Il “radical design” (e oltre) di Ettore Sottsass in mostra allo Csac

NEL CENTENARIO DELLA NASCITA, VISIBILI AL PUBBLICO 700 PEZZI DEL FONDO DONATO ALL'UNIPR TRA DISEGNI, BOZZETTI E SCULTURE

Casa SottsassArchitetto e designer, non amava essere definito un artista. “Mi arrabbio quando mi dicono che sono un artista; cioè, non mi arrabbio ma sono fondamentalmente un architetto”. (Maestri del design; Bruno Mondadori, 2005)

Ettore Sottsass (1917-2007) è noto ai più per aver progettato la celebre macchina da scrivere Valentine nel 1968 per Olivetti e la libreria Carlton nel 1981 per il gruppo Memphis. Due pezzi di indiscusso valore, ma sarebbe riduttivo parlare di lui solo in questi termini. La sua carriera fu lunga e molto varia, punteggiata di premi Compasso d’oro, il prestigioso riconoscimento internazionale attribuito nell’ambito del design industriale del quale vinse ben tre edizioni. Una produzione variegata la sua, che spazia anche nella grafica, nella fotografia e che, nel centenario della sua nascita, vede Sottsass protagonista della mostra inaugurata il 18 novembre allo Csac, Centro Studi e Archivio della Comunicazione dell’Università di Parma.

TUTTI I VOLTI DI SOTTSASS – Figlio d’arte, inizialmente Sottsass collabora con il padre, per poi fondare il suo primo studio di design. A Milano entra a far parte del Mac (movimento arte concreta) e partecipa alla prima mostra collettiva del gruppo. Nel 1957 diventa direttore artistico di Poltronova, importante azienda toscana, per la quale ha progettato molti pezzi iconici del design italiano, tra cui lo specchio ‘Ultrafragola’ nel 1970. L’anno successivo comincia una proficua e famosissima collaborazione con Olivetti. Il suo inedito approccio alla progettazione del sistema Elea (qualcosa che oggi chiameremmo computer) prevede che l’oggetto sia pensato per l’inserimento nell’ambiente dello spazio abitabile e gli vale il premio Compasso d’Oro nel 1959. Esponente di quello che lui stesso chiamaradical design’, una progettazione usata cioè come strumento di critica sociale, nel 1979 si unisce al gruppo Alchimia per poi fondare il gruppo Memphis nel 1981. In questo periodo disegna alcuni dei suoi oggetti più importanti ed eclettici. La già citata ‘Carlton’ somiglia più a una scultura che a un mobile. Senza parlare della lampada ‘Ashoka’ o della serie dei vasi in vetro. Alcuni oggetti sono difficili da ricondurre alla loro funzione, soprattutto per i non esperti, ma è proprio questa l’unicità dei suoi lavori.

Abbazia

La chiesa dell’Abbazia di Valserena che ospita l’esposizione

L’ESPOSIZIONE – Dal 2015, quando lo Csac ha aperto al pubblico nella sua funzione museale, lo ha fatto con una intenzione del tutto particolare: non far conoscere un autore attr

averso i documenti dell’archivio, ma presentare il lavoro dell’archivio attraverso i suoi autori. “Ettore Sottsass si presta perfettamente – ha sottolineato Francesca Zanella, presidente Csac, in occasione dell’anteprima della mostra – il suo lavoro non si è limitato a un singolo settore ma ha spaziato dalla ricerca visiva, al design, dalla grafica pubblicitaria alla fotografia, praticamente tutti quelli che sono i generi di quest’archivio sono rappresentati dall’archivio di Sottsass”.
Aperta dal 18 novembre 2017 all’8 aprile 2018 nella sede Csac dell’Abbazia di Valserena, ‘Ettore Sottsass. Oltre il design’, restituisce al pubblico il risultato di un intenso lavoro di catalogazione dell’archivio Sottsass, donato all’Università di Parma dallo stesso architetto nel 1979. Tutto è partito da un approfondito lavoro di ricerca iniziato nel 2016 che ha visto impegnati al fianco dello Csac anche il Politecnico di Milano, l’Archivio Storico Olivetti, la Fondazione Vittoriano Bitossi. La mostra, organizzata secondo una struttura narrativa cronologica, propone circa 700 pezzi tra schizzi, bozzetti e sculture, selezionati tra gli oltre 14000 che costituiscono il fondo. Le stesse modalità espositive, curate da Davide Ledda – fondatore e art director dello studio di progettazione grafica Xycomm – e da Elisabetta Terragni – architetto e professore associato alla City University di New York – sono state oggetto di particolare cura. La navata centrale, allestita con ampi tendaggi che dal soffitto scendono fino a terra, funge da spina dorsale dell’intera esposizione. Le navate laterali, organizzate in sezioni tematiche e cronologiche che “dialogano frontalmente fra di loro”, ospitano i pezzi veri e propri dell’eclettico architetto. Si incomincia dalla prima sezione sulla sinistra, intitolata ‘La formazione’, che raccoglie i lavori degli anni Trenta, periodo degli studi al Politecnico di Torino. Francesca Zanella ha sottolineato come modelli quali Picasso e il Cubismo, Matisse, Kandinskij, abbiano marcatamente influenzato i lavori di Sottsass, spesso caratterizzati da qualità apertamente pittoriche. Il percorso espositivo procede attraverso le varie esperienze cui l’artista si è dedicato: dalla progettazione di tessuti alle ceramiche, dalla grafica per l’editoria all’architettura propriamente detta, fino alle ben note macchine Olivetti. “Il discorso che abbiamo cercato di fare – ha spiegato la presidente – è di mettere a confronto i differenti linguaggi, quindi le sue sperimentazioni: guardate i famosi motivi montenegrini, quello è Spazzapan in pieno, mentre a fianco si vede come cerca di esercitarsi su un maestro come Picasso”.
Parallelamente alla mostra verrà pubblicato il catalogo Ettore Sottsass 1922-1978, che raccoglierà ulteriori approfondimenti, e si procederà alla virtualizzazione dell’archivio, in collaborazione con il Cineca, per garantire una fruizione a tutto tondo del ricco materiale custodito dallo Csac.

DesignUN DESIGN CONCEPITO PER “DISCUTERE LA VITA” – Figura a metà tra il mondo dell’arte e quello del disegno industriale, Sottsass esprime un modo di intendere il design tipicamente italiano. Mentre in Germania, per esempio, la progettazione ha un’impronta molto più tecnica, dovuta soprattutto all’esperienza della scuola del Bauhaus, in Italia non c’è ancora una vera e propria separazione tra la figura del designer e quella dell’artista. Questo ha dato luogo a una lunga diatriba tra due fazioni: coloro che sostengono l’idea di un cosiddetto ‘buon design’, solido e duraturo, che tiene conto di tante variabili e mira a produrre oggetti logici, e coloro che affermano, come Sottsass, l’importanza di un design che si fa espressione della creatività del progettista, ma è visto anche come strumento di indagine antropologica. 

“Per me, il design è un modo di discutere la vita. È un modo di discutere la società, la politica, l’erotismo, il cibo e persino il design. Infine, è un modo di costruire, una possibile utopia figurativa o di costruire una metafora della vita. Certo, per me il design non è limitato dalla necessità di dare più o meno forma a uno stupido prodotto destinato a un’industria più o meno sofisticata; per cui, se devi insegnare qualcosa sul design, devi insegnare prima di tutto qualcosa sulla vita e devi insistere anche spiegando che la tecnologia è una delle metafore della vita.”

Ziggurat, Menhir, Stupas

La “Carta d’identità” e il manifesto di una delle mostre di Sottsass

Ancor più illuminanti le parole dello stesso Sottsass sul legame tra design, bisogno di rappresentazione della società e obsolescenza: “…La mia opinione è che, invece, il problema non sia quello di avvicinarsi al “buon design” ma di fare design, di avvicinarsi il più possibile a uno stato antropologico delle cose, il quale, a sua volta, deve essere il più vicino possibile al bisogno che la società ha di un’immagine di se stessa. Se è vero che viviamo in una società che programma obsolescenza, l’unico design possibile che duri, è quello che ha a che fare con l’obsolescenza, un design che le si adatti, magari accelerandola, magari confrontandola, magari ironizzandola, magari andandoci d’accordo. L’unico design che non dura è quello che in una società che programma l’obsolescenza, cerca invece il metafisico, cerca l’assoluto, l’eternità. E poi, non capisco perché il design che dura debba essere migliore del design che scompare. Non capisco perché le pietre debbano essere migliori delle piume di un uccello del paradiso. Non capisco perché le piramidi siano migliori delle capanne di paglia birmane. Non capisco perché i discorsi del presidente siano migliori delle parole d’amore sussurrate di notte in una stanza. Da giovane ho raccolto informazioni solo da riviste di moda o da civiltà molto antiche, dimenticate, distrutte, polverose. Ho raccolto informazioni o da quelle zone in cui la vita stava germogliando appena, oppure dalla nostalgia per la vita, ma mai dalle istituzioni, mai dalla solidità, mai dalla realtà, mai dalle cristallizzazioni, mai dalle ibernazioni. Per me, l’obsolescenza è lo zucchero della vita”.

di Emma Bardiani e Martina Alfieri
Foto di Diego Piccinotti

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