Paolo Conte, dalla “giungla della musica” torna all’UniPr da professore ad honorem

OLTRE 50 ANNI DI CARRIERA FESTEGGIATI IN ATENEO COL TITOLO IN 'LINGUAGGI MUSICALI DELLA CONTEMPORANEITÀ'

Un’Aula Magna gremita, quella in attesa di Paolo Conte per la cerimonia di conferimento del titolo di professore ad honorem in ‘Linguaggi musicali della contemporaneità’ che l’Università di Parma ha conferito all’avvocato di Asti giovedì 16 novembre. Quello di Paolo Conte è sicuramente un gradito ritorno nell’Ateneo cittadino, proprio dove il cantautore, polistrumentista, pittore, si è laureato in Giurisprudenza nel 1962.
Nel corso dei suoi oltre cinquant’anni di carriera, Conte è stato capace di innovare e innovarsi continuamente, senza mai abbandonare quelle che fin da ragazzo sono state le sue passioni. Musicista e paroliere, ha firmato, collaborando con Vito Pallavicini, alcuni tra i più grandi successi della canzone italiana, tra cui ‘Azzurro’, interpretata da Adriano Celentano, ‘Messico e Nuvole’ di Jannacci o, ancora, ‘Insieme a te non ci sto più’ di Caterina Caselli. Non temendo mai di andare controcorrente, Conte trova nel jazz, di cui loda l’improvvisazione, il genere musicale prediletto. La scoperta del jazz costituisce, come racconta lui stesso, una delle due ‘cadute da cavallo’ della sua giovinezza; l’altra, di uguale impatto emotivo, avviene dopo aver ascoltato alla radio un’opera di Giuseppe Verdi.
A partire dal 1974 decide di iniziare a farsi interprete delle proprie canzoni, sfornando album di incredibile successo che gli permettono di affermarsi sempre di più tra il grande pubblico. Da ricordare ‘Gelato al limon‘, pubblicato nel 1979, impregnato di ritmi sudamericani, che contiene l’omonima traccia (riarrangiata poi da Lucio Dalla e Francesco De Gregori), oltre a ‘Bartali’, dedicata al famoso ciclista. Innumerevoli sono i riconoscimenti alla carriera che l’artista ha ricevuto nel corso degli anni, come sei targhe dal Club Tenco, il David di Donatello e il Nastro d’Argento per la colonna sonora del film ‘La freccia azzurra di Enzo D’Alò’. Con la cerimonia di giovedì 16 novembre, si aggiunge un altro titolo accademico a quelli che già figurano sul suo curriculum, tra cui la recente laurea honoris causa in Musicologia ricevuta proprio quest’anno dall’Università di Pavia.

LA CERIMONIA – “Momento di festa e contenuto”, come ha sottolineato il rettore Paolo Andrei, la cerimonia nel Palazzo Centrale si è aperta con l’ingresso in corteo dapprima del Senato Accademico, seguito dai docenti dell’Unità di Arte, Musica e Spettacolo del Dipartimento di Discipline Umanistiche, Sociali e delle Imprese Culturali, dal direttore del Dipartimento di discipline Umanistiche e Sociali e delle Imprese Culturali Diego Saglia e, infine, tra gli applausi del pubblico, del rettore Paolo Andrei e di Paolo Conte. Dopo l’esecuzione, da parte del coro universitarioPaolo Conte Ildebrando Pozzetti, di alcuni brani del repertorio corale polifonico, il rettore prende la parola: “Entra a far parte della nostra comunità accademica, come nuovo docente, una figura di altissimo rilievo della cultura mondiale contemporanea“. Dopo aver lodato la forza evocativa delle canzoni di Conte e il suo stile personalissimo, Andrei racconta, andando a recuperare dal proprio “baule della memoria”, aneddoti che lo legano personalmente al musicista astigiano: parla dell’amore per la musica nutrito dal suo caro amico e collega Alberto Biaschi, scomparso prematuramente a soli 34 anni, e della raccolta ‘Paolo Conte Live’ consegnatagli dalla moglie dello stesso Alberto il giorno dopo la sua scomparsa. “Credo, caro Maestro, caro professor Conte, – conclude Andrei rivolgendosi direttamente a lui – che la presenza di tante persone qui oggi, e in particolare di tanti giovani studenti, sia il segno tangibile dell’ammirazione e della profonda stima che la comunità accademica parmense desidera dimostrarle. Per tutto ciò che Lei ha fatto in questi anni di straordinaria carriera artistica, per ciò che ha saputo donarci: per le straordinarie opere che ha regalato al mondo intero”.

Paolo ConteLE MOTIVAZIONI – L’obiettivo del titolo di professore ad honorem è di “riconoscere il contributo di personalità di chiara fama sul piano scientifico, culturale, politico, sociale e sportivo”; un titolo approvato dal Senato accademico su proposta del rettore che comporta la possibilità di chiamare il professore ad honorem ad effettuare, con il proprio consenso e a titolo gratuito, attività didattiche di vario tipo all’interno dell’Università. Nel caso di Paolo Conte, le sue canzoni e la sua lunga carriera “hanno mostrato le molteplici relazioni che parole e musiche possono instaurare nella contemporaneità“, come sottolineato dal professor Diego Saglia durante la laudatio. Da qui la scelta di attribuire il titolo all’artista “oggi considerato, in Italia e all’estero, tra le figure più rappresentative della canzone e della cultura italiane”, ha aggiunto Scaglia. Tra gli applausi dei tanti presenti, il rettore ha poi consegnato la pergamena appositamente realizzata dall’artista Giorgio Tentolini a Paolo Conte che, rivolgendosi al pubblico, in primo luogo ai giovani, ha iniziato la lectio magistralis dedicata alle fonti di ispirazione della sua carriera e alle forme musicali del ‘900.

LA LECTIO MAGISTRALIS – Con la sua tipica eleganza composta, giacca e cravatta, Paolo Conte inizia la sua lezione, nonostante parlare di se stesso lo metta un po’ in imbarazzo, “nell’illusione e nella speranza di essere un po’ utile agli studenti”. Ripercorre alcune delle tappe fondamentali della propria vita, a partire da quando, fin da bambino, si addentrava in quella ‘giungla’ che è il mondo della musica, “una forza arcana che ti trasporta chissà dove”. Ricorda che il 1937, l’anno della sua nascita, è segnato dalla morte di tre grandi musicisti quali Ravel, George Gershwin e Bessie lezioneSmith. Poi parla dell’amore per il jazz, una “giungla ancora più giunglesca di quella di Verdi” a cui si avvicina e che inizia a praticare col pianoforte, il vibrafono, il trombone. Il sentimento di necessità di comporre è aiutato dalla comparsa, nel panorama musicale italiano, di cantanti dalla grande credibilità tra cui Adriano Celentano, Caterina Caselli e Jannacci. Racconta degli inizi, del successo inaspettato in Francia nel 1985, che gli apre le porte di tutto il mondo. I cantautori, secondo Conte, sono stati un grande movimento letterario ed è per questo che, spiega l’artista, il recente conferimento del Premio Nobel a Bob Dylan non dovrebbe destare scandalo, se non fosse che “i cantautori italiani hanno avuto un dispendio di energia creativa dal punto di vista letterario che Bob Dylan non se lo sogna neanche.” Conte trova il tempo anche per qualche battuta, smentendo quella che è la sua fama di burbero, sempre con l’espressione corrucciata, ‘con quella faccia un po’ così’, quando si rivolge al pubblico, tra cui nota “tante facce di simpaticissimi fuoricorso”. Poi l’ormai neo professore si sofferma su qualche considerazione sul panorama musicale attuale sottolineando come al giorno d’oggi l’armonia e la melodia stiano scomparendo; ciò che rimane è il ritmo, forse grazie agli insegnamenti di Stravinskij. “Certe musiche stanno diventando niente” spiega, sottolineando però di non voler essere scortese, perchè “ogni artista è sovrano in ciò che fa; il rap, però, è ormai ridotto quasi al nulla dal punto di vista musicale.” E allora,  adesso, dopo diciassette anni di XXI secolo, si sente in uno stato di “confusione mentale” di inizio secolo, la stessa definizione che coniò nel 1985 per i giornalisti francesi che lo interrogavano sul suo stile. Ma conclude, sorridendo: “Ho finito, non bocciatemi, promuovetemi lo stesso!”

 

di Stefania Piscitello e Jacopo Orlo

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