Dai banchi alla cattedra: i primi (disorientati) giorni da insegnante

LE STORIE DI CHI E' PASSATO 'DALL'ALTRA PARTE DELLA BARRICATA'

Insegnamento.2 “Mi sono svegliata all’alba per l’agitazione, è stata una giornata impegnativa perché non sapevo cosa fare e dove andare”. Silvia, 27 anni e una laurea in Lettere moderne all’Università di Parma, a proposito del suo primo giorno di insegnamento. Un racconto di come quell’iniziale sensazione di agitazione e disorientamento abbia lasciato spazio a un’ottima accoglienza da parte di colleghi e alunni. Se c’è un comune denominatore tra i nuovi insegnanti, passati da un anno all’altro o da un’estate all’altra, dai banchi alla cattedra, è proprio la difficoltà del primo giorno di lavoro. Vincenzo, 26 anni e una laurea in Matematica, al suo primo giorno di supplenza si sedette di fronte a una ventina di alunni di un liceo scientifico: “Dopo varie pratiche burocratiche, il vicepreside mi accompagnò in aula e non avevo la più pallida idea di cosa dovessi fare”. Andiamo bene.

“Gli studi non preparano a questa realtà” sostiene Silvia; questo perché il percorso accademico si basa sugli aspetti teorici ma non prevede elementi pratici riguardanti l’insegnamento. “Si dovrebbe pensare a percorsi di tirocinio nelle classi; ci sono aspetti che si apprendono direttamente tra i banchi e non sui libri”, continua Vincenzo. L’insegnante, come tante altre professioni, impara il proprio mestiere prevalentemente con l’esperienza; solo dopo avere svolto un processo di formazione direttamente sul campo potrà definirsi, ancora prima che un docente, un educatore. “Penso che il problema – continua – sia soprattutto la mancanza di corsi di laurea orientati davvero all’insegnamento. Io non avevo idea di cosa significasse avere un alunno DSA o BSE, ho dovuto imparare varie nozioni sul campo e penso sia un problema a cui fare fronte”. Effettivamente, siamo davanti a un paradosso: il mondo accademico fatto di insegnanti non ha previsto un corso di studi che prepari davvero all’insegnamento, ma si trova ancora molto distante dalla realtà, non offrendo una solida base teorica e pratica da cui partire. Anche perché la vita dell’insegnante non finisce con l’ultima campanella, tra correzione di compiti e preparazione delle lezioni successive: “Non pensavo fosse così difficile insegnare, non avevo idea della mole di lavoro e di impegno che comporta questa professione”. Insegnamento 3

Insegnante giovane quasi come gli studenti: su due piedi potrebbe sembrare semplice il rapporto con i ragazzi adolescenti ma Silvia si sofferma su un aspetto fondamentale che qualsiasi apprendista insegnante deve ricordare: “Non ho detto ai ragazzi che era la mia prima esperienza e mi sono mostrata autoritaria, facendomi subito rispettare”.  Sono molto importanti i comportamenti utilizzati per le modalità di gestione della classe, perché definiranno la ‘linea guida’ di tutte le lezioni successive. “La cosa più importante di tutto il primo periodo – continua Silvia – è instaurare un rapporto con i ragazzi, altrimenti sarà difficile collaborare bene con la classe”. Silvia e Vincenzo concordano sul definire il rapporto con la classe come “l’aspetto più gratificante di questo lavoro. Sorrisi, piccoli regali e gesti affettuosi sono – sostiene Silvia – elementi indispensabili per la mia vita professionale, mi ripagano a livello emozionale di tutte le fatiche”. Un buon rapporto con la classe contribuisce a migliorare non solo il profilo professionale ma anche l’autostima: per Vincenzo “la soddisfazione nel percepire che qualcosa della lezione è rimasto all’interno dei ragazzi è ineguagliabile”. Nessuna soddisfazione migliore del notare i propri alunni seguire interessati la lezione. E non si tratta di una situazione scontata.

Servono la passione e l’altruismo.  Senza il desiderio di donare sapere ai ragazzi l’insegnamento sarà solamente una trasmissione passiva di contenuti senza un risultato soddisfacente. Non va bene, lo dice anche Vincenzo: “Affrontate l’esperienza dell’insegnamento se in voi è presente una forte passione per la comunicazione attiva del sapere. Le difficoltà? Esperienze comuni che contribuiscono alla crescita professionale”. Infine, Silvia: “Insegnare non vuol dire trasmettere contenuti, ma comunicare qualcosa ai ragazzi che possa servirgli in futuro e aiutarli a crescere”.

 

di Andrea Ferri

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