Catalogna indipendente? Gli Erasmus: “Due bambini capricciosi”

ANALISI E PARERI DI UNA SPACCATURA CHE NON FA BENE A NESSUNO

A me dispiacerebbe molto, la Catalogna è un’altra cultura, un altro modo di pensare” afferma Lucas, studente madrileno a Parma, riferendosi alla deriva indipendentista di Barcellona. “Mi piacerebbe vedere come sarebbe la Catalogna indipendente” sostiene invece Marta, anche lei studentessa dell’Ateneo parmigiano ma forte sostenitrice dell’indipendenza. Una diatriba che vede in gioco ‘unionisti’ e ‘secessionisti’ e che tira in ballo molti, troppi interessi. La solidità economica della Spagna, la possibile secessione di un’area fortemente produttiva e industrializzata, poi i rapporti con la confederazione europea, i sentimenti dei cittadini. Ci troviamo di fronte a un avvenimento che potrebbe portare conseguenze inimmaginabili, c’è il rischio di crollo di uno degli Stati più importanti d’Europa.

Il referendum sull’indipendenza della Catalogna di domenica 1 Ottobre ha creato una grande situazione d’incertezza. Il quesito era semplice: ‘Volete che la Catalogna sia uno Stato indipendente in forma di repubblica?’ I risultati ufficiali sono stati diffusi nella notte del 2 Ottobre: le urne hanno visto un’affluenza pari al 42% circa, quindi su circa 5.300.000 di aventi diritto, i votanti sono stati 2.262.000. La risposta di questi ultimi ha mostrato uno schiacciante ‘si’ facendo attivare l’iter previsto dall’entourage catalano. Una spaccatura che si allarga ma i problemi non nascono certamente da qui, troppi gli errori commessi.

referendum“VISCA LA INDIPENDENCÌA” – I dubbi rispetto alla validità di queste votazioni non riguardano solo la lesione dei principi costituzionali –  la Costituzione spagnola non prevede la secessione di una regione e il Tribunal Constitucional si è opposto fermamente – ma anche difetti di forma. Bastano il 40% dei catalani per decidere del destino di un intero Stato? “No- risponde seccamente Lucas – non bastano perché non si basa su un referendum legale. Va contro la costituzione”. Un grande dubbio che nasce anche in seguito ad un altro fatto: “Buona parte dei miei conoscenti di Barcellona – ci racconta Marta – si sono opposti al voto non presentandosi alle urne”Sebbene non era previsto un quorum, pare che la scelta dei sostenitori dell’unità nazionale – tanti, anche in Catalogna – di esprimere la loro contrarietà astenendosi dalle votazioni. C’è poi l’azione della polizia, che durante la repressione ha sequestrato urne e schede e ostacolato il voto online. Infine, restando in ambito referendum, un ultimo ostacolo: i risultati sono applicabili entro 48 ore dalla fine delle votazioni, mentre l’entourage catalano fissa l’incontro per la dichiarazione di indipendenza al 9 ottobre.

Da un punto di vista legislativo, verrebbe meno anche il principio di autodeterminazione dei popoli: sviluppato per proteggere i cittadini di un determinato territorio da un possibile occupante, è uno strumento che è stato usato largamente da tutti gli Stati che hanno avuto trascorsi coloniali; una consuetudine internazionale che nulla ha a che fare con la Catalogna. Nonostante ci siano dottrine che affermano un principio di ‘autonomia esterna’, tutti gli esperti di diritto internazionale sono d’accordo sul fatto che non esista, in questo caso, un diritto di secessione. Ed è inutile l’appello degli indipendentisti al caso del Kosovo, autoproclamatosi indipendente dal 2008, visto che le diverse  congiunture rendono difficile – e forse ingenuo – avvicinare i due casi. Inutile anche l’appello al diritto internazionale: il riconoscimento da parte di altri Stati è un presupposto fondamentale per il conseguimento  dell’indipendenza e nessun governo pare favorevole alla secessione catalana.

Veniamo così a un altro grande ostacolo all’indipendenza: il mancato appoggio da parte dell’Unione Europea. Il presidente del Parlamento Europeo, Antonio Tajani, giudica il referendum catalano “inaccettabile, perché va a violare il principio di unità dello Stato”. La Commissione ritiene il voto illegittimo e il suo presidente, JC Junker, ha offerto pieno appoggio a Madrid. Infine, il Consiglio Europeo, nonostante la mediazione e l’invito alla non violenza, appoggia il Governo spagnolo. Le problematiche di ordine politico portano con loro preoccupazioni sul piano economico e monetario della possibile Catalogna indipendente. Questo neo-Stato infatti non avrebbe vita facile. Prima di tutto sarebbe escluso dall’UE e di conseguenza da tutti gli accordi firmati da Madrid, secondo l’art. 49 del Trattato UE sarebbe quindi necessario un processo di adesione agli accordi stessi. C’è poi il problema dell’allargamento della confederazione, che non si svolge da un giorno all’altro e che necessita dell’approvazione unanime dei partecipanti con la Spagna si opporrebbe senza esitazioni. Per non parlare dei rapporti tra le banche e la BCE, che potrebbe non essere in grado di finanziare le banche. L’unica soluzione sarebbe la creazione di una nuova, svalutatissima, moneta. Tutto ciò si tradurrebbe in una fuga di capitali dalla regione – già minacciata da Banco Sabadell e Caixa che da agosto accusano gravi colpi – e a una scontata deriva economica.

poliziaMANGANELLATE MADRILENE – La posizione degli indipendentisti è certo incosciente, ma anche il governo centrale ha le sue responsabilità. Mariano Rajoy, presidente dell’Esecutivo, ha reagito con forza all’iniziativa di Puigdemont e per interrompere lo svolgimento del referendum si è affidato alla polizia. I Mossos catalani hanno rifiutato le direttive del Governo ma il CNP e la Guardia Civil non sono state dello stesso avviso. Le forze dell’ordine sono entrate nei seggi munite di tenuta antisommossa e con violenza hanno cercato di sequestrare il materiale, mentre la folla si opponeva. Gli animi si sono scaldati in poco tempo. La sindaca di Barcellona, Ada Colau, accusa la CNP e la Guardia Civil :”Durante gli scontri in Catalogna ci sono state molestie sessuali”, intanto gli agenti della GC spagnola si guadagnano l’appellativo di “forza occupante” e vengono scacciati dalla Catalogna: non sono pochi i casi in cui alberghi, B&B e servizi simili hanno rifiutato il loro pernottamento negli alloggi. I loro atteggiamento ha indignato l’intera comunità catalana e non solo: “La reazione non è stata per niente giusta, non si può impedire il diritto di espressione, il popolo catalano non se lo merita – afferma con indignazione Marta, catalana e cittadina di Barcellona – molte persone non hanno avuto paura di votare per ribellarsi, però alcune persone sì: per paura di ricevere botte dalla polizia.”In ogni caso la loro presenza nelle aree calde è prolungata sino al 11 Ottobre. L’azione della polizia è stata condannata da tutti, ma non bisogna dimenticare che questi ordini sono partiti dall’alto, in particolare dal premier nazionalista Rajoy. La sua contrarietà all’autonomia regionale – contrapposta a un forte politica di accentramento – era nota da tempo, ma la decisione sulla data del referendum era chiara da Giugno: non era possibile agire prima, in modo da evitare gli scontri?

Un altro nodo riguarda uno dei più grandi motivi dello scontro tra il governo centrale e quello regionale: autonomia economica. I catalani vorrebbero più libertà nella gestione delle proprie finanze, inoltre, avendo un PIL pro capite superiore alla media nazionale, credono di versare troppe tasse rispetto alle risorse ricevute. Perché non mediare fin dalle prime tensioni? “Perchè sono come due bambini capricciosi -concludono i due ragazzi Erasmus – perché  c’è un errore di comunicazione da parte di entrambi, c’è mancanza di dialogo”. Le posizioni del Governo valgono quanto il destino di un popolo? Forse sì, visto che la Catalogna viene considerata uno dei motori dell’economia europea, rappresenta il 20% circa del PIL spagnolo e il 23% della produzione industriale nazionale. Quest’area della Spagna, oltre ad attirare milioni di turisti, attira anche un gran numero di investimenti. Solo a Barcellona quasi la metà delle imprese sono straniere, perlopiù italiane, francesi e tedesche. Insomma: come Marta e Lucas ce ne sono altri, indignati, confusi e scossi dagli avvenimenti. Una Spagna tutt’altro che stabile può permettersi di perdere la sua Comunità più dinamica e laboriosa?

Di Fabio Manis ed Ernesto Vastola

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