Tre atti e l’attualità di Pirandello per dire no alla violenza sulle donne

IL TEATRO DEL CERCHIO PORTA IN SCENA UN APPELLO: "SERVE RIFLETTERE SU CIO' CHE CI CIRCONDA"

Pirandello uno, due e tre!Teatro e violenza sulle donne. Da sempre il teatro da un lato si presenta come specchio della società in cui nasce e si sviluppa, dall’altro diventa fonte di riflessioni universali. Il Teatro del Cerchio anche quest’anno ha dedicato alla Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne una nuova produzione, diretta da Antonio Zanoletti: ‘Pirandello uno, due… e tre!’.
Come suggerisce il titolo, si tratta di tre atti unici del famoso drammaturgo, ‘Sgombero’, ‘L’uomo dal fiore in bocca’ e ‘La Morsa’, nei quali si incontrano tre diverse donne, tutte in qualche modo vittime di violenza, colpevoli di “crimini” che, agli occhi dei loro uomini, le rendono meritevoli della punizione che subiscono.

Nello ‘Sgombero’ la giovane Lora inveisce più volte contro la salma del padre, il pubblico, altri personaggi a noi invisibili, raccontando la storia di come fu ripudiata dalla famiglia per aver giaciuto con un uomo sposato. ‘L’uomo dal fiore in bocca’ non è che un malato incurabile che non può che attendere la morte e che accusa la moglie di volerlo tenere segregato in casa mentre lui vuole uscire e godersi i suoi ultimi giorni. Infine, ‘La morsa’ vede una donna adultera scoperta dal marito, il quale la tortura psicologicamente fino a spingerla al suicidio.
Sono colpe che trafiggono il cuore delle donne e che le spingono a chinare la testa davanti ai loro carnefici, colpe che sono il riflesso di ciò che realmente accade nella nostra realtà.

Pirandello uno, due e tre!L’UOMO DAL FIORE IN BOCCA – Mentre in ‘Sgombero’ la violenza sulla donna è facilmente riconoscibile nel monologo di Lora, così non è ne ‘L’uomo dal fiore in bocca’. Qui il protagonista indiscusso è il marito, il quale, all’approssimarsi di una morte inevitabile, si perde in elucubrazioni che sfiorano la mania: si concentra su dettagli apparentemente insignificanti, come le comode poltrone di uno studio medico, elogia la vita con parole sublimi e una dialettica impeccabile. Non si direbbe mai che un uomo tanto sensibile possa essere capace di violenza. Eppure, tutto crolla nel momento in cui inizia a parlare della moglie.

“Mi sorveglia da lontano. E mi verrebbe, creda, d’andarla a prendere a calci. Ma sarebbe inutile. E` come una di quelle cagne sperdute, ostinate, che più lei le prende a calci, e più le si attaccano alle calcagna.”

La moglie, un’ombra, perennemente nascosta dalla tenda, rea del desiderio di stare vicino al proprio marito, di riempirlo delle sue cure e del suo amore, prima che la malattia che lo affligge se lo porti via. Un desiderio che è irrimediabilmente contrastante con quello del marito, il quale non vuole restare confinato tra quattro mura aspettando la morte: vuole uscire, gustarsi ogni piccola cosa, perché è in esse che può trovare il vero piacere della vita.
Tuttavia, come sottolinea il direttore artistico del Teatro del Cerchio nonché attore protagonista, Mario Mascitelli, questo rapporto con lei è comunque un rapporto d’amore: un amore paradossalmente legato al non volerla attorno, un amore che è comprensione del dolore di lei e al tempo stesso consapevolezza di essere la causa di quel dolore. L’uomo dal fiore in bocca motiva così la violenza che esercita: cerca di allontanarla da lui cosicché lei possa soffrire di meno quando lui non ci sarà più.

Qui la domanda sorge spontanea: con questo discorso non si sta forse cercando di giustificare la violenza che lui esercita su di lei?
“La relazione invece è contraria – risponde Mascitelli -. Lo scatenarsi di questa cosa non vuole giustificarla, ma vuole far capire come in realtà una donna che ama il marito sia maltrattata per il semplice fatto di preoccuparsi per lui ed amarlo. Ciò di cui lui si lamenta è il fatto che lei voglia tenerlo in casa come se nulla fosse. Questo atto vuole riaffermare con forza che quando non sappiamo con chi prendercela nei mille disagi della vita, che possono essere una malattia, o aver perso il lavoro, ecco che allora si sviluppa nel femminicida il voler dare la colpa spesso alle persone più vicine spesso le persone a cui vuoi bene. Non credo che chi faccia violenza non voglia bene alle altre persone ma sviluppa male questa sua ossessione e soprattutto, questo è fondamentale, dimostra l’incredibile immaturità dell’uomo in quanto maschio e l’incapacità nel riuscire a collocarsi a ricollocarsi, spesso alla pari, in questo che è la nostra contemporaneità”.

Pirandello uno, due e tre!LA MORSA – Nel terzo ed ultimo atto la violenza assume connotati ancora più intangibili, ultimando il percorso da una violenza principalmente fisica in ‘Sgombero’ a puramente psicologica ne ‘La morsa’. L’elemento interessante è costituito dall’origine di questa violenza: la scoperta del tradimento di lei. Ciò che di solito viene associato all’esplosione della violenza comunemente intesa, qui viene al contrario affrontato con molta razionalità. Tuttavia, come spiega Mascitelli, c’è una grande ferocia da parte del protagonista Andrea, che però, invece che fare una sceneggiata tipica anche dell’epoca – quando era perfino ancora giustificato il delitto d’onore – decide di manipolare mentalmente sia l’amante che la moglie, fino a costringere lei ad uccidersi. E’ una grande strategia, una grande violenza, una violenza che non sfoga e non si sfoga mai attraverso gesti pratici o fisici ma piuttosto in un grande aggiogamento mentale.
Uccidersi, accettare di meritare la morte per aver tradito, piegarsi sotto la minaccia di vedersi portar via i figli. Da un lato si può pensare che sia una questione ormai antiquata, tuttavia si sente spesso di donne che subiscono la violenza perché convinte della propria incapacità di vivere da sole ed educare i propri figli senza un uomo. La realtà, come sappiamo, è un’altra: nella nostra contemporaneità è l’uomo a trovarsi in una posizione di svantaggio, soprattutto socialmente parlando, dopo la caduta del sistema patriarcale. E spesso è proprio la consapevolezza di non avere potere sopra la donna che spinge l’uomo al gesto estremo, un gesto che, come ricorda Mascitelli, non è mai un raptus. È una scelta consapevole e ben ponderata.

NOI E PIRANDELLO – Alla luce di quanto detto, non è più un mistero la ragione per cui il Teatro del Cerchio ha voluto “usare” Pirandello per commemorare questa importante giornata. Nonostante il grande drammaturgo sia vissuto molto tempo fa, i suoi testi mostrano una sorprendente attualità, sia nei concetti che nelle riflessioni che scaturiscono dalla loro rappresentazione.
Importante da sottolineare è anche l’impegno che il Teatro del Cerchio ha preso nei confronti di questo tema: ‘Pirandello uno, due… e tre!’ non è infatti il loro primo lavoro a riguardo. C’è anche ‘Barbablù – storia di quotidiana violenza’.

Concludo citando le ultime parole che Mascitelli mi ha rivolto durante il nostro incontro:
“Io credo fortemente che chi sceglie di fare il nostro lavoro abbia il dovere di dar voce alle cose, agli argomenti che voce non hanno. Il nostro lavoro non passa soltanto dal riproporre la bellezza o la ricerca in un testo, in un autore, ma anche dall’affrontare quei temi che abitualmente vengono affrontati con altri strumenti. Il nostro strumento, oltre essere quello della parola e quello dell’empatia, è l’essere in grado di far riflettere le persone che vengono a vederci, ad ascoltarci, e in questo obbligo noi dobbiamo, in quanto operatori culturali, lavorare per elevare il più possibile, educare il più possibile chi ci circonda e la società che ci circonda, non tanto con la presunzione di essere migliori, ma anzi proprio con l’idea che essendo i peggiori andiamo a sporcarci le mani per poter trattare argomenti scomodi e in quanto tali possono anche non riscontrare il favore del pubblico.
Anzi, noi vogliamo trattare le cose di cui si vuole parlare il meno possibile, senza ignorare ciò che ci circonda. L’obiettivo è sempre quello. Tu puoi essere pro o contro, sono d’accordo con quello che hai detto, non sono d’accordo con quello che hai detto, ma l’operazione deve essere far riflettere, far prendere una posizione. Se non c’è questo risultato, l’operazione forse non è andata a buon fine”.

 

di Giulia Giunta

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