Dottorato ‘inutile’, “così sono finita a insegnare italiano in Corea”

IL LIBRO DELLA PROF MARIANI, OGGI DOCENTE ALL'UNIVERSITA' DI CHICAGO

Dalla Corea del SudLa Libreria Diari di Bordo, situata in un’angusta stradina del centro storico di Parma, organizza sempre presentazioni che raccontano storie a loro modo uniche. Lunedì 16, a misurarsi con l’attento pubblico di Borgo Santa Brigida, è stata Maria Anna Mariani, titolare della cattedra di Letteratura italiana all’Università di Chicago ed ex docente di italiano alla Hankuk University for Foreign Studies, estremissimo Oriente. Proprio di quest’esperienza tratta il suo nuovo libro edito da Exorma: ‘Dalla Corea del Sud. Titolo abbastanza scontato per una storia che non lo è affatto.

“Quando ho finito il dottorato in Teoria della Letteratura, a Siena nel 2010, ho capito che in Italia con questo titolo non ci avrei fatto nulla – ammette la giovane ricercatrice – così iniziai a valutare alcune offerte di lavoro all’estero e la Corea soddisfaceva decisamente la mia voglia di allontanarmi.” Nel giro di un mese e mezzo l’autrice si prepara a cambiare repentinamente la propria vita, con le prime difficoltà che iniziano già a partire dai vaccini obbligatori per l’accesso in Corea del Sud, tra cui quello contro la terribile encefalite giapponese: l’unica versione disponibile in Italia si trova però a Roma. Il viaggio inizia ancor prima di partire.

“Finisco in uno studentato a due ore e mezza di autobus da Seul: avevo l’impressione di essere in un mondo rimpicciolito poiché c’era almeno un rappresentante per ogni Nazione. Ognuno di noi diventava uno stereotipo del proprio Paese.” Certamente il primo impatto non è stato dei migliori – lascia trapelare la giovane professoressa – anche perché “la vita nello studentato aumentava lo spaesamento nei confronti della società esterna. Non ci rendevamo conto di quello che c’era fuori dalla nostra abitazione: venivamo mal percepiti non tanto per l’essere stranieri, ma per il non essere coreani.” Un primo scoglio più che dalla lingua era rappresentato dallo schema mentale da adottare in Corea, vale a dire la gestualità, il timbro di voce e i sei diversi registri linguisti che cambiano a seconda dell’importanza della persona che si ha di fronte. La Corea è una Nazione plasmata dai valori tradizionali del confucianesimo, il rispetto per le persone più anziane è considerata la base dell’etica coreana, in questo senso anche chiedere l’età ad una persona, usando le parole sbagliate, rappresentava una grave mancanza di rispetto. “Insegnavo italiano per diciassette ore alla settimana agli studenti coreani, le differenze erano molto profonde soprattutto dal punto di vista culturale. Per esempio un giorno, quando stavo insegnando l’imperfetto, una ragazza, abbastanza spazientita da tutti i tempi verbali che noi utilizziamo per indicare il passato, mi ha detto: Basta! Il passato è passato!”

Mariani alla presentazione del libro "Dalla Corea del Sud"Il libro nasce dalla voglia di raccontare quest’esperienza ai suoi amici. “Mandavo delle mail a persone care e cercavo di utilizzare anche diverse metafore, dato che in classe i miei studenti non ne utilizzavano.”
Mail che non raccontano solo l’esperienza dell’autrice ma un nuovo mondo: una Nazione che vive di tecnologie innovative ma anche di una forte componente tradizionale, rappresentata per esempio dalle sciamane che nei piccoli villaggi possono, secondo la popolazione, entrare in contatto con i morti. Una realtà radicalmente diversa da quella che si può trovare in qualsiasi altra parte del globo. Camminare per le strade di Seul permette di immergersi in un universo dove passato e futuro plasmano il presente: si possono osservare i modernissimi grattacieli della Samsung e al contempo udire il rumore dei gong dei templi che scandisce gli inchini dei monaci. La stessa autrice ricorda di aver partecipato a questa cerimonia: “Ho passato alcuni giorni in un tempio buddhista poco fuori la capitale; mi ricordo che mi sono svegliata alle quattro di mattina insieme ai monaci, ho fatto centootto genuflessioni mentre l’incenso mi faceva starnutire“.

Viceversa il tessuto sociale non è così inclusivo, e proprio questo fattore trasmette la sensazione di essere “straniero in terra straniera”, la medesima sensazione che ha provato la professoressa di italiano: “Dopo quattro anni e mezzo mi sono trovata spaesata. Non sopportavo l’idea di uscire il venerdì sera con i miei colleghi e di ascoltare solo lamentele, poiché la società trasmette ai coreani un grande senso del dovere: hanno il diritto di lamentarsi del proprio lavoro solo alla sera, quando escono per bere. Non mi sentivo più a mio agio; inoltre, essendo il mio contratto soggetto a rinnovo di anno in anno, non potevo neanche fare progetti a lungo termine.”
Il ritorno in Italia, però, non era la prospettiva più allettante poiché non c’era possibilità di trovare un lavoro abbastanza soddisfacente, quindi era necessario trovare un nuovo altrove, un nuovo luogo dove trasferirsi, “anche la scelta di Chicago è stata assolutamente casuale, volevo abbandonare la Corea, anche se a dire la verità non riuscirò mai ad allontanarmi: utilizzo spesso le lavanderie coreane e ho molto piacere di parlare con i gestori la loro lingua.”

Rifarei quest’esperienza e la consiglio a tutti perché è un ottimo modo per crescere e per incontrare nuove culture – ammette l’autrice a margine dell’incontro – poiché quando si viaggia è fondamentale essere molto curiosi.”
Ed è proprio questo uno dei motivi per leggere il libro della prof. Mariani: poter rivivere la sua interessante esperienza di vita e catturare tutte l’emozioni e le sensazioni, non tanto come leggendo un diario ma come se fossimo il suo fido compagno di viaggio.

Quale consiglio dare però ai giovani che vogliono provare a fare un’esperienza di studio o di vita in Corea? “Non scoraggiarsi all’inizio perché è un Paese in cui integrarsi sembra possibile solo assimilandosi, e questo non è facile. Ma è anche un luogo tutto da scoprire: una meraviglia continua“.

di Mattia Fossati

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