Difendere l’istruzione umanistica è davvero una buona battaglia?

QUALE FUTURO PER UNIVERSITA' CHE ADOTTANO STRATEGIE DI MARKETING PER ATTRARRE ISCRITTI (E QUINDI FINANZIAMENTI)?

 WIN_20171110_17_17_44_Pro“Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede”. Scriveva queste parole San Paolo, circa 2000 anni fa, poco prima di morire da martire cristiano, tirando le somme sul risultato della sua opera di evangelizzazione. Allo spirito di queste parole si richiama il titolo del libro ‘E se non fosse la buona battaglia? Sul futuro dell’istruzione umanistica’, di Claudio Giunta, professore di Letteratura presso l’Università di Trento, giornalista per il Sole 24 Ore, scrittore, saggista e storico della letteratura italiana. Il suo libro è stato presentato venerdì 10 settembre, nell’ambito del ciclo di incontri la ‘Cultura batte il tempo’, all’auditorium Voltoni del Guazzatoio del complesso monumentale della Pilotta. All’evento era presente Michele Guerra, assessore alla Cultura e alle politiche giovanili del Comune di Parma, che nell’introdurre l’incontro ha presentato gli ospiti Diego Saglia, docente accademico di Letteratura inglese e Aluisi Tosolini, dirigente scolastico del Liceo Attilio Bertolucci di Parma. Un dialogo a più voci, un confronto sui temi toccati dal libro di Claudio Giunta si rivela l’occasione adatta per mettere a confronto due universi differenti, il liceo e l’università, sul futuro dell’istruzione umanistica.

L’evento è stato seguito con attenzione da una platea partecipe composta da insegnanti, professori universitari, ricercatori ma anche da qualche professionista proveniente da facoltà umanistiche, tra giornalisti ed editori locali che,  mostrando di considerare importante il ruolo della formazione umanistica nel mondo del lavoro, sono intervenuti all’incontro esprimendo ai relatori le proprie curiosità sul tema.
“Voi siete un pubblico simpatico, ma ieri, senza far nomi, mi è capitato di parlare ad un pubblico diverso, un’aula di ragazzi di un istituto tecnico. E per salvare la conversazione mi è toccato intrattenerli parlando di serie televisive e rap”. Una conversazione leggera, ‘gustosa’, a tratti divertente, che, traendo spunto dalle pagine del libro presentato, per ammissione dello stesso autore, “evita di proporre soluzioni e non è in grado di dare risposte” al problema della disoccupazione sempre più in aumento tra le file dei laureati in materie umanistiche. Un problema strutturale che nel nostro Paese è sempre stato affrontato ideologicamente con “fuffa e retorica” dagli ambienti accademici  arroccati nel sostenere tenacemente la tesi secondo la quale il valore della formazione umanistica sia dato essenzialmente dalla capacità di educare coscienze e nel formare le personalità dei giovani. Una visione delle cose superata e ristretta che rifiuta di guardare in faccia la realtà, cozzando con l’inevitabile evidenza di un mercato del lavoro che richiede ai candidati  sempre più competenze  scientifiche, informatiche e specialistiche. Nel suo libro, pur scontrandosi con le critiche provenienti dal mondo accademico, Claudio Giunta sente di poter esprimere la sua idea, vantando un’esperienza ben consolidata nel mondo della formazione umanistica, primariamente come professore di letteratura dell’università di Trento e trasversalmente nelle scuole superiori,  avendo redatto un manuale di letteratura pensato appositamente per l’offerta formativa  degli istituti tecnici superiori.

WIN_20171110_17_42_36_ProSapete perché fanno leggere Manzoni? Perché nell’800 si voleva inserire un autore contemporaneo nella formazione dei giovani“. Secondo Giunta per innovare il modo in cui si eroga la formazione umanistica bisogna “cominciare ad accettare l’idea che sia necessario perdere qualcosa per aggiungere dell’altro. “Si lamentano dei giovani che non sanno scrivere, ma che senso ha oggi studiare Dante, Boccaccio, Petrarca, personaggi illustri della letteratura italiana sì, ma così distanti dalla nostra lingua moderna? Forse per imparare a scrivere bene sarebbe più utile concentrarsi sulla lettura di saggisti italiani contemporanei come Pasolini, Sascia, Morante“. Dal dialogo con Claudio Giunta emerge con urgenza la necessità di sbarazzarsi di una vecchia retorica secondo la quale gli studenti debbano essere formati  con gli stessi contenuti,  seguendo le stesse modalità con le quali venivano formati i loro insegnanti. “Se troviamo ribrezzo nel pensare che uno studente non abbia mai letto il 5 maggio, dobbiamo cominciare ad accettare il fatto che i giovani di questa generazione avranno bisogno di conoscere cose diverse da quelle che abbiamo conosciuto noi, e che il prossimo futuro sarà fatto da persone diverse da ciò che siamo noi, essendo formate in modo diverso da noi”.  Claudio Giunta si mostra critico anche nei confronti del sistema universitario, caratterizzato da una burocratizzazione eccessiva fatta di controlli superflui, che il più delle volte sottrae tempo prezioso ai docenti per l’insegnamento e la ricerca,  e un sistema di finanziamenti pubblici che, basandosi sul numero degli iscritti, obbliga le università ad adottare strategie di marketing  volte ad ampliare la loro offerta formativa, affidandosi più sull’appeal che le facoltà esercitano sugli iscritti rispetto alle reali necessità di competenze richieste dal territorio.

Alla domanda di Aluisi Tosolini, “Ha perso la Fede?”, Claudio Giunta risponde dicendo di “aver mantenuto la fede nella bontà delle cose che insegna”. E condivide con il pubblico un sentito aneddoto relativo alla sua infanzia: “La cultura umanistica mi ha salvato la vita. Mia madre mi lasciava da solo quando ero piccolo e di fronte casa avevo una biblioteca. Andavo lì e passavo le giornate. Sono stato allevato dai libri, e questa cosa mi ha salvato”. Se da un lato è palpabile l’amore che prova per le cose che ha studiato, dall’altro Giunta non si esime dal constatare gli effetti nefasti che, secondo la sua visione,  la  diffusione della cultura umanistica ha avuto nel nostro Paese producendo una nazione che “ha il più basso numero di lettori in Europa, i cui giornali sono pessimi in termini di qualità e il cui dibattito pubblico è quello che produce le argomentazioni più becere di fronte ad argomenti di interesse nazionale”. In poche parole, citando Gassman, “Qui non cresce nulla, perché l’Italia è tutta seminata da retorica”.
Al termine dell’incontro alla domanda di un genitore che chiede “Permetterebbe a suo figlio di iscriversi ad una facoltà umanistica?” Giunta  risponde: “Gli chiederei: Sei sicuro? E glielo chiederei ancora. E ancora”.

di Matteo Cultrera

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