte del ricavato per distribuirlo ai bisognosi, chiede che il legislatore prenda atto che questo è un settore che genera benefici sociali. Ripetutamente contattata, la Caritas di Parma non è stata però disponibile ad approfondire la questione e a chiarire il meccanismo e la destinazione del ricavato della raccolta.

Cassonetti abiti usatiChi, insieme alla Caritas, svolge la raccolta di indumenti usati tramite i cassonetti è la cooperativa sociale ‘Di Mano in Mano onlus’, che ha dato vita ad un progetto stabile e continuativo di ‘Lavoro – Animazione – Accoglienza’ grazie al quale chi lo desidera può vivere un’esperienza alternativa al profitto, attenta all’accoglienza dell’ “Altro” ed impegnata nelle problematiche dell’immigrazione, della “nuova convivenza” e di uno sviluppo equo e sostenibile. Per questo la cooperativa ha strutturato due laboratori di riutilizzo e due luoghi aperti all’accoglienza di gruppi e singoli nello spirito missionario. Le principali attività svolte sono, appunto, la raccolta di indumenti usati tramite cassonetti e la gestione di un negozio del vestito usato in via Cremonese. A questo proposito, Di Mano in Mano dispone di un magazzino di vestiti usati che vengono donati dai privati cittadini e distribuiti gratuitamente a chi ne ha bisogno.

L’operazione di raccolta degli abiti usati avviene attraverso delle apposite procedure (dato che il conferimento di un abito all’interno di un cassonetto viene considerato rifiuto, per l’ appunto). “La Caritas, non potendo effettuare l’igienizzazione dei vestiti, affida il compito ad aziende specializzate; mentre l’altra parte della raccolta viene svolta direttamente attraverso le donazioni dei cittadini ai punti di raccolta”, spiega il referente della cooperativa. In questo caso i vestiti non diventano rifiuti poiché passano di Mano in Mano e vengono messi a disposizione per tutti coloro che ne hanno bisogno attraverso la Caritas in piazza Duomo. La scelta di effettuare l’igienizzazione è possibile proprio perché gli  abiti rimasti, non essendo stati abbandonati, vengono rimessi in circolo.

4USATO CERCASI: TRA PRIVATI E ‘SMISTAMENTI PARALLELI – È bene precisare che dall’altra parte ci sono anche i privati che effettuano la raccolta di indumenti usati ma in modo diverso e con prevalenti finalità economiche. Talvolta si tratta di ditte qualificate, talvolta di soggetti meno ‘limpidi’ che comprano abbigliamento usato o tessuti per rivendere il materiale da riuso o inserirlo nel circuito dei mercati. E da dove provengono gli abiti che vi si trovano in vendita a prezzi veramente irrisori sui banchi, quelli accatastati in mucchi enormi e palesemente di seconda mano? Fra gli ambulanti di Parma c’è chi dichiara di comprarli dall’estero e chi da magazzini di Napoli, Prato e Milano da privati, che rivendono gli abiti usati al chilo. Alla richiesta di approfondimenti ci si trova davanti a un muro: chi sono questi privati? Da chi si riforniscono a loro volta?
Un’ipotesi trapelata è legata a quegli abiti che vengono sì portati ai cassonetti gialli, ma non fanno in tempo ad entrarci. Chiariamo: in piazzale Picelli, accanto alla chiesa di Santa Maria del Quartiere, due di questi raccoglitori sono costantemente presidiati da gruppetti di persone apparentemente interessate ai loro affari. Al tentativo di depositare alcuni sacchi di abiti, capita spessissimo di venire fermati da alcuni di questi che chiedono con insistenza di lasciarli a loro. “Mi servono, io so cosa farci”, ripetono senza aggiungere di più. Sembra si crei dunque, in corrispondenza dei cassonetti Caritas, una sorta di smistamento parallelo a quello ufficiale ed é possibile che parte degli indumenti raccolti da questi fruitori collaterali finisca poi sui banchi del mercato che offrono merce con prezzi che variano dai cinquanta centesimi a pochi euro.


di Elia Munaò, Martina Alfieri, Valentina Perroni, Rim Bouayad, Chiara Micari

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