Rischi e chances: i segreti del successo secondo Wim Mertens

IL GRANDE COMPOSITORE FIAMMINGO AL TEATRO REGIO PER IL BAREZZI FESTIVAL

Anche quest’anno il Barezzi Festival, dal 14 al 19 novembre, ha portato a Parma musicisti di prim’ordine del panorama contemporaneo internazionale. In linea con lo spirito di Antonio Barezzi, scopritore e mecenate di Giuseppe Verdi, il festival propone performances di artisti di generi e tradizioni diverse – dalla musica classica a quella popolare fino a quella sperimentale – offrendo un’occasione di incontro, scambio e crescita tanto agli artisti quanto ai fruitori. A coronare quest’undicesima edizione dell’evento è stata la performance del musicista belga Wim Mertens, in prima assoluta e in esclusiva nazionale al Teatro Regio di Parma con la Filarmonica Arturo Toscanini, di sabato 19 novembre. Laureato a Gand e Bruxelles in musicologia e pianoforte, Wim Mertens è compositore, pianista e chitarrista; ha esordito negli anni ’80 con i Soft Verdict, ha realizzato colonne sonore per Peter Greenaway e Jan Fabre e si è evoluto nella sua ricerca artistica fino alla soluzione orchestrale. Maestro della divulgazione d’avanguardia, Mertens ha reso la musica colta accessibile a un pubblico più ampio, travalicando i confini tra i generi e collocandosi ai massimi livelli della musica ambient, minimalista e crossover contemporanea.

Qual è la sua relazione con l’Italia? E con la tradizione operistica italiana?
“La prima volta che ho suonato fuori dal Belgio è stata in Italia, nel 1982 a Bologna, un ‘open air’. Finito lo spettacolo ho guidato tutta la notte per arrivare a Siracusa dove avevo la seconda data. Ho avuto una lunga e stimolante relazione con l’Italia e con gli ascoltatori italiani.”

Cosa ne pensa del Barezzi Festival? E di Parma?
“Ho capito che con questi nuovi tipi di festival le persone stanno cercando di dimostrare il fatto che ci sono molti tipi di approcci alla musica e di ‘working positions‘: musica elettronica, jazz, pop, classica… Quindi credo sia una buona opportunità per i giovani ascoltatori di vedere tutto questo. Non viviamo più in un solo standard musicale, le cose sono cambiate negli ultimi 20-30 anni. In Italia ho suonato in moltissime città in 30 anni di carriera, ma a Parma mai, quindi per me questa città è un terreno nuovo e spero di scoprirla di più.”

Come si è avvicinato alla musica?
“Nel mio caso ho avuto la fortuna di avere un padre anch’egli musicista che suonava diversi strumenti, quindi probabilmente questa è stata la mia via per vedere tutti i diversi ‘colori degli strumenti‘. Suonavo la chitarra classica, poi il piano. Ho frequentato l’accademia di musica dagli 8 ai 18 anni ma poi ho sentito il bisogno di nuove informazioni, allora ho smesso di studiare musica per un breve periodo e mi sono iscritto alla facoltà di scienze politiche e sociali, oltre che a quella di musicologia. Ero molto interessato anche alla storia della musica e nello specifico alla relazione tra periodi storici e modalità di composizione: mi sono interrogato sul cambiamento nel modo comporre dei musicisti nei diversi periodi storici e su quali potessero esserne le dinamiche. Dopo due anni sono rientrato al conservatorio per migliorare la tecnica. Da compositore autodidatta non ho mai voluto accettare un professore di composizione, volevo imparare molto sugli strumenti e sulla parte tecnica, ma solo facendo quello che era utile per poi fare la mia musica. A 28 anni sono andato in radio, poi ho registrato la mia prima composizione e successivamente la prima raccolta.”

La sua musica è stata definita in tanti modi diversi; se dovesse scegliere tre concetti per descriverla quali sarebbero?
“La prima è vocal inspired‘, ispirata dalla voce, con una percezione del sentimento del tutto: non divido mai le informazioni della musica, mi piace riceverle tutte in un unico flusso. La seconda parola potrebbe essere relativa ad un singolo aspetto della musica: il ritmo. La mia musica può essere vista come un incontro di strumenti, di situazioni non ancora diventate note e quando la percepiamo, la notà non è più lì. Crediamo che le note, ciò che è scritto, sia la musica, ma è solo il punto di partenza; dobbiamo imparare ad assumerci dei rischi e sperimentare questo processo che io chiamo ‘not yet, no longer‘. Il terzo aspetto è essere attento e sensibile riguardo le relazioni che ci sono tra gli strumenti dell’orchestra sinfonica: archi, arpe, percussioni, legni e ottoni. La tensione di ognuno sarebbe quella di prevalere; bisogna invece conoscerli a fondo e far emergere le potenzialità di ognuno, secondo quella che io chiamo ‘solidarising rivality‘. Il segreto del compositore è sfruttare al meglio questa rivalità nella solidarietà.”


Dopo una carriera costellata di successi c’è ancora spazio per un sogno? Ai giovani quali consigli darebbe?

“Lo spero! Ci si stanca dopo un po’, ci sono momenti depressivi che si alternano ad altri positivi, quindi bisogna sempre creare nuove connessioni. Stare in contatto con la musica vuol dire fare musica, ‘to play music‘. Usiamo play specificamente per la musica e per ‘continuare a giocare‘ sono importanti due cose: la chance e il rischio. La chance è imparare da molto giovani e suonare tanto per aprirci un numero di strade che sono impossibili da predire. Le cose ti possono stupire positivamente o negativamente, ma fondamentale è correre il rischio, non sai mai cosa ti può accadere! Con la consapevolezza di questi due elementi la musica deve essere suonata sempre e ancora, così si diventa specialisti delle chances e dei rischi. Se questi due fattori ci sono, che tu ne sia conscio oppure no, puoi andare avanti.”

Wim Mertens ha definito la sua musica con tre concetti chiave, forse non troppo semplici da cogliere, ma di certo durante l’esibizione la sua arte si è spiegata da sola. Nei brani del grande compositore gli strumenti giocano, l’impressione è quella di una grande rappresentazione teatrale, in cui il pianoforte di Mertens detta le regole, muove i fili e, a momenti alterni, archi, fiati, arpa e percussioni dialogano tra loro, a volte rubandosi la parola, altre concedendosela: rivalità nella solidarietà. E le note trasportano, i rimandi alle arie classiche sono frequentissimi, ma è la melodia, una melodia vigorosa e sognante, che caratterizza l’autore e lo rende inconfondibile. Il ritmo e la teatralità dei suoi brani saziano udito e vista ed egli osa, rinnovandosi sempre, rischia. E il risultato è uno: brividi.

 

di Duna Viezzoli e Giulia Moro

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