Il vero mondo comincia dalle frontiere, parola di Gazmed Kapllani

LO SCRITTORE INTERNAZIONALE A PARMA PER RACCONTARE LE MIGRAZIONI TRA HUMOR, STORIA E CONFINI INVISIBILI

Frontiere ed emigrazione, storia e racconto che da particolare si fa corale. Sono i cardini del ‘viaggio’ condotto il 9 ottobre alla libreria Diari di Bordo – Libri Per Viaggiare, scenario di un incontro coinvolgente ed emozionante con il pluripremiato scrittore albanese Gazmed Kapllani. In Italia per il ritiro del XII premio Letterature dal Fronte e la partecipazione all’IndipendenteMente Festival a Belgioioso, lo scrittore ha fatto tappa a Parma per presentare il suo libro ‘Breve viaggio di frontiera‘. L’incontro è stato mediato dai giovani dell’Associazione ‘Scanderbeg Parma’ Darina Zeqiri e Ilir Gjika e ha coinvolto la direttrice editoriale della Del Vecchio, casa editrice indipendente, attenta selezionatrice di opere legate dal comune denominatore dell’analisi sociale e promotrice di un’idea di letteratura che non serva per evadere, quanto ad invadere la società.

Gazmed Kapllani

Gazmed Kapllani

GAZMED KAPLLANI – Scrittore, giornalista e poeta albanese, Kapllani ha conseguito il suo dottorato all’Università Panteion di Atene, è stato editorialista del quotidiano ateniese “Ta Nea” e Fellow del Radcliffe Institute dell’Università di Harvard. Vive a Boston e viaggia tra Europa e Stati Uniti, dove insegna Letteratura e Storia Europea. A 24 anni, nel 1991, con il crollo dell’esperienza comunista concretizzatasi in uno dei regimi totalitari più duri, capeggiato da Enver Hoxha e durato mezzo secolo, lasciò ogni cosa e raggiunse la Grecia a piedi. Come lui, molte migliaia di migranti in quegli anni decisero di dirigersi verso l’Italia e la Grecia nella speranza di migliorare le proprie condizioni di vita in paesi che “sembravano chiamarci e dire: venite qua fratelli” e che invece una volta arrivati nel mondo libero “ci hanno detto: ah, ci avete preso seriamente? Tornate indietro”. Queste le parole dello scrittore, intrise di malinconica ironia. Tradotto dal greco in inglese, francese, italiano, danese e polacco, il suo libro, Breve viaggio di frontiera, ha ricevuto premi e recensioni in giornali e riviste europei come The Independent e The Guardian.

Gazmed Kapllani e Darina Zeqiri

Gazmed Kapllani e Darina Zeqiri

DENTRO E FUORI, LA NECESSITÀ DELLA STORIA DI PASSARE PER IL SINGOLO – ‘Breve viaggio di frontiera’ è un libro in cui si alternano in maniera dialogica parti diaristiche e di analisi sociologica che danno due visioni distinte ma complementari dello stesso fenomeno, tanto specifico della fuga albanese post totalitaria, quanto narrato universale delle migrazioni umane. Come ha esordito Kapllani: “È un libro scritto per ognuno di noi, perchè quello che fa la letteratura è esplorare l’avventura dell’esistenza umana e l’immigrazione, in quanto parte di questa, è universale perchè non c’è Storia senza l’immigrazione“. Tre aspetti chiave si intersecano nel libro: la vita sotto il totalitarismo che annulla qualsiasi distinzione tra privato e pubblico, l’incontro tra l’est e l’ovest nello specifico del contesto balcanico e la storia del personaggio in fuga, che diventa immigrato. Lo sguardo dell’autore opera costantemente uno slittamento dal generale al particolare transitando dentro e fuori il narrato, in linea con la concezione dell’autore di esplorazione della Storia, che è anche ‘correzione’: la Storia è fatta di numeri ed eventi cruciali, ma è il racconto personale che ne sviscera i risvolti più reali. “Sapendo che 6 milioni di ebrei sono morti nei campi di concentramento, senza un racconto personale come quello di Primo Levi, l’Olocausto rimane una storia di numeri. Allo stesso modo dire che 2 milioni di immigrati sono arrivati, senza trattare la loro storia personale, non significa niente, rimane solo statistica: per questo la letteratura è fondamentale, ci fa comprendere la complessità degli esseri umani e ci ricorda che sono i dettagli a fare la Storia.”

HUMOR E SARCASMO, I REGIMI NON RIDONO MAI – Humor e sarcasmo sono le armi dell’autore per sdrammatizzare. La felicità imposta all’interno dei confini albanesi, il paese più isolato dal fenomeno della cortina di ferro, era l’unico obbligo del bravo albanese; ogni altro sentimento o leggera critica non erano assolutamente ammessi. E per Kapllani quello che era stato l’obbligo della felicità si trasforma in arma tagliente e scarnificante, che fa emergere l’assurdità della tirannia e confeziona descrizioni asciutte e accurate che lasciano l’amaro in bocca. “Se potessi descriverlo lo humor è la nave, ma il carico di questa nave è tragico – spiega lo scrittore -. Lo humor è una vendetta contro regimi che non ne avevano: il Fascismo, il Nazismo il Bolscevismo erano incarnati da facce molto serie, che non ridevano mai. E così lo humor è sovversivo come lo era per noi a quei tempi, negli aneddoti che ci raccontavamo per sapere che noi resistevamo, non soltanto al nostro, ma a tutti i regimi”. E il riso diventa uno stratagemma anche per il migrante, per chi rischia tutto e ride in faccia alla morte; citando dal testo: “Coloro che attraversano i confini illegalmente assumono alcune strane abitudini, tra cui la risata facile. Spesso viene loro una voglia inspiegabile di scherzare e di divertirsi, come se recitassero una commedia brillante e non fossero costantemente minacciati dal pericolo e dalla morte. Ma forse sono proprio il pericolo e la morte a suscitare il riso. Ridere è un modo per esorcizzare la morte, per stornarla, per scacciarne il pensiero. Di fatto il sorriso di coloro che attraversano i confini è un travestimento impeccabile. Ridendo è come se dicessero alla morte: ‘Noi non siamo pane per i tuoi denti, vedi che ridiamo di te, non ti temiamo. Noi amiamo la vita, noi vogliamo vivere. vogliamo sopravvivere, gira al largo, non siamo pane per i tuoi denti’.”

Gazmed Kapllani e Ilir Gjika

Gazmed Kapllani e Ilir Gjika

QUESTIONE DI LINGUA, PER UN MONDO PIÙ INTERNAZIONALE – Superata la barriera fisica del confine, il primo ostacolo è il fattore linguistico. “I migranti sono esseri circondati da confini, i confini convenzionali, geografici, che dividono un paese dall’altro. Ma di confini ce ne sono moltissimi altri, invisibili. Il primo di questi confini è la lingua. […] Perchè la conoscenza della lingua offre l’illusione di avercela fatta. Finalmente – pensi in preda all’entusiasmo – e per la prima volta hai la sensazione che ti rivolgano un complimento, ma forse non è così. […] Col passare dei giorni, delle settimane, dei mesi e degli anni ti accorgi che conoscere la lingua non basta. Gli altri non si fanno sfuggire occasione per ricordarti che sei uno straniero. Nei telegiornali, all’ufficio immigrazione, quando vuoi prendere un appartamento in affitto o leggi e ti dicono che sono esclusi gli stranieri e gli animali domestici. Se poi il colore della pelle è diverso ecco un elemento che ti fa ricordare la tua provenienza, soprattutto quando ti insultano o ti guardano con quello sguardo dell’uomo bianco che soltanto un nero è in grado di decifrare.” L’importanza dell’apprendere la lingua per integrarsi nella nuova società è fondamentale, ma a volte va oltre la semplice utilità quotidiana. Nella nuova lingua si possono esprimere idee, eventi e sentimenti che non sempre sono affrontabili nella propria lingua d’origine, per la drammaticità del carico emotivo. “Scrivere in una lingua che non è la tua lingua materna è una grande sfida quando scrivi di cose drammatiche. La lingua straniera non ha il carico emotivo della lingua materna e qualche volta ti aiuta a creare una distanza, a diventare attore e spettatore del tuo vissuto”, ha affermato Kapllani. E la sua speranza per il futuro dell’Europa è proprio nello scambio linguistico tra le nazioni, che è necessariamente scambio culturale. “Io spero che quella nuova sarà una generazione poliglotta, in grado di parlare 5 o 6 lingue, perchè esse non sono un fatto meccanico, ma incarnano valori di multiculturalità assolutamente fondamentali nel mondo contemporaneo.”

LA SINDROME DELLE FRONTIERE – “Le frontiere si costruiscono per tenere fuori i barbari, per tenere fuori gli altri. Il mio personaggio ha lasciato l’Albania sotto lo slogan di Reagan ‘Far crollare questo muro’ e poi, arrivato dall’altra parte, in America, ha sentito dire ‘Costruire questo muro’.”Kapllani ha visto molte frontiere di generi e forme diverse, tanto da aver sviluppato quella che ha definito ‘sindrome delle frontiere’. Si tratta dell’istinto di oltrepassarla, dettata proprio dal fatto che essa restituisce uno “sguardo ostile e sospettoso”, un’aura di mistero e timore, che solo chi ha avuto tra le mani il passaporto ‘non buono’ per passare – o non ce l’ha avuto affatto – può intendere. “Coloro che non hanno mai sentito la smania di oltrepassarne una o che non se ne sono mai sentiti respinti, faranno fatica a capire di che cosa sto parlando”, scrive infatti. I confini sono quelli degli stati, quelli tracciati più o meno arbitrariamente sulle mappe geografiche, ma le frontiere non sono così facilmente identificabili, sono quegli sfuggenti scivolamenti culturali tra popolazioni che hanno vissuto in condivisione e reciproca influenza molto più tempo di quanto ne abbiano passato ad odiarsi e dove sono fiorite le più fruttifere mescolanze etniche. Sono luoghi dove gli eventi accadono in modo più evidente perchè essenziali, e come ha ricordato Kapllani, citando lo storico francese Pierre Vilar: “La storia dell’umanità si osserva meglio dalle frontiere, perchè vedi cose che al centro sono soppresse e non si vedono, e il mondo, il vero mondo, comincia dalle frontiere.”

 

di Duna Viezzoli

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