Di Maio, Renzi e la retromarcia: cosa ho capito dall’alto dei miei 20 anni

VE LA RICORDATE LA CREDIBILITA' DELLA POLITICA?

Dibattito Renzi-Di Maio

‘Much ado about nothing’ titolava una nota commedia di William Shakespeare. E di ‘molto rumore’ ne hanno fatto recentemente anche Luigi Di Maio e Matteo Renzi, sfidante ed ex sfidato.
I risultati-terremoto delle elezioni siciliane hanno dato uno schiaffo al leader Pd, evidentemente sufficiente al candidato premier del Movimento 5 stelle per annullare l’atteso ‘big match’ e forse anche il nostro riferimento a un’opera del celebre drammaturgo di Stratford-upon-Avon. Magari siamo solo davanti a un più comune caso di teatrino dell’assurdo all’italiana.

In una ‘normale’ democrazia è una cosa del tutto pacifica che i leader dei principali schieramenti si confrontino in un dibattito pubblico, un fatto talmente naturale che non viene neanche percepito come un evento: fa parte delle cosiddette regole del gioco politico. Addirittura negli Stati Uniti esiste un’apposita commissione che fissa norme adamantine per gli incontri pre-elettorali televisivi: niente appunti scritti, limiti di tempo, solo domande retoriche all’interlocutore, conduttore imparziale e soprattutto nessuna scusa ridicola dell’ultimo minuto credibile quanto uno studente che dice al professore che il cane gli ha mangiato i compiti.
Rispetto al resto del mondo ‘civilizzato’, in Italia siamo stati abituati al confronto in un modo del tutto singolare: interviste senza domande oppure dibattiti pubblici regolati dagli stessi candidati: i due ‘duelli’ tra Prodi-Berlusconi della campagna elettorale del 2006 dove i giornalisti preposti a fare le domande erano stati scelti dagli stessi sfidanti.
In questo senso, il dibattito Di Maio – Renzi avrebbe certamente potuto rappresentare una svolta nel campo della comunicazione politica: per la prima volta dopo moltissimo tempo avremmo potuto assistere ad una ‘sfida’ in campo neutro e in condizione di perfetta parità tra i due leader più influenti degli tre ultimi anni. Annullato. O meglio rinviato di qualche mese: sicuramente quando entreremo nel vivo della prossima campagna elettorale i due pugili ‘pesi piuma’ (non me ne vogliano i due sfidanti ma il loro spessore è certamente inferiore rispetto al duo Zaccagnini-Berlinguer) avranno tutto l’interesse ad affrontarsi in un confronto pubblico.

Per il momento, la mossa di tafazzismo puro del candidato premier dei 5 Stelle ha permesso ancora una volta ai suoi avversari politici di giocare di rimessa e quindi di distogliere l’attenzione dalla batosta incassata dal centrosinistra alle elezioni siciliane per spostarla sul mancato duello. Insomma, un errore.

Doppio: la spregiudicatezza del giovane leader grillino nel ritirarsi da una sfida da lui stesso lanciata, denota agli occhi dei più un lampante problema di credibilità: possibile affidare le redini del Paese a persone che non sono in grado di rispettare neanche una promessa fatta a loro stessi? Se entrassimo in un ristorante, ordinassimo un filetto e poi mentre il cuoco ce lo stesse preparando ce ne andassimo, che figura faremmo?
Può sembrare una banalità ma è proprio dai piccoli gesti, come mantenere la parola data, che si distinguono gli uomini di Stato dalle ‘prime donne’: se Di Maio vuole ambire a diventare il futuro presidente del Consiglio, forse dovrebbe iniziare a prestare più attenzione a certe regole che si imparano a scuola, non sui banchi ma durante la ricreazione.

Anche perché di ‘prime donne’ ce ne sono già abbastanza, Renzi compreso: il selfie-made man fiorentino ci ha guadagnato campo libero e indisturbato sulle frequenze tv, dove può ribadire che il Movimento ideato da Beppe Grillo non è democratico perché non accetta il confronto. Ha le prove dalla sua.
Presentarsi al talk show Di Martedì senza l’avversario è passerella che può andare bene per Amici di Maria de Filippi, ma per guidare un Paese possiamo e dobbiamo pretendere qualcosina in più e non drammi twitter tipo ‘Via col vento’.
Da segnalare in questo senso la reazione di Renzi in seguito all’annullamento della sfida: “
Mi spiace. Da padre prima che da politicoMi spiace per i miei figli pensare che gli italiani rischino di essere guidati da un leader che è senza coraggio.
Un leader che non ha il coraggio di mantenere la parola. Tipo quello che un anno fa disse: “Se perdo il referendum, non solo vado a casa, ma smetto di fare politica”.

di Mattia Fossati

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