Quei preti ribelli che chiedono di pregare nella propria lingua

UN PRINCIPIO DI IDENTITA': I 40 ANNI DI BATTAGLIA DI GLESIE FURLANE

locandina

Da 40 anni Glesie Furlane, un gruppo di preti e fedeli di diversi paesi friulani, porta avanti la battaglia per avere l’autorizzazione a celebrare la liturgia in friulano – considerato a tutti gli effetti la loro lingua ma che a livello nazionale è stato riconosciuto lingua minoritaria solo con la legge 482 del 1999 – sostenendo che, per poter conciliare in maniera armonica la fede con la propria identità culturale, sia necessario recitare la messa nella loro lingua.
Una lunga lotta che trova espressione dal docu-film ‘Missus‘, proiettato mercoledì 11 all’Università di Parma, durante una lezione del corso di Fondamenti di Linguistica Generale tenuto dal professor Davide Astori.
Un discorso che non si ferma alla religione ma si sposta sul piano etnico, come afferma il friulano Massimo Garlatti-Costa, il regista: “I problemi di ogni minoranza linguistica sono uguali. Continuare a parlare nella propria lingua è necessario per non perdere un pezzo della propria storia“.

Prete Roberto Bertossi e il regista Massimo Garlatti-Costa durante il dibattito seguito alla proiezione del docu-film

TRADUZIONE E TRADIZIONE – Glesie Furlane è nato sotto lo stimolo del Concilio Vaticano II (1962-1965), che ha permesso le celebrazioni liturgiche in “lingua parlata” e non più in latino. Pochi anni dopo il Concilio, il 28 Agosto del 1974, il gruppo domandò alla Chiesa Cattolica di poter celebrare la liturgia in friulano, sentendo il bisogno di mantenere vive storia e cultura locali ma dal Vaticano il documento per il sì non è mai arrivato.
Nodo della discordia è la traduzione del Messale, il libro liturgico che contiene i testi delle letture e delle preghiere per la celebrazione della messa con le relative prescrizioni rituali. “Il Messale ha una ‘editio typica’ alla quale tutte le traduzioni devono conformarsi. La traduzione del Messale italiano, quello che viene usato normalmente nelle messe, non è secondo l’ ‘editio typica’ e la Congregazione Vaticana del Culto aspetta che la CEI – la Conferenza Episcopale Italiana – vi si attenga per la versione del Messale italiano. Il Messale friulano è stato tradotto secondo il regolamento, quindi la Congregazione aveva già dato la sua approvazione, ma non poteva bypassare la CEI, la quale, non avendo l’autorizzazione per il proprio, vuoi che vada a concederla al Messale in una lingua minoritaria?” afferma Pre Roberto Bertossi, uno dei sacerdoti protagonisti, intervistato al termine della proiezione.

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LINGUA E IDENTITÀ – “La lingua di un popolo ne determina l’identità. Un popolo che perde la propria identità non è più un popolo“, così si apre il film, interamente in friulano, con sottotitoli in italiano.
L’obiettivo di Glesie Furlane è infatti quello di conoscere, studiare, promuovere e valorizzare tutto ciò che riguarda la dimensione religiosa dell’identità friulana. Oggi, in un momento in cui si tende all’omologazione linguistica e culturale, potrebbe sembrare una lotta superflua o perfino rivoluzionaria ma negli anni ’70, quando è iniziata, il friulano era ancora parte della quotidianità e veniva valorizzato anche da movimenti di salvaguardia. “Al giorno d’oggi, quando tutti cercano di unificarsi con la cultura anglosassone, una battaglia di questo tipo è decisamente controcorrente – afferma Garlatti-Costa – ma a quell’epoca perfino in seminario era proibito parlare in friulano.”
“Io ho sempre disubbidito – afferma uno dei sacerdoti intervistati nel documentario – perché sentivo che la lingua che parlo, la lingua di mio padre, è qualcosa di troppo fondamentale, troppo radicato in me”. “È importante pregare nella propria lingua – asserisce una suora nel film – come si parla a casa con i propri familiari. Il Signore è mio parente e quindi voglio pregare in friulano“.
Tali testimonianze implicano un radicamento che la macchina da presa restituisce attraverso le immagini: nel film, alle parole dei protagonisti si alternano riprese di celebrazioni e di esterni del paesaggio carnico, tra montagne, boschi, laghi e paesi che sottolineano ulteriormente il forte legame con il territorio. Le diverse sequenze di interviste e vedute sono intervallate da canti sacri, anch’essi tradotti da Glesie Furlane per la volontà di avvicinare ulteriormente i fedeli al rito. Il basso clero, infatti, ha avuto un ruolo fondamentale nel mantenere viva la lingua perché “è sempre stato vicino alla gente”, la quale non ha mai avuto una concezione elevata della propria lingua: è dal Friuli che molti dominatori sono entrati in Italia imponendo ciascuno la propria parlata come lingua colta. “La lingua friulana non è minoritaria – ha affermato prete Roberto Bertossi – bensì nel corso del tempo è stata minorizzata“.

di Duna Viezzoli e Lara Boreri

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